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Io sono Malala 2 - Lo Swat, il posto più bello del mondo - Storia del Pakistan

Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
I primi capitoli del libro sono dedicati alla storia dello Swat, la regione in cui l’Autrice abita e alla figura di suo padre, entrambe fondamentali per la comprensione della sua vita e degli ideali che l'hanno mossa. A loro va tutto l'amore e la gratitudine dell’Autrice.
ABDUL MAJEEED/AFP/GETTY IMAGES

I primi capitoli del libro sono dedicati alla storia dello Swat, la regione in cui l’Autrice abita e alla figura di suo padre, entrambe fondamentali per la comprensione della sua vita e degli ideali che l'hanno mossa. A loro va tutto l'amore e la gratitudine dell’Autrice.

Lo Swat
Lo Swat viene descritto dall’Autrice, per le sue bellezze naturali, come “il posto più bello del mondo” e la valle attraversata da questo fiume è definita come una specie di “giardino dell’Eden”, fatto di montagne, cascate e acque cristalline, prati ricolmi di fiori selvatici, frutteti, miniere di smeraldi e torrenti ricchi di trote.
“Benvenuti in Paradiso” recita l’insegna posta al suo ingresso.
La principale città della valle, dove l’Autrice viveva era Mingora, distante 160 chilometri circa dalla capitale del Pakistan, Islamabad.
Dal punto di vista storico-religioso l'Islam è arrivato nell'11º secolo soppiantando il buddhismo.
La terra pakistana era stata nei secoli precedenti una regione dell'India e, come tutta l’India, era passata sotto il controllo, poi dominio, dell’Impero Britannico dalla fine del 1700 (1765 Controllo britannico).
Nel 1947 il continente indiano era stato suddiviso in due stati indipendenti: l'India, a maggioranza Indù, e il Pakistan, a maggioranza musulmana, proclamatosi Repubblica Islamica nel 1956 (il re aveva abdicato nel 1949).
La regione dello Swat era entrata a far parte della Provincia delle Frontiere nord-occidentali del Pakistan nel 1969. La parte orientale del Pakistan si era staccata poi come Bangladesh nel 1971.

Dopo anni complessi per contrasti interni e guerre (3 guerre con l’India), nel 1977 il generale Zia dopo un colpo di stato (nel ‘78) aveva arrestato e impiccato il primo ministro Alí Bhutto imponendo un Islam integralista.
Con il nuovo regime, secondo i dettami della sharia islamica, si era iniziata ad attuare una oppressione sistematica nei confronti dei non ortodossi e delle donne in particolare: considerate esseri inferiori, erano limitati i loro diritti, imposto il velo, si infliggevano frustate alle donne non accompagnate da un uomo, si lapidavano le adultere. Vennero create per la formazione integralista dei giovani le “madrase”, scuole particolari che prevedevano esclusivamente insegnamenti dottrinali islamici.
Pensiamo alla vicenda di Asia Bibi in Pakistan, imprigionata e condannata a morte per blasfemia nel 2009 e assolta nel 2018. Per lei, madre di cinque figli, si era mobilitata fin la comunità internazionale oltre a Papa Benedetto XVI e a Papa Francesco nel 2018. (2)
In quegli anni il paese si era diviso fra coloro che volevano l’applicazione di leggi integraliste e altri più liberali, con disordini e tensioni che costarono la vita a due politici pachistani: il governatore del Punjab, Salman Taseer, crivellato di pallottole nel gennaio del 2011, per aver difeso la donna ed essersi pronunciato contro la legge e poi l'unico ministro cristiano del governo di Islamabad, Shahbaz Bhatti, anche lui assassinato a raffiche di kalashnikov da un commando di talebani due mesi dopo, per aver chiesto una riforma della stessa legge, considerata la più retrograda dell'intero mondo arabo e musulmano.
Quando nel ‘78 i russi avevano invaso l'Afghanistan, il Pakistan aveva accolto grandi quantità di rifugiati afghani, addestrandoli militarmente e questo gli aveva procurato aiuti cospicui dall'America e dall'Arabia Saudita. Si era affermata così la jihad cioè la lotta contro gli infedeli russi, che divenne un pilastro fondamentale della religione islamica (e la presenza russa in Afghanistan durò 10 anni).

