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Paradiso 33: passione alla ragionevolezza

Autore:
Bruschi, Franco
Fonte:
CulturaCattolica.it
E’ questa la posizione radicalmente nuova, rivoluzionaria rispetto alla cultura contemporanea, una cultura scettica, vuota, una cultura che ha stabilito una lontananza incolmabile fra sé, quel che desidera il proprio cuore e la realtà, la vita, che ha sostituito l’imperativo umano: “Io voglio essere felice!” con il diabolico: “E’ impossibile essere felice!”

Stavo commentando in classe due terzine del canto XXXIII del Paradiso di Dante; San Bernardo rivolge la famosa preghiera alla Vergine Maria.

“E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’io fo per lo suo, tutti i miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogni nube gli disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
si che il sommo piacer gli si dispieghi”.
(Paradiso, Canto XXXIII, vv. 28-33)

San Bernardo afferma: “E io che non ho mai desiderato per me stesso di vedere il vero, il bene, quanto lo desidero in questo momento per quest’uomo, ti prego con tutto me stesso e ti prego di considerare le mie preghiere adeguate, perché tu tolga questa nebbia, questa oscurità davanti ai suoi occhi, che sono caratteristiche di ogni uomo e possa così vedere la verità, il bene ed essere pienamente felice”.
Ho chiesto: che cos’è questa nebbia caratteristica della condizione umana, che genera incertezza su di sé, incertezza sulla propria umanità? Che si manifesta come un sentimento di paura, di dubbio o addirittura di inimicizia con la vita e con la realtà?
Ho fatto l’esempio di una ragazza che sogna di incontrare l’uomo della sua vita. Lo immagina in un certo modo, sia fisicamente che interiormente, immagina l’amore come una cosa bellissima, indescrivibile, pensa che nell’incontrare una persona da amare possa risiedere la felicità della sua vita. Quando si innamora e si mette insieme a un ragazzo, ecco che la realtà supera l’immaginazione, soprattutto in un punto: scopre di avere in sé un desiderio, una voglia di voler bene all’altro sconosciuti, scopre che il suo amore non ha limiti, lei per prima si meraviglia di questa sua capacità. Passando il tempo, se è sincera, si accorge che quella persona non può riempire totalmente la sete del suo cuore, quindi o abbandona questo desiderio di totalità, di felicità e diventa triste, oppure ne cerca un altro illudendosi che possa essere diverso, che possa colmare il desiderio. Ma l’esperienza della sproporzione si ripete inesorabilmente. La conclusione, allora, è sempre quella: è triste doverlo ammettere, ma è impossibile essere felici!
Ma c’è una terza possibilità, decidere di andare a fondo di quell’esperienza e chiedersi: cosa significa, perché sono così? Quest’esperienza come mi aiuta a comprendere il mio io, la mia umanità?
Fare così significa usare bene la propria ragione, come direbbe il don Gius, essere aperti a tutti i fattori che l’esperienza ci mostra.
E’ questa la posizione radicalmente nuova, rivoluzionaria rispetto alla cultura contemporanea, una cultura scettica, vuota, una cultura che ha stabilito una lontananza incolmabile fra sé, quel che desidera il proprio cuore e la realtà, la vita, che ha sostituito l’imperativo umano: “Io voglio essere felice!” con il diabolico: “E’ impossibile essere felice!”
Perché i giovani ascoltano con interesse il Papa, perché accorrono con entusiasmo ad ascoltarlo ogni volta che c’è l’occasione? Perché il Papa è uno dei pochissimi che oggi propone una idea di ragione veramente umana, una ragione che non accetta riduzioni, censure, sempre disposta a lasciarsi sorprendere dall’esperienza, pronta a “dare ragione” dei dati dell’esperienza, una ragione aperta alla verità.
E’ l’assenza di questa idea di ragione, è il non farne esperienza “la nebbia” di cui parla Dante. E’ l’accento del Papa e del don Gius sulla ragione “la luce” che può togliere la nebbia, l’oscurità dai nostri occhi e aiutarci ad andare a fondo della realtà, della nostra vita.

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