Rileggere Il naso di Gogol
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
È noto che nei primi decenni del XIX secolo diversi grandi scrittori – da Poe a Hawthorne a Hoffmann - si dedicarono con successo al genere del racconto fantastico, che metteva in evidenza, in forme e modalità diverse, come nella realtà più o meno quotidiana potessero inserirsi elementi che quotidiani non erano. Fossero frutto di una sensibilità morbosa, dell’irruzione del soprannaturale, dell’imprevisto o fossero semplicemente sogni, questi elementi scardinavano l’idea imposta dall’Illuminismo che la ragione umana dominasse la realtà. Gli illuministi sostenevano che tutto il reale era, o sarebbe ben presto diventato, perfettamente comprensibile; se qualcosa non era comprensibile, voleva dire che non era reale. No, sembravano ribattere quei racconti, ci sono più cose in cielo e in terra di quante i “filosofi” possano prevedere; e generavano sorpresa, inquietudine, terrore, o anche una bella risata.
Uno dei più famosi racconti di quel periodo è Il naso di Nicolaj Gogol’. Pubblicato dapprima nel 1836, entrò poi a far parte della raccolta I Racconti di Pietroburgo. Divertente ed enigmatico insieme, fertile di molteplici influssi sull’arte contemporanea, può essere considerato uno dei modelli della moderna comicità dell’assurdo ed è divenuto oggetto via via di diverse letture: da quella che lo vede come una semplice dilatazione dei modi di dire imperniati sulla parola naso, a quella psicanalitica, a quella metaletteraria come metafora dell’opera d’arte che si stacca dal suo autore, diventa indipendente e più importante di lui.
Può essere interessante provare a rileggerlo nell’ottica, prima accennata, di una critica alla mentalità di derivazione illuministica.
Il racconto si compone di tre parti.
La prima inizia con una data: il 25 marzo, che non viene più ripresa o ricordata nel testo. Però Gogol la cambiò più volte prima di decidere quella definitiva, segno che le attribuiva un valore molto importante. Il lettore sa che è la festa dell’Annunciazione, una delle feste più importanti del calendario liturgico ortodosso, che ricorda l’avvenimento che ha dato inizio alla storia della salvezza.
Della data abbiamo il giorno e il mese, manca l’anno. È un primo esempio di una caratteristica di tutto il racconto: abbondano i dettagli spesso minuti, riguardanti per esempio baffi, capigliature o bottoni di uniformi; manca una visione d’insieme, manca il significato complessivo degli avvenimenti.
Il barbiere Ivàn Jakovlèvic (di lui sappiamo molti particolari precisi, ma il suo cognome è andato perduto), un tipico artigiano russo, ubriacone e trasandato, la mattina abbastanza presto trova, nel panino che la moglie ha appena cucinato, un naso e lo riconosce come il naso del suo cliente Kovalèv, che lo rimproverava sempre, durante la rasatura, che gli puzzassero le mani. Preso da spavento e spinto dall’indignazione della moglie, esce per cercare di abbandonarlo in qualche posto, lo getta nella Neva, e viene fermato da una guardia. Ma qui il racconto si perde, avvolto come da una nebbia, e di quanto sia successo in seguito non si sa assolutamente nulla.
La seconda parte del racconto è più lunga e articolata della prima, ma presenta una struttura analoga. Inizia con il risveglio, abbastanza presto, del proprietario del naso, Kovalèv, che si ritrova uno spazio perfettamente liscio in mezzo alla faccia. Kovalèv è un assessore di collegio, ricopre cioè uno dei primi gradi gerarchici della burocrazia, ma non grazie ad attestati di studio: è un assessore di collegio del Caucaso (battuta diventata proverbiale per alludere a titoli fasulli). Per darsi poi più nobiltà e più peso si definisce sempre maggiore e cerca in tutti i modi di salire nella scala sociale.
Come si può notare, nell’intreccio del racconto la sequenza del ritrovamento del naso precede quella della scoperta della sua scomparsa.
