Otto per mille alla comunità islamica?
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Prima pensiamo ad aumentare il 6 per mille, cioè la percentuale di cristiani eletti al Parlamento egiziano.
Su un totale di 454 deputati, i cristiani sono appena 3, nonostante i copti costituiscano il 15% della popolazione e il 20% dell'economia egiziana.
Tra i funzionari pubblici, la quota sale un pochino, ma non supera l'1,5 per cento.
In Iran, per non perdersi in troppi calcoli, viene concesso soltanto un parlamentare ai cristiani e uno agli ebrei.
Non sono queste, comunque, le cifre più impressionanti della persecuzione che colpisce i cristiani nei Paesi islamici.
Basti pensare che in Iran la vita di un "miscredente" vale decisamente meno di quella di un musulmano: in caso di incidente, il risarcimento dovuto è di oltre 100 volte inferiore.
Lo stesso accade in Arabia Saudita, dove non si può nemmeno aspirare ad avere un funerale ed essere seppelliti.
Così, si è obbligati a pagare una somma equivalente a circa 3.300 euro per espatriare il cadavere di un proprio congiunto.
Quando pretendono privilegi, i musulmani che vivono in Italia dimenticano anche un altro particolare: il Corano impone ai "popoli del Libro", cristiani ed ebrei, il pagamento di una tassa di protezione, la jizya, mentre i "credenti" versano un'imposta diversa, la zakat.
Se qualcosa di simile accadesse da noi, strillerebbero al razzismo.
Invece non protestano mai contro i misfatti compiuti della mezzaluna in quella parte del mondo dove è stata imposta la legge coranica.
Per il 2001, se ne può tracciare un bilancio provvisorio, tratto dal Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre sulla libertà religiosa nel mondo, che sarà presentato il 27 giugno.
Anche tacendo delle migliaia di morti causate dal terrorismo islamico in Occidente, nelle Filippine, in India, in Russia e in Israele, i numeri risultano agghiaccianti e quasi incredibili.
Dopo le migliaia di morti del 2000, una trentina di vittime e migliaia di sfollati a cui le bande della Laskar Jihad ha bruciato le case in Indonesia, sono quasi 800mila i profughi cristiani sudanesi della guerra condotta contro di loro dal governo islamico.
A Khartoum, durante una cerimonia religiosa non autorizzata, sono stati arrestati 100 cristiani: la metà è stata condannata a 15 colpi di frusta e 20 giorni di carcere.
Il 5 febbraio 2001, 92 assassini musulmani, imputati dell'omicidio di 20 cristiani copti e di un musulmano, sono stati assolti dal tribunale egiziano di Sohag.
Nessun colpevole nemmeno per le chiese cristiane bruciate nel 2001 da musulmani: una nel Malawi, una in Sudan, due in Kenya, cinque in Malesia, tredici in Nigeria, decine in Indonesia.
La legislazione marocchina stabilisce che tutti gli edifici dove un musulmano abbandona l'islam per convertirsi a una religione diversa vadano chiusi.
In Libia, non può esservi più di una chiesa cristiana per città.
Qualsiasi attività missionaria è proibita anche negli altri Stati islamici, persino in quelli "laici" come la Tunisia o la Turchia.
Dove si riesce a ottenere la licenza edilizia per una chiesa, come negli Emirati Arabi, poi si rischiano dai 5 ai 10 anni di galera, come è accaduto recentemente a Dubai a 3 missionari americani, accusati di aver diffuso materiale religioso ai passanti.
I rarissimi cristiani somali vivono in clandestinità: si tratta di due famiglie e di pochi altri individui a cui è impedito anche di incontrarsi tra loro.
Fino alla presa di Kabul, del resto, gli infedeli afghani erano costretti a indossare un panno giallo che permettesse il loro riconoscimento.
Se non fossero arrivate le truppe Usa, otto volontari occidentali e 51 loro collaboratori locali sarebbero andati incontro alla pena di morte per "proselitismo".
Chi sta rischiando realmente la morte sono decine di filippini accusati di aver svolto attività di propaganda cristiana in Arabia Saudita.
Anche per loro si prospetta la pena capitale.
Ugualmente, la pena di morte è prevista dal codice penale della Mauritania, se un apostata non ritorna alla religione islamica.
Lo stesso vale anche per chi non si presenti per tre volte alla preghiera del venerdì.
In Sudan, la pena capitale è riservata solo agli apostati.
Più blanda, ma anche più insidiosa, la legge pakistana sulla bestemmia: si può essere accusati da un vicino di aver offeso Allah.
Chiamati a risponderne davanti al giudice, si deve dichiarare se si crede a Dio e al suo profeta Maometto.
E anche qui, almeno in teoria, negare la fede coranica può coincidere con la decapitazione.
Anche se ora va di moda il relativismo culturale, bisogna saperlo: è per introdurre questo mirabile modello di civiltà che i musulmani ci chiedono sgravi fiscali.