Condividi:

Vita e morte nel grembo di Maria

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il tempo liturgico che precede l’inizio dell’Avvento è accompagnato dai testi dell’Apocalisse che aprono lo sguardo del credente non al mistero della fine del mondo, bensì al mistero delle cose ultime, cioè del destino eterno dell’uomo.
Centro e cuore dell’apocalisse è il mistero dell’Agnello e della donna che partorisce un figlio maschio: Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto (Ap 12,1-2) Questa donna, che la tradizione cristiana ha sempre identificato con la Vergine Maria che ha dato alla Luce il Salvatore, è anche l’immagine della Chiesa che nel deserto della storia partorisce a Cristo nuovi figli.
Il testo biblico continua, infatti, così: Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. (Ap 12, 3-6)
Nell’icona di questa donna, a ben vedere, vita e morte giocano l’ultimo duello ed è la parabola più efficace per il mese di novembre, che mentre ci fa riflettere sul nostro destino ultimo, cioè quello della morte con la festa dei Santi e dei Defunti, ci apre lo sguardo a quella vita che non muore misteriosamente fiorita nel grembo della vergine.
Recenti episodi come quello della decisione di sospendere l’alimentazione a Eluana Englaro e, dunque in sostanza, condannarla alla morte per fame e sete rendono questo duello tra vita e morte drammaticamente attuale.

Per questo invece di commentare un dipinto vorrei fermare la nostra attenzione su un’immagine Achiropita (cioè non fatta da mano d’uomo) straordinaria: la tilma di Juan Diego cioè la cosiddetta Madonna di Guadalupe la cui festa ricorre proprio a metà dell’avvento: il 12 dicembre.
Questa immagine, che è stata studiata con i più potenti mezzi della scienza e della tecnica, continua a stupire non meno della Sindone e del volto straordinario del Cristo di Manoppello.
La vicenda è nota: Juan Diego, umile indio della terra azteca, incontra una giovane Signora dalla quale viene ripetutamente inviato dal vescovo pregandolo di costruire per lei una cappella in quel luogo. Il vescovo non pare prendere sul serio la richiesta fino a quando Juan Diego non gli porta, in pieno inverno, un mazzo di rose bianche raccolte nella tilma, una sorta di poncho usato dagli indios. Quando le rose si rovesciano a terra, sulla tilma dell’uomo compare l’immagine della Vergine di Guadalupe.

La tilma è costituita da due teli di ayate - un rozzo tessuto di fibre d’agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti - cuciti insieme con filo sottile. Su di essa si vede l’immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori al naturale - la statura è di 143 centimetri - e di carnagione un po’ scura, donde l’appellativo popolare messicano di Virgen Morena.
La Vergine appare circondata dai raggi del sole e con la luna sotto i suoi piedi, secondo la figura della Donna dell’Apocalisse, i tratti del volto non sono né di tipo europeo né di tipo indio, ma piuttosto meticcio - cosa “profetica” al tempo dell’apparizione - così che oggi, dopo secoli di commistioni fra le due razze, la Vergine di Guadalupe appare tipicamente “messicana”. Sotto la falce argentata della luna un angelo, le cui ali sono ornate di lunghe penne rosse, bianche e verdi, sorregge la Vergine che, sotto un manto verde-azzurro coperto di stelle dorate, indossa una tunica rosa “ricamata” di fiori in boccio dai contorni dorati, e stretta sopra la vita da una cintura color viola scuro.

Questa immagine, poco decifrabile per un europeo, nasconde per l’indio una miriade di significati.
La Vergine appare con la testa leggermente reclinata sulla spalla destra, atteggiamento proprio delle schiave indie; anche la cintura viola annodata sopra la vita è un tipico “segno di riconoscimento” presso gli aztechi delle donne incinte di umili origini. Al collo, la misteriosa giovane porta un gioiello, una giada, simbolo della vita presso gli aztechi, al centro della quale compare una croce cristiana, ma può essere anche il quicunce, simbolo di Quetzalcoatl. Questa donna si presenta dunque come serva e regina ad un tempo.