Kovalèv esce di casa nascondendo la faccia in un fazzoletto senza sapere bene cosa fare e qui il racconto ha una svolta ancora più fantastica. Egli infatti:
Tutt’a un tratto si fermò come inchiodato accanto al portone di una casa (…). Davanti all’ingresso si era fermata una carrozza (…); ne balzò fuori un uomo in uniforme e corse su per la scala. Quale non furono lo spavento e nello stesso tempo lo stupore di Kovalèv quando in lui riconobbe il proprio naso! (…) Dal cappello con le piume si poteva dedurre che si considerava in possesso del grado di consigliere di stato.
Non soltanto dunque un naso scompare dal suo posto e viene ritrovato in circostanze singolari, ma diventa anche un personaggio e porta a un grado più elevato la tendenza del suo possessore di spacciarsi per quello che non è.
Kovalèv rincorre il suo naso, che entra nella cattedrale di Kazan’.
Qui si svolge uno degli episodi più significativi del racconto, che ha una storia particolare. La censura infatti ritenne indecoroso che un episodio così assurdo avvenisse in un luogo sacro ed impose a Gogol di cambiarne l’ambientazione. Gogol ricorse allora ai Mercati Generali, ma cercò insistentemente di ritornare alla versione originale, segno che la riteneva particolarmente portatrice di senso.
Dentro la chiesa, dunque, la gente in preghiera non era molta e quasi tutti stavano in piedi vicino all’ingresso. È strano che nella festa così importante dell’Annunciazione in chiesa non ci sia una funzione e ci siano solo poche persone: segno di un cambiamento nella mentalità della gente, che non dà più importanza ai fatti che sono fondamenti della fede?
Il naso - consigliere di stato, comunque, pregava con un’espressione molto devota. Imbarazzatissimo Kovalèv cerca di convincerlo a tornare al suo posto, ma quello gli risponde con aria aggrottata:
«Vi sbagliate, egregio signore. Io sono per mio conto. Inoltre fra noi non può esservi alcuna stretta relazione. A giudicare dai bottoni della vostra uniforme, voi dovete prestar servizio in un’altra amministrazione. »
La reazione del naso, che rinnega la sua appartenenza e proclama la sua autonomia, crea sicuramente un effetto comico, ma anche inquietante, tipica com’è, diremmo noi, della modernità. Ma l’atteggiamento superbo di separazione che il naso ostenta non può non richiamare alla mente quello degli angeli ribelli. Nell’opera di Gogol il comico e l’assurdo hanno sempre a che fare con il diavolo. Infatti la reazione del barbiere al ritrovamento del naso è «Lo sa il diavolo com’è successo», e quella di Kovalev al ritrovarsi senza naso è «Al diavolo, che razza di porcheria!»
Del resto in quale amministrazione può prestare servizio un naso?
In un momento di distrazione di Kovalèv, il naso si dilegua. Quello allora, disperato, compie una serie di tentativi di recuperarlo, con particolari uno più comico dell’altro: si reca dal capo della polizia, cerca di far stampare un annuncio su un giornale, si rivolge al commissario di quartiere. Infine al poveretto non resta che tornare a casa sconsolato.
Ma qui si presenta il gendarme che aveva fermato Ivàn Jakovlèvic per consegnargli il naso: «L’hanno fermato» egli racconta, «ch’era già quasi in viaggio. Era salito su una diligenza e voleva partire per Riga. Già da tempo aveva un passaporto col nome di un impiegato. E lo strano è che anch’io in principio l’avevo preso per un signore. Ma, per fortuna, avevo con me gli occhiali e ho visto subito che si trattava d’un naso.»
Però il naso, anche con l’intervento di un dottore vicino di casa, non si riattacca.
La vicenda di Kovalev resta momentaneamente sospesa e, con una nuova svolta, lo sguardo si allarga all’intera città di Pietroburgo:
Nel frattempo le voci di quell’avvenimento insolito s’erano diffuse in tutta la capitale e, come sempre succede, non senza frange. Proprio in quel periodo l’attenzione della gente tendeva alle cose straordinarie: poco tempo prima tutta la città s’era appassionata a certi esperimenti sugli effetti del magnetismo. Inoltre, la storia delle seggiole che ballavano in via Konjušènnaja era ancora fresca…
La maggioranza della gente è divertita e incuriosita da quanto si racconta del naso e accorre nei luoghi dove si dice che si trovi per poterlo vedere.
