Fantascienza contro Fantasy?
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Come si spiega l’indubbio successo di cui gode il genere fantasy nella nostra era tecnologica?
Perché un analogo successo non arride in questo momento alla fantascienza?
Sono fondate le critiche di chi attribuisce questo divario alla pigrizia degli scrittori, perché scrivere fantasy non chiede nessuna previa preparazione scientifica, e agli interessi del potere, perché l’ignoranza della massa la rende manovrabile?
È indubbio che il genere fantasy è diventato in larga parte un prodotto di mercato, non opera di letteratura: una sorta di anestetico che ha a che fare con la realtà tanto quanto un romanzetto “harmony” con la verità e la completezza dell’amore umano. Il genere si è ridotto ad un campionario di cliché che prevedono il pieno soddisfacimento dei desideri in un contesto di draghi e spade, per un lettore passivo e spesso illetterato. D’altra parte se T. Sturgeon affermava che il 90% di ciò che si pubblica è spazzatura, il crescere di volume del genere ha aumentato anche quel 10 % di romanzi di qualità [1].
Io non credo che scrivere fantasy sia meno impegnativo che scrivere FS.
Probabilmente scrivere cattiva fantasy è facile come scrivere cattiva FS!
Vale a dire: di fronte a scrittori di FS che conoscono la scienza, come il grande Asimov, ci si toglie tanto di cappello, ma in verità non è indispensabile sapere di scienza per scrivere cattiva fantascienza...così chiunque può scrivere cattiva fantasy, ma pochi sanno scrivere buona fantasy...
Infatti non è affatto vero che nel fantasy tutto è permesso; se all’eroe tutto è permesso, non c’è più storia... occorre inventare un potere eccezionale, ma anche dei limiti ragionevoli a questo potere.
Nel fantasy occorre inventare tutto un mondo. Certo si può farlo male, applicando meccanicamente dei cliché... ma non si può fare lo stesso nella FS? Non è forse la grandezza di Asimov aver “costretto” la FS a fare i conti con la credibilità scientifica, mentre prima gli autori spaziavano allegramente nell’invenzione pseudoscientifica?
Certo, c’è in giro più cattiva fantasy che cattiva FS. C’è in giro però anche più fantasy che FS.
La FS ha compiuto un suo percorso: ha fatto da rompighiaccio davanti alla esplosione della scienza e soprattutto della tecnologia, entusiasmandone i lettori per le magnifiche sorti e progressive; poi è diventata la coscienza critica della scienza, denunciandone i rischi, ed in questa fase ha potentemente servito quel compito di creazione di un umanesimo scientifico di cui all’intervento precedente. Oggi le sue vie si spingono nel campo della cibernetica, l’unica frontiera che ancora suscita meraviglia, e in quella commistione con il fantasy che tanto indigna i suoi più fedeli ammiratori.
Il dibattito sui limiti della scienza od i suoi pericoli, sul rapporto tra etica e scienza, sui grandi problemi del pianeta è migrato però oggi su tutti i mass media, mentre nessuno si sogna di rinunciare al benessere della civiltà tecnologica: sembra così che non ci sia più bisogno della FS, né per diffondere una mentalità scientifica, né per porsi interrogativi sulle sue vie.
In realtà, è vero che la maggior parte delle persone, io per prima, vive da analfabeta in un mondo scientifico-tecnologico che sa usare ma che di fatto non comprende nei suoi meccanismi. La FS ha perciò ancora molto da offrire per esempio nel mondo della scuola, dove può essere un ottimo mezzo per interessare i ragazzi allo studio della scienza e della matematica; occorre certo un maestro, perché di fronte all’opera di fantasia la ragione chiede di conoscere il limite tra invenzione e realtà. Penso a certe opere insuperabili di Asimov, dove al termine del racconto l’autore interveniva per dire, per esempio, che in realtà i canali di Marte non sono diritti e quindi opera artificiale come appaiono dalla Terra…personalmente trovo ostica la CyberFS perché non sono in grado di comprendere il limite tra invenzione e realtà quando si parla di ciò che accade dietro lo schermo del mio computer, e questo mi rende diffidente verso ciò che l’opera letteraria insegna.
Ritengo tuttavia che anche il fantasy, “nei suoi esempi migliori” abbia il suo contributo da offrire alla umanizzazione dell’uomo. Di certo il suo successo spinge a pensare che risponda ad un qualche bisogno profondo. Non credo poi che sia un residuo del passato, della civiltà contadina, né che il suo successo dipenda dal generale successo dell’occultismo e dell’irrazionale. In effetti una vera fede nell’occultismo infrange il presupposto primo del fantasy e cioè che siamo nel campo della fantasia, non della realtà. La prima caratteristica di un Mondo Secondario è di essere secondario: in esso valgono delle leggi che appunto non valgono nel nostro mondo. “Vi è in verità un rapporto inversamente proporzionale tra successo del fantasy e superstizione. Verso la fine del secolo XIX si assiste ad una rinascita della credenza nel soprannaturale e, diciamo pure, della superstizione. Ciò diede il via ad una ricca produzione, che non può definirsi fantasy, benché tratti del soprannaturale. In essa si pretende che esso sia vero e il lettore si sente vagamente imbrogliato quando legge una storia consolante, ma alla fine scopre che si pretende da lui che creda che il mondo sia realmente come descritto nella storia.” [2]. Tale produzione finì ben presto nella spazzatura, appena esaurita la moda, seppellita dalle risate [3]. Nello stesso modo, il successo clamoroso della saga di Harry Potter ha indispettito non poco i “seri” cultori dell’occultismo: ho assistito ad una conferenza in cui il relatore “esperto di magia” era sommamente sdegnato con la Rowlings per le libertà che si era presa verso una materia così complessa e seria, che poteva far risalire le sue origini alle radici stesse della cultura occidentale con le ricerche degli alchimisti, prima fucina della scienza moderna e via sproloquiando.
