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L'Islam è un progetto totale

Autore:
Dignola, Carlo
Fonte:
L'Eco di Bergamo

Samir Khalil Samir è un gesuita egiziano, professore di Islamologia a Beirut. In Libano, terra di frontiera per l’incontro tra cristiani e musulmani, la sua è una minoranza. Eppure Samir sa di appartenere a una comunità, quella cristiana, che storicamente ha preceduto la diffusione dell’islam in Medio Oriente. Tutti i giorni con i suoi “amici arabi” discute, senza polemiche ma anche senza remore, di fede, della natura di Dio, delle leggi della comunità umana. Convinto che la verità indicata da Gesù di Nazaret sia più profonda di quella proclamata da Maometto sei secoli dopo.

“L’islam - spiega Samir - è un progetto totale, integrale. Maometto ha fatto un’esperienza di Dio, nella preghiera nel deserto, ma subito il suo è diventato un progetto politico. Che prevede anche delle alleanze con le altre religioni: quando Maometto trova delle difficoltà, quando la gente della sua tribù lo rifiuta, cerca l’appoggio degli ebrei e dei cristiani che - dice - hanno ragione sul punto essenziale: Dio è unico. La penisola arabica allora era invasa dal politeismo; la Mecca era un luogo di culto dedicato a 360 dei, uno per ogni giorno dell’anno. Fino all’anno 624 l’orientamento della preghiera musulmana era verso Gerusalemme, proprio perché Maometto si riconosceva nella corrente religiosa iniziata con l’ebraismo. Poi rompe, per motivi politici, con il popolo di Israele, e dirige i suoi fedeli verso la Mecca”.

Il Profeta chiama cristiani ed ebrei “gente del Libro”, e ha rispetto della Scrittura che lo precede, tanto che non è stato lui a scrivere il Corano ma i suoi seguaci.
“Ovviamente per un cristiano questa non è una definizione adeguata. Noi sappiamo di non essere “gente del Libro”, ma i discepoli di una persona, di Cristo. Di un avvenimento: l’incarnazione, la morte, la resurrezione. L’equivalente del Corano, per un Cristiano non è il Vangelo, ma Gesù stesso. Mi si passi l’espressione: se per noi Dio si è incarnato in Cristo, per loro Dio si è “incartato”, è diventato carta, nel Corano. Gesù è una persona sempre viva, il Corano invece con il passare dei secoli è diventato sempre più una cosa fissa, rigida, morta”.

Ci sono altre differenze importanti fra i tre monoteismi?
“Il Corano in tante cose è simile all’Antico Testamento. E’ il cristianesimo in realtà a essere una religione molto diversa dalle altre. Anziché dire che l’islam è differente dal cristianesimo, io credo piuttosto che il cristianesimo sia qualcosa di molto nuovo nella storia dell’umanità, quasi di assurdo. Più vivo con i musulmani, più studio le altre religioni, e più mi convinco di questo.
La religione, dal punto di vista antropologico, è un fenomeno culturale, sociale, politico. Spesso vediamo gruppi che difendono insieme l’appartenenza etnica e la loro religione. Lo constatiamo ovunque nel mondo: la religione è l’identità profonda del gruppo. Le cosiddette “guerre di religione” non sono di solito guerre dogmatiche, quello è un pretesto. Sono fatte per difendere un’identità.
Il Cristianesimo è l’unico a non entrare in questa dinamica: non c’è più greco o ebreo, uomo o donna, schiavo o libero - dice San Paolo. Le categorie etniche, sessuali, sociali, persino quelle religiose sono cancellate. Non c’è più che Cristo, “che è tutto in tutti”. Gesù ha rovesciato tutti i dati della coscienza religiosa dell’umanità. Non fa differenza fra credenti e non credenti (Dio manda il sole e la pioggia sui giusti e sugli ingiusti), non esiste per un cristiano cibo puro o impuro. In fondo nel Vangelo non c’è una Legge, una sciari’ah: l’unica che darà Cristo è di “amare il Signore Dio tuo come te stesso”. Ma questa non è una legge. Una legge dice: “Se farai così, ti capiterà questo”“.
vicino all’islam.

“La prima scienza per un musulmano è la giurisprudenza, non la teologia o la spiritualità, e lo stesso è nella tradizione ebraica. Se voi volete fare dell’islam una dimensione spirituale, lo state già “cristianizzando”. Io dico che il cristianesimo è un progetto più bello, i miei amici musulmani lo trovano sublime ma troppo astratto, troppo irreale: nessuno lo può vivere. Il Corano - dicono - traccia per noi una strada chiara, il cristianesimo no. “Quante volte devo perdonare?” chiedono gli apostoli. E Cristo: “Settanta volte sette”. Questo va oltre ogni legge.
I musulmani pregano solo in arabo, con le parole originali del Corano: se uno non capisce non è importante, l’importante è che abbia fatto la preghiera “come si deve”. La salvezza viene dall’obbedienza alla legge divina. L’islam è una sottomissione cieca a Dio riconosciuto nel Corano”.

