La sfida educativa. Il comunicarsi di una esperienza
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L’altra mattina in terza dovevo spiegare l’economia medioevale dell’XI-XIII secolo: Il primo paragrafo del libro è intitolato “Gli uomini”, il secondo “La terra”. Ho chiesto alle alunne quale fosse secondo loro il punto fondamentale del primo paragrafo, quale fosse la molla dell’economia di quel periodo. Alcune hanno risposto: la crescita demografica, l’invenzione di nuove tecniche agricole, l’introduzione della moneta, il commercio, la rinascita e lo sviluppo delle città, l’esperienza dei comuni, le crociate. Francesca una ragazza timida ha alzato la mano e ha detto: “Per me sono le persone unite insieme in un popolo”. A quel punto è intervenuta Eleonora che ha detto: “Io vedo che oggi le persone sono poco unite fra di loro, ognuno pensa a se stesso, nei rapporti domina l’individualismo e l’estraneità.” Io ho chiesto come mai in quei secoli le persone fossero unite, formassero un popolo, in altri termini che cosa occorre perché esista un popolo. Qualcuna ha risposto che perché ci sia un popolo occorre un ideale comune tra la gente e che a quei tempi questo ideale era rappresentato dalla fede cristiana che, grazie soprattutto alla testimonianza e al lavoro dei monaci, si era diffusa in tutta Europa, divenendo un punto di riferimento comune per tutte le persone.
Io ho chiesto: “e oggi, nel bel mezzo della crisi economica peggiore dalla seconda guerra mondiale, qual è la situazione?”. La risposta è stata che nella società attuale non esistono più ideali comuni fra le persone, per quanto riguarda la fede molti si professano atei o indifferenti, per altri è qualcosa di lontano, di astratto che non c’entra con la vita. Io ho detto che questa assenza di ideali la si nota anche nel come viene trattata la crisi economica a livello dei rapporti fra gli stati dell’Unione europea, si pretende che col semplice salvataggio dell’euro, delle banche, con l’imposizione di nuove regole sul rapporto deficit-PIL, con la realizzazione di fondi per il salvataggio delle economie più deboli, con l’accettazione di un’Europa che viaggia a due velocità, si possa uscire dalla crisi e salvare l’unità. In effetti è sotto l’occhio di tutti che ogni stato guarda ai propri interessi che vengono prima di ogni sforzo e tensione all’unità e che difficilmente gli interventi previsti daranno un risultato duraturo e soddisfacente. Di ideali, radici culturali che possono unire uomini e popoli europei diversi, non se ne parla né nella costituzione europea, nè nei trattati dell’Unione, né nei discorsi dei politici.
Una ragazza dice: “Bisognerebbe che qualcuno dicesse queste cose ai capi di stato europei, ai responsabili della politica europea”. Io ho risposto che uno c’è, è il Papa Benedetto XVI, che ha ripetuto questi concetti nel suo discorso al parlamento europeo e in altre occasioni.
Domanda: “Ma perché non lo ascoltano?” Rispondo che se lo ascoltassero dovrebbero mettere in discussione la loro esperienza umana e politica e rivedere tutta l’impostazione politica degli ultimi decenni mettendo al centro non il potere, la volontà di egemonia di uno stato sull’Europa, i propri interessi particolari, la propaganda politica, ma l’uomo e il bene comune, favorendo l’impegno e il lavoro di tutte quelle realtà sociali che operano in questa direzione. Ma il fatto che tutto ciò non accada a livello politico, non ci autorizza o giustifica ad essere come loro.
Una alunna domanda: “Ma noi cosa possiamo fare?” Io ho risposto: “Vivere in un modo nuovo, mettendo al centro la persona e gli ideali che ci aiutano a valorizzare la persona, spendendoci per la realizzazione di una umanità nuova, di rapporti veri, gratuiti: questo è l’inizio di un mondo nuovo”. Ho fatto degli esempi: “La vostra compagna Manuela, seria, preparata, che ha dato gratuitamente del tempo, invitando a casa sua delle compagne a studiare, perché dovevano recuperare un brutto voto in italiano e storia. Oppure Gloria che ha scritto che il sabato sera piuttosto che buttar via il tempo in discoteca o in un pub, preferisce trovarsi con gli amici per discutere di qualcosa di importante e significativo o pensare e preparare gesti significativi da proporre ai coetanei. Oppure Eleonora che impegna il suo tempo libero per la l’educazione cristiana e la costruzione del senso della vita dei ragazzi più piccoli. Oppure sabato, quando alcuni di noi hanno deciso di dare del tempo per la colletta alimentare”.
Sono esempi di quel che uno può fare per costruire un mondo nuovo. Senza le nostre persone, il nostro tentativo, il nostro impegno, il mondo non sarebbe lo stesso, sarebbe meno vero, meno bello, meno umano. Ci vogliono dieci, cento, mille Manuela, Gloria, Eleonora. Siamo come i monaci benedettini: una piccola minoranza, ma certa dell’ideale cristiano e decisa a giocarlo e a viverlo in tutti gli aspetti della vita (preghiera, lavoro, cultura, rapporti, educazione ecc.) ha cambiato l’Europa che sembrava caduta in una crisi senza vie d’uscita, sembrava perduta. E’ il riproporsi al mondo di una posizione umana che fa ritrovare all’uomo la speranza”.
Alcune osservano: “Ma prof perché quasi più nessuno ci dice queste cose, spesso neanche i genitori, neanche i preti che propongono una fede astratta, fatta di discorsi o di cose da fare?”
Io ho risposto: “Perché, vedete, l’ideale non è un discorso, una teoria, delle cose da fare, ma una vita, un’esperienza e uno non può che comunicare quel che vive, quel che di bello e affascinante sperimenta, la teoria non interessa a nessuno. Quel che serve è la testimonianza, l’esperienza, a partire da ciascuno di noi. Se ci teniamo a ognuno di noi, dobbiamo lanciarci ogni giorno, a scuola, la sfida dell’ideale che rende più umana la vita e la cambia.”