Mi sembra significativo un tratto dell’opera di Terry Pratchett, autore fantasy assolutamente geniale; il suo Mondo Secondario è il Mondo Disco, che poggia su quattro elefanti che a loro volta poggiano su una tartaruga che nuota attraverso lo spazio. In esso ovviamente regna la magia; il suo protagonista preferito è Scuotivento, un mago fallito. Scuotivento si è avvicinato alla magia con il desiderio di capire il mondo, con l’aspettativa cioè che essa gli avrebbe fornito gli strumenti mentali per svitare il coperchio sul fondo della realtà e vedere come essa fosse fatta, scoprire le sue leggi. Ma ovviamente un mondo a forma di disco, vogliamo dire anche di pizza?, che attraversa lo spazio su quattro elefanti che poggiano su di una tartaruga, non può che essere magico e non ha una logica che si possa scoprire e applicare. Scuotivento, che non è riuscito a impadronirsi della magia, ne è rimasto deluso e continua ad avere nostalgia di un mondo meno assurdo, di un mondo governato da leggi e da numeri. Insomma, di un mondo come il nostro. Noi viviamo in un mondo di cui stiamo scoprendo sempre più le leggi, e sono leggi matematiche, e desideriamo un mondo in cui ci sia ancora spazio per la magia. Questo è il meccanismo dell’umorismo: nella nostalgia di Scuotivento per un mondo come il nostro è presa in giro la nostra nostalgia per un mondo come il suo. Forse, nella sua incapacità magica è adombrato la nostra incapacità di convivere con il mondo scientifico tecnologico che abbiamo creato. Il fantasy esprime appunto questo nostro rifiuto. Tuttavia, nei suoi esempi migliori, vale a dire negli autori che non sono semplici assemblatori di cliché, ma veri autori di letteratura, come Pratchett e perché no, per certi aspetti anche la Rowlings, non può fare a meno di tematizzarlo; secondo la teoria di Tolkien: la creazione di un Mondo Secondario ha anche una funzione di consolazione, ma ha innanzitutto la funzione di porre una distanza critica. Parlando di un altro mondo, è sempre del nostro che ci stiamo occupando. Così come quando la FS parla del nostro futuro, è del presente che si preoccupa.
Fantasy e FS sono dunque nemiche? Sicuramente sono molto diverse. Un premio di letteratura FS come l’Hugo attribuito a Harry Potter fa sospettare che invece di essere gli autori a correre dietro ai premi, siano i premi a correre dietro agli autori di successo. Sintomo di crisi, senz’altro.
Tuttavia io mi chiedo, da appassionata di entrambi i generi, da testimone del loro avvicinarsi e cercarsi (penso alla Zimmer Bradley, e ad altre contaminazioni FS/fantasy) se nel loro andare verso la scienza l’una, ed allontanarsene l’altra, non disegnino la figura di un lettore senza occhiali, che avvicina e allontana il testo dagli occhi nel tentativo di metterlo a fuoco…entrambi i generi, nel loro successo e nella loro crisi segnalano un rapporto con il nostro mondo scientifico e tecnologico che non ha ancora trovato il suo punto di equilibrio, un umanesimo scientifico che davvero stenta ad imporsi. Attribuirne la colpa al fantasy mi sembra però uno scambiare gli effetti con la causa, lottare contro i sintomi invece che contro la malattia. Io mi chiedo se non siano piuttosto gli scienziati stessi (e i Dan Brown) ad aver scavato il fossato tra il sapere scientifico ed il buon senso, tra la Scienza lassù nel suo empireo e la gente comune, che guarda con diffidenza e timore un grande potere in mano a pochi, un grande potere nemico della nostra bimillenaria cultura cristiana. Sicuramente la divulgazione scientifica, di cui la FS può essere aralda, tentativi culturali di superare la frattura storica tra scienze e fede (che non è una frattura ontologica) e soprattutto l’imporsi di limiti etici alla ricerca scientifica sono la strada maestra per correggere quel difetto visivo, che fa fuggire tanti contemporanei verso la scuola di Hogwarts.
Tutto ciò non farà tuttavia scomparire il fantasy. Per fortuna. Farà forse scomparire il cattivo fantasy, e tornare in auge la buona FS.
Note
[1] AA.VV., “Fantasy literature: a reader’s guide”, Garland Publishing, 1990, traduzione mia!
[2] Ibid.
[3] Noto l’episodio umoristico narrato da Chesterton nella sua autobiografia, di quando principiante commesso in una editrice di tale linea, a una cliente incerta suggerì la lettura di un vero classico del genere, ma si sentì opporre uno sdegnato e veemente rifiuto, perché a suo dire la defunta autrice in persona, o meglio in visione, gliene aveva proibita la lettura. Beffardo, il nostro non poté che augurarsi che l’autrice non diffondesse troppo tali consigli, che mettevano seriamente a rischio il suo posto di lavoro…