Leopardi: la felicità e la ragione.
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La poesia che in questo senso più mi colpisce è: “Sopra il ritratto di una bella donna, scolpito nel monumento sepolcrale della medesima”.

Come sottolinea sorprendentemente il critico G. Pacella, il cuore, il filo conduttore dello Zibaldone (5000 pagine di pensieri leopardiani) è l’uomo e il suo infinito desiderio di felicità. L’esigenza di felicità è la cosa più reale che esista, e questo Leopardi l’aveva capito benissimo; l’esigenza della felicità è il motivo per cui ci alziamo ogni mattina, per cui facciamo ogni cosa. E’ anche la ragione per cui uno decide di uccidersi, come documenta quel che una ragazza suicida ha lasciato scritto ai genitori: mi avete dato il necessario e il superfluo, ma mi manca l’essenziale.
Leopardi dedica delle pagine bellissime, commoventi, alla grandezza del cuore umano e dei suoi desideri. La realtà della vita gli appare come un limite che sembra dissolvere questa grandezza; per questo il tentativo della sua poesia è cercare di andare oltre questo limite, per cogliere ciò che veramente gli interessa, gli preme. E’ quella che don Giussani chiama “sublimità del sentire”.
La poesia che in questo senso più mi colpisce è: “Sopra il ritratto di una bella donna, scolpito nel monumento sepolcrale della medesima”.
Leopardi si reca in un cimitero e su una pietra tombale nota il ritratto di una giovane donna, bellissima, e le dedica una poesia.
Nella prima strofa descrive la bellezza di quella giovane donna e le emozioni, i sentimenti che provocava negli amanti che la incontravano e alla fine si chiede: come è possibile che una donna così bella faccia una fine del genere?
E aggiunge: così la sorte riduce quel che a noi appariva come l’immagine più viva, più vera del cielo. “Misterio eterno dell’esser nostro”: la vita umana è un grande mistero che la ragione non riesce a comprendere; è il contrario di quel che afferma il “pensiero debole” oggi così in voga, che direbbe: rassegnati! Tutte le cose belle sono destinate a finire, tutto è nulla.
Seguono dei versi che sembrano riecheggiare Dante: la bellezza si manifesta come fonte di pensieri e sentimenti grandissimi, inenarrabili e appare come un raggio vibrato da un essere immortale nel deserto della vita, segno e speranza certa per l’uomo mortale di un destino superiore, di un mondo felice. Questi sono i doni di cui la bellezza della donna è portatrice. Ma poi, improvvisamente, per una violenza anche minima, quello che fu il volto di un angelo diviene inguardabile, e insieme scompare, dall’animo di chi ne aveva ammirato la bellezza, quella immagine meravigliosa che aveva generato. Ma la riflessione non si arresta, è come se risuonasse ancora il grido: che grande mistero è la vita umana!
Il poeta riprende la contemplazione della bellezza: l’armonia della bellezza della donna, così sapientemente creata, spontaneamente, genera nel pensiero dell’uomo che l’ ammira dei desideri infiniti e visioni elevate.
Questa osservazione è sorprendente nel clima culturale del tempo in cui è scritta la poesia, ma ancora di più per il pensiero dominante oggi! La bellezza della donna rimanda a qualcos’altro, l’aspetto più prezioso della bellezza (quindi di tutte le cose belle) non sta in ciò che si vede, si tocca, si misura, ma in ciò che sta dietro quella realtà, ciò a cui rimanda quel che si vede. Perché tutto quello che si vede e si tocca è effimero, finisce, è falso, mentre il nostro cuore è appagato solo da ciò che dura, da ciò che è eterno.
