Amare rende intelligenti
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«Dio dei cristiani, Dio dei musulmani. Che cosa ci unisce, che cosa ci divide?» Questo è il titolo di un ottimo saggio scritto da François Jourdan per i tipi Lindau (2010). Si tratta di un valido strumento per approfondire la conoscenza comparativa delle due grandi religioni monoteiste, al di là della banale superficialità che spesso aleggia attorno al ragionare degli irenici dialoganti e degli ecumenisti ad oltranza.
Il fenomeno dell’islam è troppo serio per essere lasciato alle ingenuità naïve di quei cristiani che limitano il confronto al fatto che, in fondo in fondo, crediamo tutti nello stesso Dio.
Lo sa bene François Jourdan, sacerdote laureato in teologia, storia delle religioni e antropologia religiosa, dal 1998 delegato della diocesi di Parigi per le relazioni con l’islam, dal 1994 al 1998 docente di mistica islamica al Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica di Roma, e attualmente docente all’Institut Catholique de Paris e all’École Cathédrale. Il giudizio di François Jourdan non nasce dal piacere intellettuale della disquisizione accademica, ma soprattutto dalla sua concreta esperienza personale. Non è indifferente, infatti, che egli sia stato missionario in Africa, dove, tra l’altro, è venuto a contatto con l’islam quando è vissuto in Marocco, così come ha incontrato personalmente la realtà musulmana quando ha percorso in lungo e in largo la Tunisia, l’Egitto, il Libano, la Giordania, la Siria e la Turchia.
Per questo nel suo saggio François Jourdan riesce ad evidenziare con una lucida concretezza quali siano le reali differenze tra islam e cristianesimo, e ad ammettere realisticamente che la profonda diversità tra le due religioni appare, per molti tratti, assolutamente inconciliabile.
Solo attraverso la piena consapevolezza di questo divario incolmabile, potranno maturare i presupposti per uno scambio proficuo, in grado, se non di eliminare le distanze, almeno di favorire il rispetto reciproco, di arginare le derive fanatiche dell’intolleranza, di favorire un amore nei confronti dei fratelli musulmani che sia frutto di un approccio intelligente con la diversità.
L’alternativa si riduce ad un inutile melting pot, un impresentabile minestrone in cui tutto sembra apparentemente indistinguibile, ma dove a prevalere, in realtà, è sempre la spezia più forte e caratteristica.
Questo rischio è stato ben rappresentato dalla polemica esplosa l’anno scorso sul Palio di Siena dipinto da un artista mussulmano, sul quale campeggiava una figura di S. Giorgio perfettamente islamizzato, e l’immagine di Maria Santissima, patrona del Palio, la cui corona conteneva segni cristiani ed islamici, inneggianti ad un vago sincretismo religioso.
In quell’occasione Sua Eccellenza Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, ebbe il coraggio di denunciare il rischio di quello che «il Santo Padre Benedetto XVI ha chiamato l’inquinamento interno della nostra fede, che ci rende tutti così vulnerabili e manipolabili dalle potenze mondane». «Che almeno non chiamiamo il nostro silenzio una virtù evangelica», ha proseguito Mons. Negri, «e non contrabbandiamo la soggezione alla mentalità mondana come dialogo ecumenico ed interreligioso».
Se non si ha chiaro questo concetto, non si riesce a comprendere ciò che è accaduto a Benedetto XVI nel suo ormai celeberrimo discorso di Ratisbona. In quell’occasione, infatti, il Santo Padre – come ha ricordato sempre mons. Negri – non ha attaccato la dottrina islamica, ma ha chiarito, attraverso una splendida lectio magistralis, l’identità della cultura europea e le sue debolezze, attorno a quel fondamentale principio che è la ragione, aperta alla ricerca del Mistero. Sulla ragione, infatti, il Pontefice non ha potuto non chiarire una differenza fondamentale fra l’identità dell’occidente greco-ebraico e cristiano e l’identità islamica, che è di altra natura ed ha altri riferimenti fondamentali, tutta incentrata nella prospettiva di una volontà sganciata dalla ragione, e che può tradursi facilmente nella dimensione della violenza. Come hanno prontamente dimostrato le reazioni inconsulte e furiose del mondo islamico a quel discorso del Santo Padre.
