Condividi:

Integralismo? Non basta il pugno di ferro

Autore:
Paolucci, Giorgio
Fonte:
Avvenire

Democrazia, cultura e lotta alla povertà per battere i radicali.
“I messaggi di Benladen toccano corde profonde nello spirito di popoli frustrati”

I reiterati appelli di Benladen al mondo musulmano perché si unisca nella guerra santa preoccupano l’Occidente e dividono il mondo islamico. Ma quali fondamenti teologici hanno? Sono un abuso del Corano oppure una sua lecita interpretazione? E qual è l’impatto delle sue parole sull’opinione pubblica dei Paesi islamici? Samir Khalil Samir - gesuita, docente alla Saint Joseph University di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, grande conoscitore del patrimonio culturale islamico - mette in guardia da indebite generalizzazioni ma invita a non sottovalutare la forza devastante di certi riferimenti.

Portamento ascetico e sguardo tagliente, citazioni coraniche e minacce di morte. L’uomo che le televisioni di tutto il mondo hanno reso familiare è un traditore dell’islam o un vero muslim? Sono credibili e islamicamente fondati i suoi appelli al jihad e la giustificazione in chiave religiosa degli attentati dell’11 settembre?
Benladen è molto abile, perciò bisogna distinguere bene le sue parole. Gli attacchi alle Torri gemelle di New York e al Pentagono sono gesti terroristici e il terrorismo, come pure il suicidio dei kamikaze che hanno colpito, non trova alcuna giustificazione nel Corano o nella tradizione islamica.
Se invece consideriamo gli appelli al jihad, bisogna riconoscere che - anche se è vero che etimologicamente la parola significa sforzo interiore - storicamente ha assunto il significato di combattimento e di guerra per difendere Dio e i valori della fede, e che viene ritenuto un dovere combattere quando questi valori sono in pericolo. A differenza del terrorismo la guerra ha certe regole - per esempio non deve coinvolgere gli innocenti: vecchi, donne e bambini.
Ma sbaglia chi propone un’interpretazione in chiave meramente spiritualista del jihad. Un approccio di tipo filologico impedisce di comprendere pienamente la mentalità dei musulmani. Questo vale anche per la frase Allah akbar. Letteralmente significa Dio è il più grande, ma quando viene scandita durante le manifestazioni di piazza o in situazioni di conflitto è un vero e proprio grido di guerra, che in italiano equivale alla formula “all’attacco”. Quindi chi si limita alla traduzione filologica pensa di fornire l’interpretazione più “originale” e invece non coglie il valore autentico delle parole.


La mancanza di un’autorità e di una gerarchia paragonabili a quello che nella Chiesa sono il Papa e i vescovi favorisce la moltiplicazione delle “letture” del Corano e autorizza interpretazioni molto diverse. Visto che finora sono prevalse quelle più chiuse a un rapporto con la modernità, c’è da temere che gli avvenimenti di questi giorni rafforzino le posizioni di maggiore intransigenza? Come si può favorire lo sviluppo di un islam moderato?
Una rilettura del Corano e della Sunna che faccia i conti con la storia, che superi le interpretazioni letteraliste che si sono cristallizzate da secoli è l’unica strada che può portare a un rapporto più aperto e dinamico dell’islam con il mondo contemporaneo. Esiste un islam moderato, anzi sono convinto che la maggioranza della popolazione musulmana e dei governi sia su queste posizioni. Ma dagli anni ‘70 si è formato un cocktail esplosivo che ha come ingredienti l’insoddisfazione per le condizioni economiche e sociali in cui vivono milioni di musulmani e le tendenze radicali che attribuiscono questa situazione al tradimento delle classi dirigenti, colpevoli di avere sposato modelli occidentali e di avere tradito l’islam più autentico che sarebbe capace (non si sa bene come) di garantire migliori condizioni di vita. Gli islamisti soffiano sul fuoco, usano parole d’ordine demagogiche che fanno presa sulle frustrazioni della gente, sono diventati interlocutori obbligatori dei governi che ogni volta sono costretti a concedere qualcosa per non perdere il controllo della società civile e così aumentano gli spazi per le posizioni più oltranziste. È un circolo vizioso difficile da bloccare.


Dunque anche gli appelli di Benladen, che accusa i tradimenti di certi governi islamici colpevoli di venire a patti con l’America, risultano molto efficaci sulle masse musulmane...

È innegabile che le sue parole toccano corde molto sensibili nei cuori di gente che coltiva da decenni sentimenti di frustrazione per la propria situazione di precarietà e di rivalsa nei confronti di un Occidente vissuto come responsabile di questa situazione. Ed è altrettanto innegabile che il fatto di essere il bersaglio della reazione militare angloamericana agli attentati dell’11 settembre diventa per lui, e per quelli che nel mondo lo fiancheggiano, un elemento sul quale fare leva per chiedere la solidarietà della umma, la comunità transnazionale dei fedeli. Un proverbio arabo dice “aiuta il tuo fratello, che abbia ragione o torto”: la fratellanza religiosa prevale su altre considerazioni, e temo che sia più convincente delle dichiarazioni di Bush che insiste (giustamente) sul fatto che questa non è una guerra contro l’islam. Anche se i governi arabi ascoltano le parole di Bush, le masse sono affascinate da quelle di Benladen. Più la guerra sarà lunga, più lui e coloro che lo fiancheggiano cercheranno di fare leva su argomentazioni a sfondo religioso. E ogni volta che le televisioni ripropongono i suoi astutissimi “video”, aumenta la sua capacità di penetrazione, sia nei Paesi islamici sia tra i musulmani che vivono in Occidente.


Quali sono gli antidoti per fermare l’avanzata dei radicali nelle società musulmane?
Una strada è quella della linea dura, basata sul controllo ferreo e sulla repressione delle organizzazioni islamiste, una strada battuta con successo ad esempio da Assad padre in Siria e da Ben Ali in Tunisia e, con minore fortuna, da Mubarak in Egitto. L’altra, molto più difficile ma che potrebbe portare risultati più duraturi, è un’opera di prosciugamento del brodo di coltura che alimenta il fondamentalismo, nella quale Stati Uniti ed Europa possono giocare un ruolo primario: significa migliorare le condizioni sociali ed economiche delle popolazioni, alzare i livelli di istruzione e di cultura, affrontare con più decisione la questione palestinese che è il nervo scoperto di molte rivendicazioni, favorire la diffusione della democrazia che nei Paesi arabi è ancora una rarità, combattere le situazioni di ingiustizia. Insomma, togliere argomenti a chi basa la propria azione e i propri successi sul “tanto peggio tanto meglio”.

Vai a "Islam"