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3 - L’handicap una risorsa... I passi da compiere

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
"Scendemmo lungo il sentiero che portava al pozzo..."

Incontrare la persona
Il portatore di handicap o l’alunno con forte disagio didattico non è un problema da affrontare, ma una persona da incontrare: il limite è solo uno degli aspetti del suo io, ma lui non è definito dal suo limite, di qualunque natura sia, altrimenti gli educatori vengono meno ad una delle più importanti
“leggi” del realismo pedagogico, cioè che il metodo di approccio è indotto dall’oggetto, dalla persona dell’educando osservato nella totalità dei fattori di cui è costituito: ratio, affectio, corpus, spiritus. Quindi l’educatore cerca di entrare in rapporto con la totalità di questi fattori che comunque il ragazzo possiede.
La fragilità intellettuale, emotiva o fisica del ragazzo non deve essere obiezione circa la possibilità che anch’egli possa fare un’esperienza positiva nella scuola, che possa trovare anche lui un posto inteso sia come dignità intellettuale in un percorso di apprendimento, sia come relazione con i coetanei, così che anch’egli possa trovare una risposta al bisogno d’appartenenza che ha nel cuore.

Abbiamo lo stesso bisogno
Il suo limite non significa che non abbia dentro di sé le esigenze elementari di bello, vero, giusto, buono che costituiscono l’io: chi dice che il suo ritardo o il suo handicap gli tolgano la possibilità di stupirsi di fronte alla bellezza del creato esattamente con la meraviglia che provano tutti?
Che cosa desideriamo di più come docenti? Che i colleghi ci guardino, ci stimino, ci accolgano e valorizzino, che la compagnia che sostiene il lavoro educativo con noi ci giudichi, ci corregga, ci rilanci quotidianamente in questa umana avventura che è l’educare. Con questo tipo di ragazzi non si tratta di essere più efficienti, di aumentare gli sforzi affinché apprendano. Si tratta di essere adulti professionalmente impegnati e umanamente coinvolti con loro, in una costante offerta di sé, così che il loro io possa essere raggiunto. Un alunno in difficoltà ha lo stesso bisogno che ciascuno di noi ha dentro di sé: essere abbracciato dalla positività di uno sguardo che scaturisce dal riconoscere l’amore di Qualcuno che ci ha disegnato “…prima ancora che tu nascessi …”
(salmo 118).

Una comunità con un ferreo, tenace, paziente patto
Ovviamente il docente non ce la fa da solo a vivere questa offerta di sé, cioè è chiamato lui in prima persona a fare esperienza di una gratuità libera dall’esito nel tentativo di arrivare nel punto dell’isola indicato dalla mappa per scavare in cerca del tesoro. E’ meglio che sia in buona compagnia di altri avventurieri (i colleghi) e stringa un ferreo, tenace e paziente patto con i genitori che hanno affidato il ragazzo alla scuola. Il patto deve essere chiaro da subito per una proficua corresponsabilità. Per esempio: è importante che i genitori dicano la verità sul figlio, senza il timore che non sia accolto, poi, che si fidino che faremo tutto ciò che riusciremo per il suo bene, che mettano in pratica le indicazioni che offriremo per una fattiva collaborazione… e poi, lungo il cammino, ci aiuteremo a riconoscere che questo ragazzo è veramente un dono.

Percorsi personalizzati
Occorre tentare dei percorsi individualizzati per i ragazzi a disagio didattico o portatori di handicap. In ogni classe c’è sempre qualcuno che ha bisogno più di altri di “recuperare” nozioni o di essere aiutato a non fermarsi al proprio problema. Sono alunni che esigono un’attenzione particolare, perché il limite, di qualunque natura sia, non permette loro di fare un’esperienza didattica come gli altri, produce una disistima, talora li fa sentire emarginati rispetto alla comunità della classe che procede verso l’apprendimento di certi obiettivi. Cosa deve fare allora il Consiglio di classe? Cosa devono fare il coordinatore e il docente di sostegno?

Vivere una stretta unità con i colleghi, perché essi non sono gli specialisti incaricati di sollevare gli altri docenti dall’onere della presenza dei ragazzi più in difficoltà. Specialmente il docente di sostegno è il segno visibile e rilevante di un’accoglienza in azione e il coordinatore è colui che tiene il filo del rapporto con il discepolo e con i suoi genitori, affinché i colleghi imparino a guardare l’alunno secondo la totalità dei fattori che lo costituiscono, non in base a delle impressioni od opinioni del tutto soggettive. Perciò tutti i docenti sono invitati ad una collaborazione operosa con il coordinatore e il docente di sostegno, come condizione affinché questo ragazzo venga introdotto alla realtà.

Insieme, questa compagnia elabora obiettivi individualizzati, spiegazioni più semplici, testi alternativi, strategie didattiche semplificate, prove differenziate, coinvolgimento dei compagni allo scopo di vivere una solidarietà intesa come aiuto al più debole, perché anche per la classe il portatore di handicap è un dono, questo ragazzo è parte integrante della comunità e costituisce una provocazione continua per il preadolescente che vive in un contesto culturale sempre più dominato dal narcisismo, un contesto che censura, nasconde la sofferenza perché “infastidisce”. Questa compagnia è un dono, perché il compagno in difficoltà fa emergere un bisogno fondamentale del preadolescente, quello della dedizione, della condivisione con il tu che ha vicino a sé. Gli adolescenti possono essere certo feroci nella spasmodica ricerca di stima e di affetto da parte dell’amico, del gruppo, diventano feroci se non trovano risposta alle domande: chi sono? con chi sto? a chi appartengo? ma, nello stesso tempo, sono capaci di un’offerta di sé senza pretese che gli adulti talora non sperimentano più.
Tuttavia l’impegno del ragazzo verso il compagno che ha maggiori difficoltà deve essere libero, deve scaturire realmente da un impeto ideale coniugato con la sua libertà. Non è assolutamente opportuno “caricare” l’alunno dell’obbligo della solidarietà, perché, in tal caso, essa diventa qualcosa di moralistico che non fa crescere nessuno. Si tratta non di un doverismo, si tratta di una gratuità che generalmente ha il primario scopo di far diventare grande colui che s’impegna a viverla, altrimenti tutto si riduce ad un buonismo che si spegne dopo il primo entusiasmo più o meno generoso.


Per i docenti, per i genitori, per i compagni di classe, per il coordinatore, per l’insegnante di sostegno, si tratta di “…. condividere il bisogno dell’altro per condividere il senso della vita…”.

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