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L’alunno dotato di ragione, di affezione, di operosità

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
Con quale tipo di persona abbiamo a che fare ogni giorno in classe?



A. Alunno dotato di ragione

Si tratta di un ragazzo che viene progressivamente “risvegliato” alla coscienza di sé, sa usare la ragione. Per ragione si intende non solo la capacità di indagare e analizzare la realtà, la capacità di giudicare, di stabilire dei nessi tra un frammento del reale e l’altro, di elaborare, nel tempo, un sistema di idee che permetta un approccio conoscitivo a ciò che ci circonda, ma anche la capacità libera e cordiale della mente di essere spalancata su tutte le possibilità offerte dalla realtà, un atteggiamento di costante apertura e di curiosità di fronte a tutto ciò che non può essere dimostrato attraverso un procedimento logico, quindi la disponibilità all’imprevisto e al Mistero.
Questa ratio tende a vivere un rapporto con la realtà fondato sulla euresis più che sulla zetetis. Infatti la euresis, è trovare ciò che già c’è (vedi anche il termine latino agiste = trovare). Il docente è chiamato a risvegliare la ratio del ragazzo perché faccia attenzione (sia teso a), guardi (quindi abbracci con gli occhi tutto ciò che ha intorno a sé), riconosca (conosca il dato esistente) la bellezza e il dramma della realtà, consapevole che essa è sempre segno di un Altro. E’ importante che ci si ricordi che si può facilmente evacuare la realtà evadendo nel sogno, o si può far finta che non esista, abbandonandosi alla distrazione.
L’osservazione del reale, senza stupore, soddisfa una curiosità, gratifica le esigenze intellettive, dà risposte corrette con il procedimento dell’analisi del particolare, ma resta un arido meccanismo se non porta ad esclamare: “Che bello!” o “Che triste!”. L’osservazione deve avere dentro di sé la meraviglia della scoperta, la sorpresa di un inizio che contraddistingue la verità di una posizione umana nell’approccio al reale, così che le “immagini portino più in là” (Montale). Rationalis è il discipulus che affonda l’uso della ragione dentro le radici della memoria, quello che non prevede di partire dal nulla, come se prima non ci fossero stati: l’impegno, l’avventura, le domande, le ricerche di altri discipuli e agisteri ragionevoli. Questa insomma è la ratio che dobbiamo educare con le nostre discipline.

B. Alunno dotato di affezione

Si tratta di una persona dotata di affezione, desiderosa di essere guardata con affezione. Non c’è ratio senza affectio, cioè non esiste conoscenza senza un’affezione (“Si ama solo ciò che si conosce” dice S. Agostino); non c’è ratio, né affectio senza desiderium (de-sidus, eris: sguardo rivolto alle stelle, all’infinito).
La disciplina quindi risveglia non solo la ratio del ragazzo ma anche l’affectio, il desiderium, il cor (esigenze più profonde del “cuore “ umano di cui esso è costituito); risveglia quindi curiosità, interesse, attitudini, capacità latenti, in modo che l’io del ragazzo entri in azione, appassionandosi al frammento di reale codificato dentro la disciplina.
Tutto ciò è possibile solo se il docente è capace di “addomesticare” (Saint Exupéry), cioè di creare un legame con il ragazzo e se il ragazzo si fa “addomesticare”, cioè si fida, offrendo gradualmente ratio, cor e libertà al docente.
Ciò è possibile solo dentro la condivisione di rapporto tra maestro e discepolo: qualunque disciplina, qualsiasi contenuto destano l’affectio del ragazzo solo se il docente ama la realtà, è motivato a ciò che insegna, è sempre inquieto nel cercare le modalità didattiche più efficaci per comunicare ciò che gli sta a cuore, per “condurre il ragazzo verso l’orizzonte di un paese nuovo” (S. Grygiel). L’affectio del ragazzo non è né il suo sentimento né il suo istinto, ma l’esigenza di un “bene”, di una “bellezza” insita nel suo cuore: la didattica conduce il ragazzo a scoprire nel reale questo bene, questa bellezza, così che possa conoscerli e contemplarli stupito.

C. Alunno dotato di operosità

Si tratta di porre in atto una didattica che induca gradualmente il ragazzo a rendersi protagonista dentro la realtà, una didattica che provochi le sue mani, il suo corpo, la sua ratio ed affectio, così che il suo io entri in azione, la nozione appresa diventi gesto, il suo talento si trasformi in una energia capace di ricreare, cambiare la realtà. Come Socrate, applicando l’arte della maieutica, “tirava fuori” dai suoi interlocutori una ratio che abbracciasse tutti i fattori della realtà, così la didattica ha il compito di “liberare” tutte le risorse espressive e creative latenti nel ragazzo, facendolo “operare” sotto la guida paziente e cordiale del docente.
L’alunno è un faber operans se l’acquisizione teorica dei contenuti diventa un apprendistato teso a contemplare il bello per scoprire il vero che c’è dietro tale bellezza. Il ragazzo diventa protagonista quando fa qualcosa di “bello” ed esprime qualcosa di “vero”. Imparare una tecnica linguistica o espressiva non è un efficace attivismo che induce il ragazzo a farsi padrone del reale, manipolandolo a suo piacimento per una gratificazione psicologica individuale, ma un operare umilmente, pazientemente, affinché la parola diventi gesto personale. Allora la nota imparata diventa canto, il legno tratto dall’albero diventa cornice, il colore impastato si trasforma in affresco, il verbum acquisito rende possibile la comunicazione di sé e l’ascolto dell’altro che si apre a te, l’energia che avverti nel corpo che cambia diventa possibilità d’armonia tra questo corpo e ciò che esso riesce ad esprimere attraverso un movimento sempre più perfezionato.

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