L'Islam e la scienza
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11. - Un dettaglio che va attentamente esaminato, nell’insieme del sistema religioso dell’Islam, è quello che esso esprime a proposito della causalità fisica e, in definitiva, a proposito delle scienze naturali. L’unicità di Dio e del suo attributo di Creatore è intesa nel senso che, in realtà, non esiste altra causa se non Dio. Anche per le opere umane, il mussulmano deve dire che esse sono opere di Dio, magari con una formula come “Dio le crea e l’uomo le fa”, che è una sostanziale negazione di una libera causalità attribuibile all’uomo. A maggior ragione, ciò deve ripetersi per le cause nemmeno apparentemente libere, come sono le cause naturali. Anche quelli che sembrano effetti delle cosiddette cause naturali devono essere in realtà creati da Dio, come le stesse cause in questione. Per spiegare l’uniformità che, almeno apparentemente, scopriamo nel mondo, il mussulmano ricorre alla formula per la quale Dio “ha l’abitudine” di creare gli effetti susseguenti come se fossero effetti conseguenti delle cause naturali, che in realtà non esistono. Come si vede, è una concezione del mondo analoga a quella che nella filosofia occidentale fu detta occasionalismo, per esempio quello di Malebranche. Appare evidente l’incompatibilità dell’ortodossia mussulmana con le scienze naturali intese come ricerca e analisi delle cause naturali, perché allora queste scienze sono intese dall’ortodossia mussulmana come antagoniche al fatto della unicità dell’attributo di Creatore eternamente proprio a Dio. In sostanza, non esiste per l’Islam né la possibilità né la necessità né il bisogno di razionalizzare il mondo, specialmente il mondo fisico. Quindi, per il mussulmano, l’accettare la possibilità o l’esistenza di scienze come la fisica, la chimica, la biologia e così via, è un porsi su una qualche linea eretica e quindi un porsi in una situazione almeno emotivamente irregolare. Perché, per il mussulmano, l’attaccamento, anche fanatico, all’Islam è soprattutto emozionale, è fede con una forte componente sentimentale inclusa quella nazionalistica, in rapporto col libro, il Corano, parola diretta di Dio, sul quale egli ha imparato a leggere e a scrivere e ad amare Dio e la società dei credenti, accomunati dalla fede in una società di privilegiati per la fede, una fraternità mondiale di credenti. Ora è piuttosto chiaro che una tale situazione mentale, qual è il rifiuto delle scienze naturali, esige la permanenza del popolo della società mussulmana in un determinato livello culturale, livello che diremmo prescientifico, in cui l’unica scienza è il Corano, trasmesso con amore e fedeltà. Questo non significa che, in un ambiente islamico, non potessero nascere le scienze naturali. Anzi, ci fu una lunga epoca in cui, per esempio, l’Algebra e la Medicina dei paesi islamici (per esempio, allora, la Spagna), erano ben superiori a quelle dei paesi cristiani, i quali finirono per andare a scuola nei paesi islamici. Ma gli uomini delle scienze islamiche dovettero ricorrere a ogni sorta di ripieghi per evitare che l’antinomia tra le scienze e l’Islam degenerasse in un sospetto d’eresia. Ma quando l’evolversi della storia porta qualcuno, cresciuto in ambiente islamico, a contatto o addirittura in collaborazione con una società scientifica o tecnicizzata, come quelle del mondo occidentale o dell’est, cioè con una società dove è essenziale l’accettazione globale della razionalità del mondo, reso prevedibile dal fatto di conoscerne le leggi e di poterle manipolare, allora, in alcuni casi, si verificherà un tentativo di rifiuto, da parte dell’eredità islamica, e di resistenza alle nuove condizioni, oppure e più generalmente si avrà un tentativo dell’Islam di adattarsi alle nuove condizioni ponendo la religione in un accordo o in un non disaccordo tollerabile con le nuove condizioni storiche. “La maggioranza dei mussulmani colti che ricevono un’educazione occidentale, dimorando a lungo in Europa o in America (o nei paesi dell’est), sembra essersi adattata ad una posizione di semplice rispetto e di affetto per la religione avita, che è ritenuta anche mezzo efficacissimo di affermazione nazionalista. In essi certo fermenta ancora l’eredità dell’antico fanatico attaccamento all’Islam. Ma il contatto con la civiltà nuova, l’influenza del razionalismo, hanno mutato spesso la vera e interna fede. Non si delinea in essi perciò con forza sufficiente il bisogno di portare in accordo le credenze professate e non sentite (più) profondamente, con i progressi delle scienze e della filosofia: le due sfere d’interessi, sostenuta ognuna da forze assai diverse, si toccano senza confondersi. Il popolo, però, non sente il problema e la sua fede ingenua lo raggruppa intorno alla intransigenza conservatrice degli Ulema”.