Islam significa appunto “sottomissione”. Il Cristianesimo parla invece di Dio come un padre.
“La sottomissione a Dio è certamente un alto livello di religiosità. Però non c’è dubbio che il cristianesimo vada oltre questo.
Nell’islam l’idea di filiazione presente nel cristianesimo (di Gesù stesso, e degli uomini “figli di Dio”, ndr) è un modo di introdurre accanto ad Allah un altro che gli è simile. E questo va contro il famoso principio contenuto nel Corano: “Niente è simile a Dio”. L’islam teme qualunque avvicinamento, Dio rimane lontano. E’ Lui che può accostarsi all’uomo, perché è misericordioso; può chinarsi verso di me. Perciò l’Incarnazione è impensabile per un musulmano, parlare di un “Figlio di Dio” altrettanto. Il concetto latino di religione come essendo ciò che lega l’uomo a Dio, è sconosciuto in Oriente. E più ancora il concetto assolutamente cristiano che esiste un rapporto che lega Dio e me.
Cosa che naturalmente ha anche delle conseguenze sociali e politiche. San Paolo spiega che c’è la sottomissione dello schiavo e quella del figlio, e che Cristo è stato sottomesso al Padre, in quanto Figlio, fino alla Croce: questo mostra tutto un altro significato della parola “sottomissione”. In un articolo anni fa ho ripreso la parola coranica che dice che “la vera religione presso Dio è l’islam”, e l’ho spiegata sostenendo che il vero sottomesso a Dio è Cristo. Gesù è il vero “muslim”, musulmano, l’unico che si è abbandonato totalmente a Dio è il Figlio”.

I Dieci comandamenti sono validi per un musulmano?
“Sì, certamente. Essi esistevano anche prima di Mosè nella coscienza dell’umanità, all’eccezione ovviamente dei precetti positivi come quello del “giorno del Signore”. Ma la Rivelazione di Dio al popolo ebraico ha permesso di definirli in modo chiaro e stabile. La loro sostanza si ritrova anche nell’islam”.

L’islam accetta il comandamento “non uccidere”?
“Uccidere per uccidere non è accettato nell’islam, lo è invece per difendersi se si è aggrediti, oppure difendere i diritti di Dio sulla terra, la religione. Ed è proprio questo il pericolo”.

Il Corano è un libro di pace o di guerra?
“Sento sempre citare in Europa in queste settimane un famoso versetto del Corano che dice: “Non esiste costrizione in materia di religione” (Corano 2: 256). Oppure si cita quest’altro passo: “Troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono: “In verità siamo nazareni” (cioè cristiani), perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia”.
“Jihad - dicono in Occidente i musulmani colti - non vuol dire “Guerra santa”, ma “sforzo per migliorarsi”. Un articolo di Famiglia Cristiana del 30 settembre scorso era intitolato: “La Guerra santa non è nel Corano” (p. 33).
Però il Corano non è tutto qui. Ci sono anche frasi di questo tipo: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati” (Corano 9: 29)
“Combattete per la causa di Allah, contro coloro che vi combattono. Ma senza eccessi. Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio... Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti” (Corano 2: 190-191). “Combatteteli finché non vi sia più ribellione, e il culto sia [reso solo] ad Allah” (Corano 2: 193). “Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite” (Corano 2: 216). “Combattete sulla via di Allah e sappiate che Allah è audiente, sapiente” (Corano 2: 244). O ancora, contro i falsi musulmani: “...affinché [Dio] riconoscesse i credenti, e riconoscesse gli ipocriti. Quando fu detto loro: “Venite a combattere sul sentiero di Allah o [almeno] difendetevi!”, dissero: “Vi seguiremmo certamente se sapessimo combattere!”. In quel giorno erano più vicini alla miscredenza che alla fede” (Corano 3: 166-167). O ancora:
“Combatteteli finché non ci sia più politeismo, e la religione sia tutta per Allah. Se poi smettono? ebbene, Allah ben osserva quello che fanno”.
Quale delle due posizioni è quella giusta? Si deve combattere, o “non esiste costrizione in materia di religione”? Nel Corano in effetti convivono affermazioni contraddittorie. La soluzione comune degli interpreti è che il versetto più recente abroghi quello precedente. E il capitolo più combattivo del Corano, il nono - quello che i gruppi integralisti chiamano “il versetto della spada” - è considerato dagli esegeti l’ultimo, o al massimo il penultimo che sia stato rivelato al Profeta: dunque cancella tutti gli altri. I musulmani più aperti diranno che non è più il caso di applicarlo alla lettera oggi, ma per gli integralisti il Corano dà ragione alle loro posizioni. La radice di jihad vuol dire “sforzo”, ma nel Corano significa “lotta sul sentiero di Allah”. Il suo nome attivo composto è mujâhedîn, che per tutti sono i “combattenti musulmani”.
Si dice: tutte le religioni hanno fatto le guerre, i cristiani più che i musulmani. Dobbiamo capire che la guerra è un elemento costante della storia dell’uomo, non esiste una civiltà che non abbia l’abbia scatenata quando le conveniva. La questione non è se i cristiani siano più buoni dei musulmani, ma se il Vangelo e il Corano possano giustificare la violenza. Per il Cristiano il modello è Cristo, per il musulmano è Maometto, che nei suoi dieci anni a Medina fece 19 guerre. Quando Cristo invece è rigettato dal suo popolo, prende su di sé la violenza, e si fa uccidere.
E’ il Vangelo ad essere anomalo nella storia dell’uomo. Un cristiano potrà giustificare la guerra in nome della giustizia, ma non in nome del Vangelo. Dio in verità non ha bisogno di me per essere difeso, si difende da sé. Quando io pretendo di difendere Dio contro gli altri, apro una porta a tutti gli eccessi. Quando mi identifico con Dio, questo facilmente sconfina nel terrore”.

