Agire cristiano e agire marxista
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L’articolo “Fratello Stalin e sorella Rai (Radio3)” mi ha suggerito alcune considerazioni.
“Per la dottrina marxista una azione è morale o immorale a seconda che sia pro o contro la rivoluzione proletaria”.
La frase è virgolettata perché fu questa la risposta che mi diede il mio professore di filosofia, prof. Ercole Chiari, in classe, al Liceo Scientifico di Rovigo, nel 1979. Tale affermazione fu per me una rivelazione ed è curioso che io la debba ad un insegnante di fede marxista.
La prima conseguenza di tale convinzione è che la pena capitale negli U.S.A., patria del capitalismo, è un orrendo crimine. Mentre il genocidio compiuto in nome della Rivoluzione è un atto dovuto o, al massimo, un male necessario e minore. A questo criterio si è attenuto coerentemente sempre chi si richiama a queste dottrine, fino ai fatti di questi giorni relativi all’estradizione che il presidente del Brasile ha negato. Questo modo di pensare è marcatamente contrario al cristianesimo dove esiste invece, a quanto capisco, una scala di responsabilità esattamente opposta: sbagliare sulla spinta delle emozioni è meno grave di sbagliare con motivazione ideologica.
Un paio d’anni dopo, a un corso biblico, un famoso teologo laico, ex-gesuita, sosteneva la correttezza morale della teologia della liberazione sulla scorta dello stesso ragionamento: la povertà di chi è oppresso giustifica la reazione contro l’oppressore dove il termine “giustifica”, viene chiarito, va inteso in senso letterale di “rendere giusto e morale”, e non nel senso comune di “attenuare la responsabilità”.
Quando sorgono discussioni su questi temi accade spesso che la foga polemica inneschi una sorta di gara a chi cita più crimini dell’una e dell’altra parte. Ma così si perde di vista la questione fondamentale. Non si tratta di contare i morti ma di chiarire che il miglior ideale di questo mondo diventa assolutamente immorale se per realizzarlo si decide a priori di sacrificare chi non acconsente o chi non è utile.
La Cambogia ha perso tre milioni di abitanti (su un totale di sette) uccisi con i metodi più orrendi solo perché “non erano utili alla costruzione del socialismo” (dichiarazione di Pol Pot a un convegno in Sri Lanka, estate 1978). In Italia le informazioni su quanto accadeva sono state a lungo censurate.
La frase che ho posto all’inizio ha anche un’altra implicazione anti-cristiana: la divisione in classi. Non si può stravolgere il vangelo fino ad affermare che Gesù Cristo difendeva le ragioni della classe sociale oppressa (i poveri, i bambini, le donne, i Samaritani) contro quella degli oppressori (i ricchi, i potenti, i preti, i Romani). Per il cristianesimo non esistono classi, esiste il cuore di ciascuno di noi che deve convertirsi ogni giorno.
Ma forse qualcosa possiamo davvero imparare dal modo di agire dell’ideologia marxista e, ancora una volta, ci viene insegnato direttamente da un loro esponente.
L’articolo riporta infatti anche commento, che definirei sconfortante, di una frequentatrice del sito RAI: “In una grande città, dove le parrocchie hanno rinunciato alle catechesi, preoccupate di riempire gli spazi della solidarietà sociale, siete la sola voce che educa il popolo di Dio”. Questa frase dovrebbe mettere in allarme chi si occupa dell’educazione Cattolica, della ri-evangelizzazione dell’Europa, del Progetto Culturale per l’Italia: occorre un piano d’azione per riportare la preparazione catechetica a livelli accettabili. Che l’ideologia, dopo aver “rubato” la carità (contrabbandata come rivoluzione) ora si porti via anche l’istruzione cristiana mi sembra davvero un po’ troppo.
Non sarebbe ora che i figli della luce si svegliassero e imparassero dai figli delle tenebre? Anni fa ho letto il libro “La missione continua” (ora disponibile online) di padre Piero Gheddo e mi è sempre rimasto impresso quanto è scritto al capitolo 1:
«Stupisce che la svolta epocale nel campo della comunicazione (specie dopo l’irrompere della televisione) venga recepita dai documenti ecclesiali, ma poi la Chiesa stessa continui a programmare la sua pastorale sostanzialmente con strumenti e linguaggi tradizionali. (...) Anni fa ho riportato integralmente su “Mondo e Missione”, da una rivista cattolica indiana, la lettera di un dirigente del Partito comunista dell’India ad un sacerdote cattolico suo amico. La ripropongo:
Secondo noi, comunisti indiani, voi preti cattolici siete indietro di almeno duecento anni. Ignorate tutti i sistemi moderni per diffondere le idee. Con i soldi voi costruite istituzioni, noi stampiamo libri e giornali. Voi aprite scuole e insegnate ai bambini a leggere ed a scrivere, ma poi non date loro nulla da leggere. Noi diamo tutto, dal manifesto murale al giornale, dal libro all’opuscolo adatto ad ogni età e situazione. Voi avete molta stampa pia, ma poca stampa di idee. Voi avete tipografie ma le fate funzionare soprattutto per guadagno, noi per la propaganda. Voi distribuite latte in polvere, noi idee. Voi vi preoccupate di riempire lo stomaco, noi la mente. Voi dite che sono le idee che guidano il mondo e la storia, ma poi non le diffondete. Sul piano delle idee noi comunisti vi abbiamo battuto perché formiamo l’opinione pubblica, mentre voi ne siete incapaci. Dovreste spendere cento volte di più per la stampa, per il cinema, per la radio e la televisione, per libri, manifesti, opuscoli, schemi di discussione, riviste di qualsiasi tipo; per favorire chi vuol studiare e chi si dedica alla formazione dell’opinione pubblica».
Questo testo ci riporta agli anni ’70 ma mi pare sia ancora pienamente valido anche se va tenuto conto che è la valutazione fornita da un politico ateo.
Giusto per buttar lì qualche idea: perché la televisione satellitare cattolica non comprende cicli di catechesi (Bibbia, Liturgia, Patristica, ...) calibrati per le varie età? Perché la stessa non valorizza le catechesi del Papa trasmettendole in diversi orari e magari montandole con immagini e filmati? La catechesi lasciata a livello parrocchiale sotto casa, piatta e uguale per tutti, è ancora l’unica opzione in un mondo in cui tutti i giorni ci si sposta per andare a scuola o al lavoro?
(Lettera firmata)