Giustizia e reciprocità: una risposta
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Ho letto con interesse l'articolo di Galli Della Loggia sul Corriere di oggi 10 marzo 2006: sono considerazioni pienamente condivisibili, preoccupazioni di rilievo e utili ad un serio dialogo. Non riesco però a trovarmi d'accordo sulle affermazioni che qui riporto: «Vengo infine alla terza e più impegnativa affermazione di Martino. "Se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana - ha detto - non vedo perché non si possa insegnare la loro religione. Questo è il rispetto dell'essere umano, e il rispetto non deve essere selezionato".
Apparentemente non fa una grinza, ma i principi sono principi e devono essere applicati perché tali: allora bisognerà dire che non solo cento bambini ma dieci, cinque, un bambino di religione musulmana ha il diritto anch'esso a un apposito insegnamento di religione nell'orario scolastico. Ma quanti insegnanti saranno necessari? E poi naturalmente nessuno vorrà negare che non solo i bambini islamici hanno diritto a un insegnamento religioso ma anche quelli di religione buddhista, di religione confuciana, zoroastriana, anche i bambini figli di Testimoni di Geova o magari degli adepti a Scientology. Perché no? E se no, qual è il criterio di esclusione - beninteso, in armonia con i principi di tolleranza e di dialogo religioso, nonché con il principio di uguaglianza - che lo Stato italiano potrebbe nel caso adottare?».
Mi sembra che si continui a pensare all'ora di religione cattolica nella scuola dello Stato come a una sorta di concessione ai credenti, e quindi in qualche modo, a una sorta di privilegio.
È vero: «i principi sono principi e devono essere applicati perché tali», dice Galli Della Loggia. Andiamo allora a considerarli, questi principi, come emergono dal dettato legislativo. Si afferma, nella legge n. 121/985, Art. 9.2, che lo Stato «continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado», perché «la Repubblica italiana, [riconosce] il valore della cultura religiosa e [tiene] conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano».
Ecco allora la ragione: non di concessione, e quindi non una sorta di catechismo camuffato, né sostituzione alle naturali agenzie educative e religiose (famiglie, chiese o gruppi religiosi), si tratta, ma di servizio alla scuola e alla sua finalità culturale. Per evitare quella diffusa ignoranza dei tanti giovani che di fronte alla storia, all'arte, ai documenti della nostra tradizione non sanno conoscere né orientarsi.
Da tempo con il sito CulturaCattolica.it tentiamo di offrire un servizio a quanti, anche nella scuola, cercano di dare le ragioni culturali di un impegno educativo serio e approfondito, che sappia coniugare serietà, competenza e capacità di dialogo e confronto.