Ed è proprio la brutale violenza del fanatismo che sta alla base di quelle odiose forme di persecuzione cui i cristiani sono sempre più esposti in alcune aree particolarmente calde dell’arcipelago musulmano, come l’Iraq, il Pakistan, l’Afghanistan. Anche a questo proposito il Vescovo di San Marino non ha usato mezze parole per commemorare l’ennesimo episodio di martirio dei cristiani di quelle terre: «Si vede chiaro ogni giorno che passa, in barba a tutti gli irenismi e a tutte le ricerche delle moderazioni, che il terrorismo internazionale ha un obiettivo esplicito: la conquista islamica del mondo e, all’interno di questo obiettivo che certamente sarà a più lunga scadenza, un obiettivo più immediato cioè la distruzione del cristianesimo in Terra Santa, nel Medio Oriente e poi, più o meno, in tutti i paesi anche di antica tradizione cristiana».
Del resto, esattamente un anno fa, un altro coraggioso Pastore della Chiesa Cattolica, Sua Eminenza il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga, aveva pubblicamente denunciato i rischi derivanti dalla perdita d’identità della civiltà occidentale, nei rapporti di dialogo con l’islam. «L’Europa pagherà caro», tuonava il porporato, «l’abbandono delle sue fondamenta spirituali», ricordando che «questo è forse l’ultimo periodo, destinato a non continuare per altri decenni, in cui esiste ancora la possibilità di reagire». «A meno che i cristiani non si sveglino», continuava nel suo accorato intervento il cardinale «l’esistenza umana sarà islamizzata, e il cristianesimo non avrà la forza di imprimere il suo carattere nella vita delle singole persone, per non parlare della società», questo perché «l’Europa ha rinnegato le proprie radici cristiane, quelle radici su cui si è innalzata e che potrebbero darle la forza di sventare il pericolo concreto ed attuale di essere gradualmente conquistata dai musulmani». «Alla fine del Medio Evo e all’inizio dell’epoca moderna», proseguiva l’ex arcivescovo di Praga, «l’islam non è riuscito a conquistare l’Europa con le armi, perché i cristiani allora lo sconfissero; oggi la battaglia si compie con armi spirituali, e in questo campo, mentre gli europei sono assolutamente privi di strumenti da combattimento, i musulmani appaiono armati di tutto punto». «Ecco il motivo per cui», concludeva il cardinale con toni pessimistici, «la caduta dell’Europa è all’orizzonte».
Qualche giorno fa è stato reso pubblico un interessante studio del Pew Center Research, autorevole e prestigioso think-tank di Washinghton, intitolato The Future of the Global Muslim Population - Projections for 2010-2030.
I dati sono impressionanti.
Nei prossimi vent’anni la popolazione musulmana mondiale aumenterà del 35 per cento, passando dall’attuale miliardo e seicento milioni (2010) ai due miliardi e duecento milioni d’individui (2030).
Grazie all’immigrazione ed all’alto tasso demografico, l’area in cui si registrerà un particolare aumento della presenza islamica, sarà proprio l’Europa.
Nel Vecchio Continente, infatti, la popolazione musulmana crescerà di circa un terzo nei prossimi venti anni, passando dall’attuale 6 per cento all’otto per cento, ovvero, in numeri assoluti, da 44.100.000 abitanti del 2010 ai 58.200.000 del 2030, anno in cui gli stessi musulmani supereranno il 10 per cento della popolazione in dieci paesi europei: Kosovo (93,5%), Albania (83,2%), Bosnia-Erzegovina (42,7%), Macedonia (40,3%), Montenegro (21,5%), Bulgaria (15,7%), Russia (14,4%), Georgia (11,5%), Francia (10,3%) e Belgio (10,2%). La Russia continuerà a detenere il primato della maggiore popolazione islamica in termini assoluti, essendo previsto che nel 2030 passerà dagli attuali 16.400.000 a 18.600.000. Il dato russo contiene un ulteriore elemento interessante: la crescita dei musulmani è prevista con una media dello 0,6% annuo, che corrisponde esattamente alla stessa media di decrescita della popolazione non musulmana. Ogni anno, quindi, mentre i seguaci del profeta Maometto aumenteranno dello 0,6%, tutti gli altri diminuiranno nella stessa percentuale.
Nel Regno Unito le prospettive sono che la popolazione musulmana raddoppi nei prossimi venti anni, toccando quota 8,2 per cento; in Austria la stessa popolazione musulmana dovrebbe raggiungere il 9,3 per cento (oggi 5,7), mentre in Svezia è prevista una percentuale del 9,9% (oggi 4,9), in Belgio una percentuale del 10.2% (oggi 6), ed in Francia una percentuale del 10,3% (oggi 7,5%).
Questo è lo scenario futuro che ci attende.
Tale prospettiva, che appare oggi irreversibile, impone un’adeguata riflessione. E poiché non sono molti, purtroppo, gli strumenti di giudizio a disposizione di chi voglia riflettere,
il saggio di François Jourdan, anche per questo, rappresenta una rara occasione da non perdere.