Morto Zia in un incidente oscuro nell'88, fu eletta Benazir Bhutto, figlia di Alì, prima donna primo ministro pakistano, destituita nel 1996 dopo il secondo mandato. Tutti, con questo cambio di regime, si erano sentiti più ottimisti pensando a un futuro meno integralista.
Dopo di lei, dal 1990 in avanti, generali e dittatori si sono alternati al potere.

NOTE
2. Asia Bibi
«Mi chiamo Asia Bibi e vi devo la vita». Eccomi finalmente fuori dalla mia cella, libera! Non sopporto più il silenzio. Anche ora che sono libera, il silenzio della prigione mi perseguita. Il silenzio quando ho posato il bicchiere dopo essermi dissetata. Il silenzio freddo e autoritario che scandiva le mie giornate prima di sentir risuonare nella testa le grida e gli sbraiti della folla in delirio mentre ripeteva: “A morte la cristiana”». Si apre, così, l’intenso racconto di oltre nove anni di agonia giudiziaria fatto dalla diretta protagonista, Asia Bibi, insieme alla giornalista francese Anne-Isabelle Tollet, nel libro Finalmente libera!, pubblicato in Italia dalle edizioni Terra Santa. «Avete conosciuto la mia storia attraverso i media. Avete immaginato il calvario che ho dovuto sopportare, forse avete cercato di mettervi nei miei panni per comprendere la mia sofferenza.... Eppure siete lontani dall’immaginare cos’è stata la mia vita», sottolinea la prima pachistana condannata a morte per blasfemia.
Una contadina di Ittan Wali, villaggio nella remota provincia del Punjab,(Il Punjab indiano è la parte della regione del Punjab che si trova nell'India nordoccidentale, mentre il Punjab pakistano è la parte della regione del Punjab che si trova nel Pakistan occidentale) che ha preferito restare rinchiusa «in una cella senza finestre» per 3.421 giorni piuttosto che rinunciare alla fede cristiana. Asia ricorda, in un apposito capitolo, i papi Benedetto XVI e Francesco, che non le hanno mai fatto mancare la loro vicinanza. Dopo essere rimasta nascosta in Pakistan per mesi, dall’8 maggio 2019, la donna vive in Canada sotto falso nome insieme al marito Ashiq Masih e alle due figlie.
La vicenda della donna, nata in un giorno non precisato del gennaio 1965, è nota. Un afoso 14 giugno 2009, durante la raccolta delle bacche, Asia si avvicina al pozzo per bere, utilizzando l’unico bicchiere disponibile e scatenando la rabbia delle compagne di lavoro musulmane. Haram, «impura!», urlano. La successiva lite porta alla denuncia per blasfemia, alla duplice condanna a morte e a una reclusione di più di nove anni. Meno noti, però, sono i sentimenti con cui Asia ha vissuto ogni doloroso passo. Senza reticenze, l’ex contadina divenuta sua malgrado simbolo delle strumentalizzazioni della legge anti-blasfemia, racconta la tormentata storia d’amore con l’attuale marito Ashiq Masih, padre delle figlie Isha e Isham. Il terrore per il secondino Khalil e l’affetto per la detenuta musulmana Bouguina. Il trasferimento nel carcere di Multan dove, il 31 ottobre 2018, una telefonata dell’avvocato Saif ul-Malook le comunica la tanto sognata assoluzione da parte della Corte Suprema per inconsistenza delle prove. . Ci sarebbero voluti mesi di reclusione in un luogo segreto di Karachi prima della vera e propria libertà. O meglio l’esilio in Canada insieme ai familiari, per sfuggire alla rabbia dei fondamentalisti. Nonostante la profonda sofferenza, la cristiana non smette mai distinguere tra religione e fanatismo. È il secondo ad averla imprigionata, non l’islam.

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