Nel digiuno il realismo della pace
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Il Papa dei cristiani parla a tutti, anche ai musulmani. Non sale in cattedra, ma esorta ciascuno ad andare fino al fondo della propria tradizione, sapendo che solo lì può trovare ragioni di incontro che sono più forti di quelle che inducono a dividersi. “Lui sa che chi torna alla fonte trova acqua più limpida, e in questo momento serve acqua limpida per lavare le ferite che si sono aperte, in particolare dopo l’11 settembre”.
Samir Khalil, gesuita, di origine egiziana, docente alla Saint Joseph University di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, islamologo di fama mondiale, si dice sinceramente ammirato dall’intuizione profetica contenuta nella richiesta di digiuno lanciata da Giovanni Paolo II. Ed è convinto che “quest’arma spirituale lascerà il segno in chi avrà il coraggio di adoperarla”.
Che effetto fanno le parole del Papa a chi, come lei, appartiene alla tradizione degli arabi cristiani che hanno alle spalle secoli di convivenza con i musulmani, nel bene e nel male?
In un momento in cui si tende a enfatizzare ciò che divide, Giovanni Paolo II parte dal positivo che si trova in ogni uomo e in ogni tradizione religiosa. Egli sa che il digiuno, richiamando alle cose essenziali, costringe sia i cristiani sia i musulmani a riscoprire che la vita appartiene a un Altro, e che solo approfondendo questa coscienza possono diventare capaci di costruire una pace duratura, fondata sulla giustizia. Quando invece si perde questa consapevolezza, prevalgono le ragioni della forza e ha buon gioco chi vuole usare la religione per scopi politici o per dare motivazioni nobili al terrorismo.
All’Angelus di lunedì scorso il Papa ha ricordato che “la pace o la violenza germogliano dal cuore dell’uomo, sul quale Dio solo ha potere”. E che, “convinti di ciò, i credenti adottano da sempre contro i più gravi pericoli le armi del digiuno e della preghiera”. Dice “armi”, capisce? Armi, non parole a vuoto o vaghe esortazioni spirituali. Potrà sembrare un’utopia, e invece trovo che sia profondamente realistico: nessun cambiamento del mondo può essere duraturo se non parte dal cuore dell’uomo, e il digiuno è uno strumento formidabile per questo.
Ciò non significa negare la necessità del ricorso alla forza per fermare il terrorismo, ma riaffermare che una nuova convivenza internazionale non può che fondarsi sulla centralità della persona. All’arma del terrorismo o della guerra oppone l’unica arma non violenta, quella del digiuna e della preghiera: due approcci della realtà del nostro mondo !
Come viene vissuto il digiuno di Ramadan nei Paesi musulmani?
È uno dei cinque pilastri della fede islamica, un atto pubblico di sottomissione ad Allah con una forte valenza collettiva.
Ma dietro un’apparente compattezza sono cresciuti piccoli e grandi tradimenti. La tradizione prevede che venga accompagnato dalla preghiera e dalla lettura del Corano, ma questo accade sempre più raramente, e invece si pone sempre di più l’accento su ciò che si fa dopo il tramonto: cene, feste, divertimenti. In Egitto, ad esempio, in questo periodo c’è un’impennata dell’importazione di generi alimentari, i consumi aumentano, le televisioni moltiplicano la programmazione notturna: insomma, sembra che quello che accade dopo il tramonto sia diventato più importante del digiuno, e il Ramadan è stato ridotto a un mese di festa...
I fondamentalisti criticano questa deriva consumistica e mondana e sottolineano la valenza politica del Ramadan come gesto forte della umma (la comunità transnazionale dei fedeli). E in questi anni hanno moltiplicato le cosiddette “cene della misericordia” (Mâ’idat al-Rahma) offerte ai poveri, che sono nello stesso tempo segni della solidarietà tra fratelli di fede tra membri della ummah islamica, e occasione di propaganda e di denuncia dell’incapacità dei governi di risolvere i problemi della gente. Un’incapacità che, accusano, nasce dal tradimento del Corano e della sciari’a: e così anche questo aspetto della tradizione musulmana viene buttato in politica.
Il digiuno è una componente importante nella spiritualità delle Chiese orientali...
La Chiesa copta pratica il digiuno circa 200 giorni all’anno. Al paragone, il Ramadan è qualcosa di leggero...
E proprio dalla pratica abituale del digiuno deriva la sua forza spirituale, ma non lo fa mai con ostentazione, al punto che i musulmani spesso non sanno neppure che i cristiani stanno digiunando.
Con il suo appello il Santo Padre ha toccato un punto fondamentale della spiritualità cristiana, purtroppo un po’ dimenticato da voi occidentali, e talvolta recuperato da piccoli gruppi (come accade in Italia con i radicali) che lo fanno però in maniera “oppositiva”, considerandolo un’arma politica più che un’occasione di conversione.
Tra i cristiani c’è chi esprime qualche perplessità sull’opportunità di proporre una giornata di digiuno proprio nel periodo di Ramadan e denuncia i pericoli di una deriva sincretista. C’è persino chi allude a una sorta di Ramadan cattolico...
Innanzitutto va chiarito che questo gesto assume significati diversi nelle due tradizioni religiose: per i musulmani è un pilastro della fede e ha una dimensione pubblica, per i cristiani è un atto totalmente libero e di santificazione personale, al punto che il Vangelo chiede di praticarlo in segreto.
Ma Giovanni Paolo II ha voluto partire dal fatto che il digiuno è un elemento significativo per entrambi e chiede di riscoprirne il significato di purificazione e di richiamo all’essenzialità dall’esistenza.
Nel suo significato più pieno, il digiuno non è soltanto la rinuncia al cibo, ma a qualcosa a cui si è particolarmente attaccati: per esempio la tv, le sigarette o altro. Rinunciando a ciò che solo in apparenza è irrinunciabile, ci si educa a scoprire l’essenziale, ciò che conta davvero.
Altro che Ramadan cattolico: il Papa resta fedele alla tradizione biblica, ma nel contempo evoca qualcosa che ha un grande significato anche per musulmani ed ebrei. Non propone equivoci avvicinamenti “in maschera”, esorta ad andare alla profondità delle rispettive tradizioni. È convinto che le ragioni di un dialogo in verità si possono trovare solo in Dio, e ritiene che questa sia anche la modalità più efficace per arginare le derive fondamentaliste che agitano l’islam e per isolare coloro che danno motivazioni religiose al terrorismo.
Ritiene che questo appello possa fare breccia tra i musulmani in un momento in cui si accentuano le diffidenze nei confronti di un Occidente ritenuto nemico dell’islam?
Proprio ieri, al termine di un confronto in tv, un esponente musulmano mi ha confidato che il Papa ha fatto centro nei cuori di molti islamici Con questo gesto vengono spiazzati proprio coloro che nel mondo musulmano gridano che il nemico dell’islam è il binomio Occidente-cristianesimo. Il capo della Chiesa esorta i suoi fedeli a compiere un gesto di penitenza e di preghiera nel giorno di venerdì, che è centrale nella tradizione cristiana, ma anche nel periodo sacro all’islam, il Ramadan appunto.
È una testimonianza eloquente del fatto che il cristianesimo non può essere ridotto alle strategie politiche dell’Occidente, e insieme un invito a ritrovarsi su un terreno che è più alto e più profondo delle divisioni politiche e militari. Altro che utopia spirituale, questo è realismo: il vero cambiamento del mondo non può prescindere dalla conversione dei cuori di ciascuno. Sono convinto che il digiuno ci aiuterà a capirlo un po’ di più.