Di conseguenza, tra il quieto fanatismo del popolo fossilizzato in una specie di medioevo islamico e l’atteggiamento di puro legame nostalgico con una concezione religiosa che si rispetta ma non si accetta più, da parte di una più o meno vasta classe colta di origini islamiche ma profondamente tecnicizzata, è possibile in linea teorica una differenziazione di fatto, quando sia il popolo come la classe colta entrano nell’area di una civiltà tecnica con tutti i sottintesi che essa comporta. Ci sono già adesso scienziati, anche di molta fama, di origine islamica. Ma ci sono stati e ci sono ancora molti mutamenti nelle condizioni socio-economiche di molte popolazioni islamiche, che possono suggerire come possibile, a scadenze più o meno lunghe, l’avverarsi di quella differenziazione. Si pensi alla Turchia, alle regioni con popolazioni islamiche in URSS e nella Cina, al Medio Oriente e all’Africa del Nord, dove il petrolio importa sì petrodollari, ma anche tecnici e tecnologie e il bisogno di impararle. E forse occorrerebbe un profeta per sapere che cosa accadrà da questa reazione tra l’Islam e le tecniche.
12. - Da quando nel mondo esiste ed opera il marxismo militante e guerriero, nelle forme che tutti conoscono, l’Islam sta offrendo lo spettacolo, veramente degno di nota, di una specie di impenetrabilità a codesto nemico dichiarato di ogni concezione religiosa del mondo. Non si tratta soltanto di una capacità di resistenza contro questa aggressione ideologica, e nemmeno del potere di far fiorire revivals religiosi contro l’aggressione stessa, come talvolta avviene in nazioni già marxistizzate, né del sorgere di una efficiente apologetica o magari di qualche o di molti martiri. Si tratta semplicemente del fatto, bene sperimentato, che nei paesi islamici il marxismo non attacca, qualunque sia l’insieme di lusinghe o di armi che esso dispiega come veicolo del suo ateismo e del suo materialismo, compresi i denari. Come casi esemplari, citeremo l’Egitto, la Libia, la Somalia, lo stesso Iraq, che pure hanno accettato o forse ancora accettano aiuti di ogni tipo dall’URSS, ma non accettano la concezione atea del mondo.
Da parte del popolo islamico, questo sembra essere il risultato della sua lunga educazione ad accettare il Corano senza mai discutere: “Obbedite a Dio e al suo Profeta” [sura 3, 29] e anche ad accettare interpretazioni storiche come quelle implicite in una celebre dichiarazione di al-Hasan al-Basri: “Non con la spada ma con la penitenza si ottiene da Dio la riparazione delle ingiustizie sociali”. Per cui neanche l’esca della giustizia sociale che, a ragione o a torto, dà il via in molte coscienze per l’adesione al marxismo, riesce a tanto nelle coscienze islamiche. Per queste coscienze, la giustizia sociale, come ogni altra giustizia, è creata da Dio unico e misericordioso, non dalla rivoluzione, e tantomeno dalla rivoluzione senza o contro Dio.
Se fosse possibile penetrare nelle segrete strategie dei fabbricatori di rivoluzioni, si potrebbe anche arrivare a pensare che essi, per esempio, facciano anche conto sul processo di differenziazione tra popolo incolto e classe colta, di cui abbiamo detto nel paragrafo precedente. Se questo fosse il caso, l’esito del confronto tra marxismo e Islam dipenderebbe da quanto a lungo l’Islam potrà mantenere la sua carica di fede nell’affermazione che la giustizia sociale è opera di Dio e non della rivoluzione. In ogni modo, avvertendo il pericolo di un tale confronto, l’Islam opererebbe saggiamente, secondo la sua tradizione storica, se cercasse degli alleati, per esempio presso le altre grandi religioni, da cui Maometto stesso attinse quando iniziò la sua missione, tanto più che tutte queste religioni riconoscono e adorano lo stesso Dio.