Per il cristiano c’è una differenza tra la “città di Dio” e la “città dell’uomo”.
“Faccio un esempio concreto: io difendo la Palestina a tutti i costi, ma sono molto contrario al movimento Hamas, che ha rovinato la causa di questo popolo. Non è perché sono cristiani che io difendo i palestinesi, ma perché l’ingiustizia dev’essere riparata. E in questo senso sono cristiano. Se tu la difendi in nome dell’islam, io che sono cristiano non condivido più la tua posizione. Se la mettiamo sul piano della religione - come fanno anche egli ebrei - non si troverà mai un accordo. Tutte le religioni ragionano così, tranne il cristianesimo. Io in quanto cristiano ho dei principi, e li difendo anche nella politica. I musulmani invece tentano di unirsi fra di loro, e di creare una lobby in grado di esercitare una pressione”.

Come vede la convivenza in Europa?
“Vivere con uno che è diverso da sé non è mai facile, neanche tra marito e moglie; questo è normale, è la sociologia a dirlo. Ma difficile non vuol dire impossibile. Qui in Europa il musulmano si sente debole, e si difende chiudendosi nella sua identità. La donna si mette lo chador, anche se nel suo paese non lo metteva; a Torino c’è stata tempo fa una protesta di donne musulmane che volevano comparire velate sulla carta d’identità, salvo poi scoprire che sul loro passaporto marocchino erano a viso scoperto. Gli uomini si vestono con una tunica e si fanno crescere la barba. E’ un modo per dire: siamo diversi. Si può solo sperare che sia una fase provvisoria, un po’ adolescenziale dell’integrazione.
I musulmani arrivano in Italia con un’idea del rapporto tra religione e politica molto diversa dalla nostra, cristiani. Ma per noi arabi l’Europa rappresenta anche il sogno di tanta gente. Gran parte delle persone guardano all’Occidente positivamente. Se oggi in Egitto offriste gratis a tutti un biglietto aereo e un lavoro in Italia, il paese si svuoterebbe. E non è solo una questione economica: è in qualche modo stimato il clima di democrazia, di pace che avete creato.
Il musulmano però è religioso per natura. In Oriente tutti sono religiosi: l’ateo - mi ha detto una volta un imam proprio di Milano - per noi è qualcosa di simile all’animale. Che cosa si aspettano i musulmani dagli italiani? Rispetto, comprensione, magari amicizia. Un musulmano ha più gioia nell’incontrare un cristiano che un uomo che non ha religione.
Non si tratta per voi di perdere la vostra identità: la ricchezza è se voi non cedete sulla vostra cultura e la vostra fede, a meno che non ci sia in esse qualcosa di sbagliato. Si tratta di cercare insieme i valori. In Cina e in India, ora che con la tecnologia si può sapere di che sesso è il nascituro, le bambine si uccidono nel ventre materno, a decine di migliaia; anche nel mondo arabo c’era questa tradizione di sopprimere le figlie femmine, e l’islam l’ha combattuta. Ma è chiaro che la nostra concezione della donna è più grande. Io ne discuto spesso con i miei amici musulmani: la loro posizione non è ragionevole.
Questa discussione aiuta a maturare, e a ripensare la propria tradizione. Infatti paesi come la Tunisia e la Turchia, più vicini all’Occidente, già cinquant’anni fa hanno cancellato dalla loro legislazione le posizioni più discriminatorie. Non si tratta di distruggere l’islam, ma di permettergli di entrare in dialogo con la modernità.
Perché, in realtà, è questo il problema dei musulmani. Loro oggi fanno un’equazione fra modernità, Occidente, ateismo e immoralità. Questa è l’immagine che noi diamo: vedono il dilagare della pornografia, la prepotenza militare esercitata ovunque, la decadenza morale, fino all’ateismo, che è la parola che riassume tutto. Se invece potessero vedere che modernità va assieme a fede, se vedessero cristiani felici, guarderebbero alla modernità non come qualcosa di anti-religioso, che loro non possono accettare.
Io credo che l’Occidente abbia una missione bellissima: far scoprire gli aspetti positivi della sua cultura. Ma anche viceversa: il musulmano ci aiuta a riscoprire valori che abbiamo perso. In Oriente poche persone restano sole: sono sempre inserite in una comunità. Da noi servono poco gli psichiatri, perché c’è una catena di solidarietà umana, tipica di tutto il terzo mondo: qualcosa che si è perso in Occidente.
Il buon musulmano quando deve pregare prega, non si chiede cosa ne penseranno gli altri, perché Dio è al primo posto. In Italia non è più chiara l’identità cristiana. Prevale magari un atteggiamento borghese, di difesa, di razzismo. Ma vivere insieme sarà necessario, per ragioni demografiche ed economiche”.