La poesia esprime una nuova possibilità di conoscenza, quindi della nostra ragione: la conoscenza della realtà profonda che veramente interessa l’uomo. Il sentimento che la bellezza genera non è fine a se stesso, ma è come una lente che avvicina alla nostra ragione ciò che più le interessa, ciò che è decisivo per la nostra felicità; infatti dietro la bellezza della donna c’è l’infinito a cui il nostro cuore aspira. Solo l’uomo intelligente, cioè aperto, attento alla realtà lo capisce; chi è attaccato alla propria misura è come se fosse cieco e non fosse in grado di vedere cosa c’è sotto la superficie delle cose.
A un certo punto il poeta utilizza il verbo creare: “Desideri infiniti/e visioni altere/crea nel vago pensiere/per natural virtù, dotto concento” . Creare significa fare dal nulla: la bellezza della donna crea nell’amante qualcosa di eccezionale, accade un miracolo. Il volto di una donna bellissima ha la capacità di creare nell’amante desideri infiniti, di far scoprire all’amante che il suo cuore ha una capacità infinita di amare, è fatto per l’infinito, è fatto dall’infinito, di cui quella bellezza è segno.
E questa è la seconda cosa sorprendente allora come oggi: una realtà finita e limitata, come la donna, esiste per farti conoscere, per farti fare esperienza di una realtà infinita, illimitata per cui sei fatto. Quindi l’infinito esiste e tu lo puoi riconoscere secondo la modalità del segno. La risposta che il cuore attende è dentro la dinamica del segno.Certo il segno evidenzia e insieme nasconde, tutto dipende se la tua libertà dà credito all’evidenza di positività che il segno porta con sé e vi aderisce. (“Desideri infiniti e visioni altere…splendor vibrato da natura immortal su queste arene”). E’ come il bambino che ammirando il volto sorridente della mamma, intuisce che la realtà è positiva, che è positivo essere nato, che vale la pena vivere. Così guarda con simpatia tutta la vita.
Ma allora, stando a quel che afferma Leopardi, una ragazza deve essere consapevole di non essere la risposta al desiderio di felicità del suo ragazzo, ma la grande occasione perché lui riconosca quanto è grande il suo cuore; allora l’esperienza amorosa permette di conoscere il mistero per cui l’uomo è fatto e di uscire dalla prigione delle cose banali e limitate.
Alla fine della terza strofa della poesia torna il dramma, il senso di sproporzione: se un incidente, qualcosa rompe l’armonia di quel volto e la donna muore, in quel momento quel paradiso svanisce. Ma questa esperienza non spegne la domanda di felicità dell’uomo, anzi l’accentua, perché questa domanda è costitutiva, è strutturale nell’uomo, non se ne può fare a meno. Anche questa osservazione si discosta dal pensiero debole, nichilista di oggi che suggerisce: non bisogna dare ascolto a questa domanda, perché non ha alcun senso, alcuna possibilità di risposta.
Il poeta, invece, di fronte all’esperienza contraddittoria appena descritta lancia il suo grido alla natura: “Natura umana, or come,/ se frale in tutto e vile/ se polve ed ombra sei, tant’alto senti?”
Natura umana se sei così fragile, ignobile, destinata a diventare polvere e fango, se sei una realtà inconsistente, come fanno i tuoi desideri ad essere così grandi al punto che la visione del bel viso di una donna li ridesta, li fa venir fuori?
E’ come se Leopardi dicesse agli scettici di oggi: cosa ci stanno a fare i tuoi grandi desideri se il tuo destino è quello di un sasso?
Mi viene in mente il grande C. Pavese: “Se nessuno ci ha promesso qualcosa, allora perché attendiamo?”
Il desiderio costituisce una promessa certa di risposta, si desidera, si attende ciò che c’è, ciò che ci è stato promesso ed è l’infinito che ci è stato promesso. E di questo possiamo fare esperienza.In fondo la grande poesia da Dante a Leopardi ridice continuamente questo, rende ragione di come è fatto il nostro cuore…basta essere leali con ciò che la realtà ci suggerisce e non chiudere gli occhi, come purtroppo fanno tanti.