Loreto, la Chiesa in Italia ed il problema educativo (Parte II)
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ROMA, mercoledì, 12 settembre 2007 (ZENIT.org).- “La questione della ecclesiasticità italiana è fondamentalmente una questione culturale”, sostiene monsignor Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro.
Il presule precisa, tuttavia, che “l’ecclesiasticità può guidare la Chiesa come movimento educativo solo se il mondo ecclesiastico è composto di uomini che hanno una cultura nata dalla fede e proprio per questo sono capaci di educare e di portare i giovani e gli adulti a un confronto critico e sistematico con le altre culture”.
Quali prospettive, ma soprattutto quali compiti vede lei per il nostro cammino futuro? Quali sono le luci e le ombre?
Monsignor Negri: Allora dove sta la difficoltà per la quale noi Vescovi e preti non ci tiriamo dietro le folle che riesce a tirarsi dietro ora Benedetto XVI e prima Giovanni Paolo II? Quando tutto questo vasto mondo che segue il Papa ritorna nelle singole parrocchie o nei movimenti diventa numericamente quasi irrilevante. Dove sta la difficoltà per cui tanta vita ecclesiale invece di essere il luogo dell’educazione reale alla vita di fede, cioè alla pienezza dell’umanità, finisce per essere una realtà a carattere associativo che si colora di caratteristiche psicoaffettive?
Quanti gruppi sono una psicoanalisi “fai da te” o si colorano di caratteristiche moralistiche o di impegno solidaristico, ma non hanno l’integralità della proposta cristiana! Questi gruppi finiscono per essere delle sottolineature tendenzialmente esaurienti, perciò diseducative, perché soltanto una proposta integrale educa, mentre un particolare assolutizzato è diseducativo. Qui si apre il discorso sulla adeguatezza del mondo ecclesiastico italiano a questo grande compito educativo.
Evidentemente non è un problema di coerenza morale e neanche di intenzionalità, è un problema culturale e metodologico. L’ecclesiasticità rischia di frenare questo impeto educativo. Il mondo ecclesiastico fa fatica ad assumersi un vero compito educativo e quindi a vivere fino in fondo questa responsabilità. Permangono nella ecclesiasticità italiana le fatiche di una formazione teologica che mostra difficoltà gravi a cui in qualche modo la Conferenza Episcopale Italiana ha risposto con la promulgazione di un documento sulla formazione dei candidati al sacerdozio.
Nella stagione della mia formazione teologica nella grande scuola di Venegono, che negli anni Settanta raggiungeva forse la sua massima espressione, la teologia era il tentativo di arrivare alla coscienza critica e sistematica dell’esperienza cristiana. Il fattore promozionale di questo movimento stava in quella sintesi preziosa di Parola di Dio, di Tradizione e di Magistero che metteva in moto la domanda teologica. Poiché la sintesi di Parola, Tradizione e Magistero era dentro al popolo cristiano, la teologia si faceva lì dentro e aveva come preoccupazione quella di far crescere la coscienza della fede dell’intero popolo.
Da un certo punto in poi anche nel campo della formazione teologica italiana è passato un principio errato, quello che nel fare teologia il principio promozionale debba essere o astrattamente la Parola, nella sua riduzione di parola scritta, o la cultura mondana. Così fattore promozionale è diventata da una parte l’esegesi, che si pretende oggettiva e pura, invece, come ha dimostrato Benedetto XVI, è subalterna ad opzioni di carattere filosofico, antropologico e sociale, dall’altra parte le parole d’ordine della cultura mondana: l’ermeneutica, la lotta per la giustizia sociale, il progresso scientifico-tecnologico, il pensiero debole, ecc.
Una teologia che si fa sotto la spinta esclusiva di un’esegesi la quale corre il gravissimo rischio di ridurre la fede ad analisi di testi, oppure una teologia che è preoccupata di essere accolta dall’ideologia mondana, non può diventare un fatto entusiasmante, non può comunicare ai giovani l’entusiasmo critico della fede.
La questione della ecclesiasticità italiana è fondamentalmente una questione culturale. In questo senso la nostra Chiesa deve un grande debito di gratitudine al Cardinale Ruini, che soprattutto attraverso il progetto culturale della Chiesa italiana ha ridato all’intero popolo di Dio la coscienza della propria identità culturale. Occorre che questo movimento dell’intelligenza e del cuore verso una comprensione più profonda del mistero della fede sia il movimento del cuore dei pastori e dei preti. Su questo punto c’è moltissimo ancora da fare e moltissimo da chiedere al Signore.
L’ecclesiasticità può guidare la Chiesa come movimento educativo solo se il mondo ecclesiastico è composto di uomini che hanno una cultura nata dalla fede e proprio per questo sono capaci di educare e di portare i giovani e gli adulti a un confronto critico e sistematico con le altre culture. Diversamente noi non creiamo degli uomini capaci di dialogare, ma uomini che finiranno per essere subalterni alla cultura dominante.
Per terminare offro due brevi considerazioni. Mi pare che non siamo ancora usciti da quella terribile confidenza di Paolo VI a Jean Guitton: “Vedo affermarsi nella Chiesa un pensiero non cattolico e lo vedo diffondersi in un modo consistente. Può essere che ci siano giorni in cui questo pensiero non cattolico sia il più diffuso numericamente nella Chiesa, ma non sarà mai il modo di pensare della Chiesa”.
Non è ancora superata questa profonda e drammatica delineazione del problema che Paolo VI aveva tracciato, insieme alla certezza granitica che il modo di pensare non cattolico, anche se molto diffuso, non potrà mai ottenere avvallo e riconoscimento da chi guida la Chiesa. Mi pare che si possa uscire da questa situazione di crisi e assumerci la responsabilità che la storia ci dà soltanto seguendo effettivamente il Papa.
La seconda considerazione è che alcuni teologi ed esegeti dicono di essersi convertiti alla posizione del Papa, superando posizioni anche molto lontane. Spero che sia così, anche se fino ad ora non ho elementi per dire che siano state tutte conversioni adeguate e non interessate.