La clonazione
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La notizia ha fatto il giro del mondo, rimbalzando velocemente sulle reti informatiche da una agenzia di stampa ad un'altra. Per una settimana le nostre case, gli uffici e le scuole si sono trasformati in tante anticamere di laboratori di ricerca e di sale parto: dopo Dolly, la pecora scozzese divenuta più famosa della cantante americana di musica country Dolly Parton da cui ha preso il nome, e dopo le due scimmiette nate anch'esse per clonazione all'università dell'Oregon, a chi toccherà ora?
Se la scienza della riproduzione avanza velocemente, la fantasia di molti ed il pretenzioso desiderio di pochi corrono ancora di più, ed arrivano a "concepire" allevamenti di capi di bestiame tutti identici come gocce d'acqua o con caratteristiche così "umane" che neanche George Orwell avrebbe potuto immaginare per la sua "Fattoria degli animali". E la generazione "programmata" o "replicata" di una persona umana? Viene la vertigine e la nausea solo all'affacciarsi alla mente dell'idea, se ancora un barlume di dignità e di verità di noi stessi alberga nella nostra coscienza. Quale spaventoso vuoto d'umanità si palesa d'innanzi a noi, quale inconsistenza ideale e morale c'è in tutta questa corsa alla vanità del playing God, del "giocare a fare come Dio", secondo l'espressione coniata da alcuni filosofi americani negli anni ottanta. La vanità di Adamo ed Eva si ripete nella creatura che vorrebbe prendere il posto del suo Creatore e perde così la sua statura, annullandosi. È il concetto di vanità espresso nella Bibbia con il termine ebraico hebel, che significa "nullità", vuoto inconsistente e abissale. "Essi andarono dietro al nulla, e divennero essi stessi nullità" (Ger 2,5). È il leopardiano "abisso orrido, immenso ov'ei precipitando il tutto oblia", sul cui ciglio l'umanità si sta pericolosamente affacciando, dimentica della sua origine, del suo volto, del suo destino.
Come l'erba sono i giorni dell'uomo,
lo investe il vento e più non esiste,
ma la grazia del Signore è da sempre.
Di fronte a questa prospettiva, lontana e vicina allo stesso tempo, le prime reazioni sono state la paura e lo sdegno. Un coro di tremanti "no" si è levato contro la clonazione, con qualche voce stonata qua e là. Ma la paura - l'emozione, il sentimento che insorge di fronte ad un pericolo reale o presunto - non è una virtù, e perciò non è in grado di fondare l'atteggiamento morale dell'uomo, anche se essa rappresenta un ineliminabile fattore del rapporto con la realtà. Un'etica (o una politica) fondata sulla paura assomiglia assai più ad una fragile scialuppa di salvataggio incaricata di gestire un naufragio e sballottata alla deriva, che non ad una robusta nave capace di accompagnare con decisione l'uomo e l'umanità al suo destino. Il timore e lo sdegno devono cedere presto il passo alla lucidità del giudizio, nel quale la ragione si apre alla realtà secondo la totalità dei fattori in gioco nella vicenda della clonazione, senza nulla censurare. Ciò non eliminerà la paura (essa appartiene all'esperienza del soggetto che conosce), ma la ricondurrà al suo giusto posto, mettendo bene a fuoco la lente su ciò che la prospettiva della clonazione investe e pretenderebbe di trasformare.
La moralità di un gesto è definita dal rapporto tra l'azione ("libertà") che l'uomo in esso compie ed il significato ("verità") di quella realtà investita e trasformata dal gesto, significato che è in relazione con il senso di tutta la realtà, con il significato del "Tutto". Riconoscere che alcune applicazioni della clonazione, e tra queste anzitutto il tentativo sull'uomo, non sono eticamente accettabili e renderebbero immorale chi deliberatamente le persegue, vuol dire mettere in relazione il processo della clonazione con il significato della riproduzione in ordine alla vita degli animali e soprattutto della procreazione in ordine alla vita umana.
Clonazione come contro-senso biologico?
La clonazione tecnicamente è un processo citogenetico ed embriologico attraverso il quale si ottiene la formazione di un nuovo organismo - che naturalmente si riprodurrebbe per via sessuata attraverso la fertilizzazione di un gamete femminile da parte di quello maschile -, utilizzando il patrimonio genetico nucleare completo di un individuo della stessa specie. Gli animali così formati risultano quasi uguali tra loro (anche se non del tutto identici, perchè molte caratteristiche del corpo dipendono non solo dai geni ma anche dall'ambiente), e ciò consentirebbe di garantire la omogenea produzione degli allevamenti e la diffusione di razze pregiate con caratteristiche selezionate o con organi potenzialmente utilizzabili per scopi biomedici (ad esempio, i trapianti).