Dalla posizione delle mani e dal capo inclinato, possiamo dedurre che la Vergine riverisce Qualcuno più grande di lei. Il manto, simbolo del cielo e del potere, la copre completamente ed è dello stesso colore di quello che portavano i re aztechi (tlatoani). D’altra parte la Signora appartiene alla terra, come indica il colore della tunica: rosato come l’aurora nella Valle di Messico.

In particolare la posizione delle mani della Vergine nel linguaggio indigeno significava “cerco casa” . Cerca casa in terra ma, sul manto, ella porta una vera e propria mappa del cielo stellato. Alcuni astronomi dell’osservatorio di Laplace (Città del Messico) hanno riscontrato che la posizione delle stelle sul manto corrisponde alle costellazioni presenti sopra Città di Messico al solstizio d’inverno del 1531 - solstizio che, dato il calendario giuliano allora vigente, cadeva il 12 dicembre - viste però non secondo la normale prospettiva “geocentrica”, ma secondo una prospettiva “cosmocentrica”, ossia come le vedrebbe un osservatore posto “al di sopra della volta celeste” .
Secondo don Mario Rojas Sánchez, traduttore dei testi náhuatl sull’apparizione e studioso della cultura azteca, i grandi fiori in boccio visibili sulla tunica della Vergine sono straordinariamente simili al simbolo azteco del tépetl, cioè del monte, e la loro ubicazione sulla tunica disegnerebbe una “mappa” dei principali vulcani del Messico.

La giovane donna con la molteplicità del linguaggio figurato invita l’indio a contemplare i principali misteri della fede cristiana. Ella è serva e regina: serva di un Dio che “cerca casa” fra gli uomini e regina dei cieli e della terra; questa Regina parla però al suo interlocutore, un povero indio appunto, in piedi e non seduta come voleva il costume azteco, maya e spagnolo. L’indio cioè percepisce che la nobiltà di questa donna non è la stessa dei dominatori. Anzi ella si rivolge a lui prima di rivolgersi al Vescovo. La dignità dell’indio è sottolineata anche dal nome con cui la Vergine lo chiama: «Juantzin», «Juandiegotzin», parole normalmente tradotte con Juanito, Juandieguito. Però in nahuatl la desinenza -tzin è anche indice di riverenza e di rispetto.
La Vergine sta in piedi sopra quella che appare una mezza luna, ma è in realtà una cometa, simbolo di Quetzalcoatl e appare fra canti melodiosi d’uccello.

Il Dio annunciato dalla Vergine di Guadalupe porta nomi ben conosciuti dagli aztechi: - la madre del Dio di verità - la madre del datore della vita - la madre del creatore degli uomini - la madre del Signore della vicinanza e dell’unità - la madre del Signore del cielo e della terra. Nomi che parlano dell’essenza di Dio nella sua relazione con il mondo e con l’uomo.
La Vergine del Tepeyac è modello per tutti quelli che non accettano passivamente le circostanze avverse della vita personale e sociale, ma proclamano con lei che «Dio innalza gli umili» e «rovescia i potenti dai troni». Come madre, la Vergine esprime il desiderio di essere presente tra i suoi figli in modo permanente, di stabilire un dialogo, una comunione, e di vedere realizzata l’unità dei credenti. Per questo chiede che in quel luogo venga costruito un tempio, una casa che sia punto di riferimento a cui accorrere per invocare l’unico vero Dio da lei annunciato. Lì vuole essere amata e invocata, lì vuole che i suoi figli imparino a confidare in lei: regina e serva tra gli uomini.

Afferma la Gaudium et Spes: «Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però dalla rivelazione, che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e nella corruzione rivestirà l’incorruzione: e restando la carità con i suoi frutti, saranno liberate dalla schiavitù del male tutte quelle creature, che Dio ha fatto appunto per l’uomo».
Allora, ogni vita e ogni respiro troverà il suo senso. Nulla è casuale nel piano di Dio, neppure le vite spezzate come quella di Eluana. Colui che vede le cose dall’alto, al di sopra dei cieli, come attesta il manto della Vergine, le vede anche dal basso, cioè dall’umile prospettiva dei piccoli come Juan Diego.

Vai a "Ultime news"