I musulmani qui però non possono vivere come in Arabia.
“Ci sono atteggiamenti che non dobbiamo accettare. E’ naturale pretendere che chi viene in Italia accetti la cultura del paese che lo ospita, altrimenti finirà marginalizzato, sarà infelice. Il vero rispetto del musulmano mi spinge a dire: ti aiuto a integrarti.
Non è che il sistema sociale occidentale sia migliore del loro, ma sarebbe una falsa carità cedere sui principi civili dell’occidente. Quando i musulmani a Milano il venerdì si mettono a pregare in viale Jenner, senza il permesso del Comune, quello è un atto politico, sbagliato, ha per scopo di mostrare agli altri che “noi musulmani siamo forti, numerosi, prestenti”. Sbagliato, perché la strada appartiene a tutti. Anche per fare una processione bisogna chiedere il permesso al Comune.
Dobbiamo avere idee chiare, e denunciare ciò che è falso. Il musulmano non ha imparato a distinguere religione e politica, mentre qui è obbligatorio, e dobbiamo insegnarglielo, piaccia o non piaccia”.

La condizione in cui vivono i cristiani in Arabia saudita, o in Pakistan, non è certo di accoglienza: chi porta una croce finisce davanti a un tribunale.
“I musulmani tradizionalmente dividono l’umanità in tre: fedeli (muslim), infedeli (kâfir), e “credenti non perfetti”, cioè ebrei e cristiani, cittadini rispettati, tollerati, ma non eguali. I cristiani per i musulmani erano i “protetti dai musulmani”, e per questa protezione pagavano una doppia tassa, “per testa” (cioè per ogni persona) e “per la terra”. Dalla prima guerra mondiale la situazione dei cristiani nel mondo musulmano è cambiata, è migliorata. Poi dagli anni ‘70 prima in Oriente poi ovunque si è diffusa l’intolleranza, e ci sono paesi come Nigeria, Sudan, lo stesso Egitto, dove i cristiani sono discriminati, perché si è imposta una concezione duale: o fai parte della umma, la comunità dei credenti, o sei kâfir, un infedele.
Questi 12 milioni di musulmani che vivono da voi in Occidente, se si acculturassero e imparassero a convivere con le differenze religiose e politiche, cambierebbero il mondo musulmano; sarebbero un motore di rinnovamento dell’islam “.

C’è una responsabilità dunque in questo momento storico.
“Proprio questa è la nostra missione: far capire che cosa significa per noi essere cristiani. Per secoli la Chiesa ha mandato missionari in Oriente ad annunciare il Vangelo, e spesso essi hanno dichiarato la propria impotenza a causa della pressione sociale, politica di quei contesti. Ed è vero: non c’è libertà in quei paesi. Adesso qui in Europa ci sono tutte le condizioni per permettere, nella libertà, la scelta umana. I musulmani oggi in Occidente hanno tutto, ma non trovano più i cristiani”.

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