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Semi di bellezza

Fonte:
CulturaCattolica.it
“La fede rende capace di pensare, di vedere e conoscere Cristo ‘secondo lo spirito’. Solo da questo percorso ecclesiale possono nascere le ‘grandi firme’. Delle celebri cattedrali di cui è disseminata l’Europa, spesso non si conoscono i progettisti: ‘i loro nomi sono scritti nel cielo’ e non negli albi delle celebrità di questo mondo”.
(N. Bux, Come andare a Messa e non perdere la fede, Piemme)

C’è una bellezza silenziosa, discreta. Una bellezza che non fa scalpore. Puoi girarla e rigirarla, guardarla dall’alto o dal basso, al diritto e al rovescio, ma non troverai da nessuna parte la firma di chi ne è l’artefice.
Eppure, se l’occhio ha imparato quanto è importante indugiare sui particolari per apprezzare davvero la vita, e le sue sfumature, e i suoi doni, ti accorgerai, con stupore, di trovarti di fronte ad autentiche opere d’arte, frutto di ore ed ore di lavoro paziente, svolto da dita veloci, custodi di una sapienza antica che non si impara dai libri ma si può solo tramandare.
Un’arte tutta e solo femminile. Povera, nella sua materia prima: un pezzo di lino, filo, forbici, ago e ditale. O fuselli e tombolo, per i lavori più complessi.
Parlo dei ricami ad intaglio o dei bordi all’uncinetto o al tombolo, che impreziosiscono i teli degli altari e cambiano, a seconda delle solennità. Alcuni, antichissimi, sono stati più volte rammendati da altre mani di donne, più giovani, consapevoli di doversi prendere cura dei frutti dell’impegno di chi le ha precedute. Altre donne, mogli e madri di epoche passate, o suore (…penso alle “sorelle della Provvidenza”, Congregazione fondata da padre Luigi Scrosoppi, che per tanti anni hanno offerto il loro servizio a Portogruaro, presso l’ospedale San Giovanni dei Battuti, adiacente all’omonima chiesa e, nei momenti di pausa, o forse, chissà, mentre assistevano i malati, tra un’orazione e l’altra impegnavano il tempo e le mani in questi lavori antichi che quasi nessuna sa più…).
Noi donne moderne ed “emancipate”, sempre di fretta, divise tra famiglia e lavoro e, nei momenti di relax, distrattamente impegnate a fare zapping davanti alla tivù, abbiamo perso il segreto della successione di quei “punti” e di quei nodi. E la pazienza. E la precisione nel tagliare il lino per dare vita, tra i pieni e i vuoti, all’immagine del sacro Cuore di Gesù, o del Calice con l’Ostia consacrata, o della Vergine…
Non solo. Forse, entrando in chiesa, nemmeno più ci accorgiamo di quanto proprio questa bellezza discreta contribuisca a rendere prezioso, e “sacro”, l’altare che, prima ancora che “mensa”, è il luogo in cui avviene la liturgia del sacrificio di Cristo, o l’altare che ospita il tabernacolo e custodisce, Presenza viva “in corpo, sangue, anima e divinità”, il Santissimo Sacramento.
Abbiamo dimenticato, noi. E spesso nemmeno vediamo…
Ma i cassetti, nelle sacrestie, conservano metri e metri di ricami; miliardi di punti, di nodi, di fili tra loro intrecciati da mani umili e anonime che nulla hanno mai chiesto in cambio della bellezza che avrebbero regalato agli occhi dei fedeli, e, prima ancora, al loro Signore. Con devozione e passione. Come quando si prepara con cura la tavola per un ospite tanto atteso. Per l’Amato.

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