Aiutiamo l'islam a lasciare la violenza
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I cristiani nei paesi arabi?
"Rischiano di essere ostaggi"
“I cristiani che vivono in terra d’Islam sono ostaggi dei musulmani”. Dopo l’eccidio nella chiesa pakistana, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir lancia l’allarme. “Quell’episodio potrebbe ripetersi in tanti altri Paesi”, dice. “Tradizionalmente, quando c’è un conflitto fra un Paese musulmano e l’Occidente, quest’ultimo è identificato dalle masse islamiche con il Cristianesimo. Per la gente semplice è facile allora prendersela contro i cristiani locali. E’ stato così, per esempio, durante tutto il periodo delle crociate, e recentemente durante la guerra tra Iran e Irak ove i cristiani irakeni sono stati umiliati dai loro concittadini musulmani come durante la guerra del Golfo; e si sta ripetendo adesso”.
Samir, egiziano di nascita, dal 1986 vive a Beirut dove insegna Letteratura araba nell’università “S. Joseph”. Aperto sostenitore del dialogo con l’Islam, Samir ha esperienza diretta di conflitti a sfondo religioso. E oggi segue, dal suo osservatorio privilegiato, a Beirut, gli sviluppi di una guerra che potrebbe divenire un immenso scontro tra fedi e culture. La sua è un’analisi realista, che vede una chiave di volta nel rapporto fra Occidente e Islam nella presenza di 12 milioni di musulmani in Europa: “E’ qui - dice - che si gioca la carta dell’integrazione dell’Islam nella modernità”.
Dopo la strage di cristiani in Pakistan, torna la domanda: con l’11 settembre l’Islam ha scatenato una guerra santa?
“In un certo senso sì, ma protagonista non è l’Islam, bensì un gruppo fondamentalista. La risposta militare anglo-americana ha poi di fatto scatenato una reazione più vasta del mondo musulmano che s’è sentito aggredito e ha accolto con simpatia i proclami di Bin Laden. La reazione dei fondamentalisti pakistani era prevedibile: i cristiani che vivono in aree a prevalenza musulmana sono gli ostaggi che pagano per ciò che avviene altrove”.
Bin Laden ha incitato i pakistani alla guerra contro i crociati occidentali e a ribellarsi contro il presidente Musharraf “amico” degli americani. Che valore possono avere questi appelli alla destabilizzazione dei governi musulmani filo-occidentali?
“Non è escluso che appelli di questo tipo possano rinfocolare lo scontro in Pakistan. Quel Paese, infatti, vive da vicino il dramma dell’Afghanistan. La situazione del presidente Musharraf è molto precaria: senza un aiuto consistente dell’Occidente rischia grosso”.
L’Arabia Saudita ha mostrato un atteggiamento contraddittorio sulla richiesta Usa di utilizzare le basi militari, e non ha accettato di congelare i conti dei terroristi. Secondo Lei da che parte stanno i sauditi?
“Occorre distinguere tra i governanti - che stanno con l’Occidente - e il popolo più alcuni membri della famiglia reale che vedono questa alleanza come un tradimento dell’Islam. I governanti stessi si sentono tra due fuochi: da una parte non possono andare contro la popolazione, dall’altra i loro interessi sono legati a quelli degli Usa”.
L’Islam - attraverso gli immigrati - è ormai presente massicciamente nel cuore dell’Occidente. Cosa ci insegnano i fatti di questi giorni?
“Occorre far prevalere la ragione sui sentimenti e rimanere calmi, evitando di favorire spinte antimusulmane.
“D’altra parte, questi fatti ci fanno capire che, contrariamente a quanto si diceva, l’Islam porta in sé anche la possibilità della violenza. Essa fa parte dell’origine e del contenuto stesso della religione di Maometto: lo scopriamo con sorpresa, ma è sempre stato così. Al tempo stesso la pace è elemento fondamentale del Corano: pace e violenza convivono nell’Islam. Saranno capaci i musulmani di fare una scelta nel senso dei diritti umani, del pluralismo e di una pacifica convivenza con altri popoli e religioni?
“La risposta può essere positiva se l’Occidente li aiuta, mettendo più giustizia nei rapporti internazionali. C’è, infatti, un sentimento di frustrazione che pervade tutto il mondo musulmano: se non si svuota questo sentimento attraverso scelte coraggiose (in particolare in Palestina dove l’ingiustizia è diventata intollerabile, nel mondo arabo, e nel Sud del mondo) la miccia dello scontro è sempre accesa.
“Vorrei aggiungere un ulteriore argomento. Proprio la presenza massiccia in Europa di 12 milioni di musulmani è la chance per cambiare progressivamente il mondo islamico e avvicinarlo all’Occidente. Se i musulmani riusciranno a fare la scelta decisiva della cultura occidentale, mantenendo la loro fede, riusciranno ad armonizzare l’Islam con l’Occidente e con la modernità. Nel corso della storia l’islam è riuscito ad integrarsi in tante culture diverse; non vedo perché non riuscirebbe a farlo con la cultura occidentale. La vera difficoltà è il fatto che l’islam si trova in un periodo di crisi interna, mentre allora era in un periodo di sviluppo e di espansione”.
Ma l’integrazione è possibile? In Italia c’è chi, come Gianni Baget Bozzo, sostiene che l’Islam è per sua natura “annichilente” - nel senso che impone di convertire ciò che è diverso oppure di anninientarlo - e refrattario a qualsiasi pacifica convivenza con altre realtà.
“Quella tesi ha fondamento nella realtà. Ma la vis polemica, forse, fa dire a Baget Bozzo che nell’Islam non c’è altro che questo. In verità, l’integrazione è possibile, anche se ci sono alcune condizioni.
“Per gli immigrati musulmani deve valere la regola di accettare, pur rimanendo fedeli di Allah, di conformarsi alle leggi e ai valori fondamentali del Paese che li ospita. Se vengono con l’idea di mantenere i loro usi e costumi, le loro regole di vita, la loro commistione fra religione e politica, allora non ci sarà mai integrazione, né mutuo arricchimento.
“Gli italiani, dal canto loro, devono fare autocritica e ritrovare una comune identità italiana, che rimane essenziale per entrare in dialogo con altre identità. Ho letto che in una scuola del Nord una maestra ha eliminato il crocifisso dall’aula per rispetto a un alunno musulmano. Questa non è tolleranza. Anche se sono ateo, o di altra religione, devo riconoscere che la croce fa parte della cultura italiana da duemila anni. Se un immigrato ha una sensibilità tale per cui ogni volta che vede il segno della croce si sente aggredito, vuol dire che è più opportuno per lui cercarsi un altro Paese in cui vivere. Il musulmano che viene in Italia deve, piuttosto, imparare a capire che questo non è altro che un segno importante della cultura italiana. Io, che sono arabo egiziano, nel mio Paese accetto tanti simboli che sono tipicamente musulmani, ma che ormai fanno parte della cultura del luogo. L’integrazione si avrà quando un immigrato musulmano sarà pienamente cittadino italiano, pur conservando la propria fede”.