Questo tentativo si configura entro un legittimo intervento sulla riproduzione animale, con cui l'uomo attraverso la ragione scientifica e l'ingegno biotecnologico contribuisce a migliorare, rispettandolo, il corso dei processi naturali? No. Qual è infatti il significato creaturale e biologico della riproduzione animale? La sopravvivenza della specie in ordine a sé e all'uomo. La clonazione, se applicata in modo incontrollato rappresenterebbe un "contro-senso" biologico dalle conseguenze imprevedibili, e la sua attuazione costituirebbe una irresponsabilità, un errore della libertà. È la sessualità che garantisce la varietà di una popolazione attraverso la diversità degli organismi che la compongono. La varietà all'interno di una specie, come aveva già intuito Darwin a metà del secolo scorso, assicura ad essa la possibilità di "sopravvivenza" nelle mutevoli condizioni ambientali cui andrà incontro nel tempo. La varietà degli individui non è solo una apprezzabile qualità estetica - "il mondo è bello perché è vario" -, ma conferisce ad alcuni organismi un formidabile vantaggio biologico che rappresenta la migliore garanzia per la vita e la salute delle generazioni future. La produzione di molti discendenti uniformi sarebbe svantaggiosa poiché, essendo tutti uguali o simili, cercherebbero di sfruttare le stesse opportunità e risulterebbero vittime degli identici pericoli per la loro vita e salute. Se due genitori avessero sette figli, tutti desiderosi di restare nella stessa città e di avere a loro volta mogli e figli, non favorirebbero certo il fatto che diventino tutti e sette medici, data la oggi alta competitività professionale in campo sanitario, o tutti e sette piloti di formula uno, in considerazione dell'elevato rischio di incidenti.
Ma se la clonazione è, per ogni specie sessuata, un "contro-senso" biologico, l'idea di una sua applicazione sull'uomo rappresenterebbe un "anti-senso" antropologico, l'ultimo gradino di quella progressiva e snaturante riduzione della "pro-Creazione" a "produzione", cui ci stanno abituando le tecniche di fertilizzazione in vitro e di manipolazione dei gameti umani. Non più una donna e un uomo che si offrono l'un l'altro in un gesto d'amore che ne fonde i due corpi in "una sola carne" (Gen. 2,24) da cui nasca la carne di una nuova umana creatura (che viene dal Mistero e appartiene ad un Altro che la dona ai due sposi), ma una serie di atti biotecnici diversi, nessuno dei quali ha la struttura veritativa di un rapporto interpersonale tra uomo e donna: prelievo delle cellule, coltura in laboratorio, fusione, analisi citogenetica, selezione, trasferimento nel corpo della donna, ... Se fino ad oggi si è percorsa la strada di una atto coniugale senza generazione (contraccezione) e quella di una generazione senza atto coniugale (fecondazione artificiale), si vuole dunque giungere fino ad una generazione senza sessualità, dimentica dell'originario atto divino che "maschio e femmina li creò" (Gen. 1,27)? Tutto sarebbe allora misurato e costruito, ma senza quella relazione originaria e originante dentro alla quale siamo costituiti dal Mistero che ci fa essere in un rapporto unico e irripetibile con i nostri genitori. "Se io sono la misura di tutto, allora è giusto misurare anche i figli (non solo nella quantità, ma perfino nella qualità). La fede invece ci dice proprio il contrario: che io non sono mio, ma di un Altro. Solo da questa persuasione è resa possibile una procreazione responsabile, nella quale entra anche il calcolo, perchè la ragione è anche questo. Ma non in modo egoistico. Piuttosto come voglia di "rispondere" nel modo più vero e giusto possibile alle attese di Colui al quale appartengo e per il quale metto al mondo i figli" (L. Giussani, Conversazione sul matrimonio).
L'identità e l'individualità di ogni persona umana non si fonda semplicemente sulla unicità del genoma e delle condizioni ambientali di sviluppo (come per gli animali), e neppure solo sulla irriducibilità delle dimensioni antropologiche fondamentali (autocoscienza e libertà) alla struttura fisica del proprio essere, ma si radica più profondamente nel singolare rapporto con il Creatore, cui appartiene, e con i due genitori ("pro-creatori") ai quali è stato donato di generarlo attraverso un atto d'amore.