Una piccola parte di persone rispettabili e benintenzionate, invece, era scontenta. Un signore diceva con sdegno di non capire come nel corrente illuminato secolo potessero diffondersi simili assurde invenzioni, e si stupiva come mai il governo non si occupasse della cosa. Come si vede, questo signore apparteneva alla categoria di quelle persone che vorrebbero immischiare il governo in tutto, persino nelle loro liti quotidiane con la moglie.
In modo sorprendente, in un racconto che sembra proporsi come puro divertimento fantastico, si inserisce un esplicito riferimento alla mentalità moderna, al secolo illuminato, in cui non si può più credere a simili assurdità. Gogol con feroce ironia prende di mira anche due atteggiamenti strettamente connessi con quella mentalità razionalistica. Da un lato, in stridente contrasto con essa, si è portati alle cose straordinarie: chi non vuole credere a niente finisce poi col credere a tutto, ai fenomeni del magnetismo alla moda come alle sedie che ballano. Estromesso il Mistero divino che si inserisce nella storia umana (l’Annunciazione) e le dona un senso, l’attenzione è irresistibilmente attratta verso i piccoli misteri che restano inspiegabili. Dall’altro lato si è portati allo statalismo, perché comunque qualcosa che regolamenti la vita in modo almeno apparentemente razionale ci vuole.
Anche la seconda parte del racconto termina con una dissolvenza: …di nuovo tutta la storia viene nascosta da una nebbia e che cosa sia successo in seguito è assolutamente ignoto.
La terza parte del racconto si apre con una dichiarazione perentoria: al mondo succedono le cose più inverosimili. Improvvisamente, la mattina del 7 di aprile, il naso di Kovalev si ritrova di nuovo al suo posto, come se niente fosse. Ricompare Ivàn Jakovlèvic, che si reca dal “maggiore” per fargli la barba e questi gli chiede se ha le mani pulite: tutto sembra tornare come in un circolo al punto di partenza, come se nulla fosse successo. L’ordine della narrazione che sembrava strano, perché cominciava dal ritrovamento del naso e non dalla sua perdita, serve dunque per dare proprio questa impressione.
Verificato in vari modi e sempre con successo la persistenza del naso, Kovalev da quel giorno va in giro dappertutto come se niente fosse (espressione che costituisce una sorta di ritornello delle ultime pagine), inseguendo tutte le belle signore e comprandosi una decorazione da cavaliere. Il naso, come se niente fosse, se ne stava sulla sua faccia, non dando minimamente l’impressione d’essersene mai allontanato.
L’irruzione dell’inconcepibile nella realtà, a differenza del grande Avvenimento che ha inaugurato una nuova storia, sembra dunque non portare alcun effetto: tutto riprende come prima.
Conclusa la vicenda, con un’ultima svolta, interviene una voce narrante per alcune considerazioni metanarrative: ecco dunque quale storia accadde nella nordica capitale del nostro vasto stato! Ora soltanto, considerando tutto, vediamo che in essa c’è molto d’inverosimile. (…) Ma la cosa più strana è che degli scrittori possano dedicarsi a simili argomenti. Lo riconosco, questo è davvero inconcepibile, è davvero… no, no, non posso proprio capire. In primo luogo, non ne viene decisamente alcun vantaggio per la patria; in secondo luogo… ma anche in secondo luogo non ne viene alcun vantaggio. Semplicemente non so che mai significhi tutto questo…
Non soltanto l’avvenimento non ha senso, ma anche il raccontarlo è privo di senso e di utilità.
D’altra parte, conclude il narratore, dov’è che non si verificano delle cose inverosimili? E a rifletterci bene, in tutto questo davvero qualcosa c’è. Si può dir quello che si vuole, ma simili avvenimenti al mondo accadono, di rado, ma accadono.
In altre parole, la realtà, quando la ragione pretende di dominarla, a volte si diverte a lasciarla con un palmo di naso.