Eluana e il lupo
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Eluana e il lupo. Potrebbe sembrare il titolo di una favola, se non fosse che nelle favole il lupo è personaggio minore e la protagonista viene salvata. In questa storia triste, e nota, la protagonista non viene salvata da nessuno. Viene fatta morire di fame e di sete.
E’ una storia, questa, in cui non si può dire neanche “trattata come un cane”, perché non c’è paragone: Eluana è stata trattata peggio, molto peggio di un cane!
Eluana e il lupo in verità si incontrano solo virtualmente, ma vale la pena mettere a confronto le loro storie, perché entrambe, per ragioni simili e diverse, hanno avuto grande risonanza nei mass-media. Sarà dunque dei mezzi di comunicazione di massa che ci occuperemo, per riflettere su quanto siano incisivi (e spesso decisivi) nell’orientare e suggestionare lettori e spettatori, fino a condizionarne il pensiero. Sì, perché si possono dare o non dare le notizie, dire le cose come stanno o raccontare ciò che serve a sostenere la propria tesi. Un sapiente uso dei termini, omissioni ed amnesie all’occorrenza o, viceversa, overdose di informazioni – corrette o meno è secondario -, inquadrature ad hoc, spazi e tempi ben calibrati sono solo alcuni degli stratagemmi sapientemente utilizzati per servizi che talvolta non hanno l’obiettivo di in-formare, quanto di de-formare le coscienze.
Un esempio? Cercate, in rete, le immagini del soccorso e della degenza del lupo Navarre, di cui già abbiamo parlato in questo sito. Troverete il video in diretta del recupero dell’animale nelle acque del Limentra, le fasi del massaggio cardiaco e della volontaria che gli pratica la respirazione bocca a “bocca”; e poi del lupo disteso con la flebo, del lupo sottoposto alle radiografie, del lupo quando non respira autonomamente, del lupo con il sondino, del lupo costantemente monitorato, del lupo amorevolmente assistito.
Cercate, in rete, le immagini di Eluana Englaro quando, a Lecco, era seguita dalle suore Misericordine, presso la casa di cura “Beato Luigi Talamoni”. Niente. Beppino Englaro, il padre, ha sempre impedito venissero pubblicate foto scattate alla figlia durante lo stato vegetativo. A ragione, verrebbe da dire. Infastidisce, in effetti, questo giornalismo da buco della serratura che viola l’intimità e ci ha tristemente abituati alla lente di ingrandimento sui drammi sbattuti in prima pagina. Fa pensare, però, a fronte di tanta comprensibile riservatezza, la dovizia di particolari nella descrizione dell’aspetto e delle condizioni della figlia (informazioni peraltro poi smentite dall’autopsia e in stridente contrasto con la testimonianza delle persone che avevano fatto visita alla giovane donna prima del trasferimento a Udine, o delle suore che per quindici anni l’hanno accudita). In un articolo del Corriere della sera del 10 febbraio 2009, il padre racconta di un’Eluana scarnificata “dalla faccia che si era rinsecchita come il resto del corpo”, che “pesava meno di 40 chili”, le cui “braccia e gambe erano rattrappite”, con il viso tutto piagato da “quelle lacerazioni che ai vecchi vengono sul sedere ma a lei anche in faccia”. Decisamente “troppo”, per un padre che vuole – a ragione – tutelare la dignità della figlia. Solo il giorno prima della morte, quando Eluana, disidratata e senza cibo da tre giorni, è davvero sofferente, Englaro invia nella camera di Udine un fotografo e una giornalista della Rai, nonostante il Protocollo vietasse categoricamente di varcare la soglia della stanza con apparecchi fotografici o telefonini.
Nel frattempo, Repubblica, insieme ad altri quotidiani, – cito dal libro di Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, Eluana. I fatti – fa uscire “in prima pagina una foto-simbolo che dovrebbe evocare la stanza di Lecco in cui Eluana vive da quindici anni. Un grande letto vuoto è circondato da monitor, macchine, fili. Si lascia intuire che Eluana (…) è tenuta in ‘vita’ dalle macchine e al lettore si fa intendere che se si staccasse la famosa ‘spina’ quel corpo – che altro non è – smetterebbe di respirare. D’altra parte quasi tutte le testate si ostinano a parlare di ‘spina’ e di ‘staccare’, ma non dicono che quello di Eluana è un letto normalissimo, così come la sua stanza, dove la cosa più artificiale sono i due peluche di acrilico sulla testiera del letto. Nessun macchinario, nessun monitor. Soprattutto niente che si possa staccare. Se si vuole che Eluana muoia bisogna agire, in un modo o in un altro, perché non ha malattie, non dipende neppure da un respiratore, e al di là della lesione cerebrale dovuta all’incidente non c’è nulla nel suo corpo che non funzioni, è una grave disabile come tanti altri, non una malata terminale. La soluzione potrebbe essere un’iniezione come avviene in molte nazioni per le esecuzioni capitali, ma il metodo è barbaro, così come l’ipotesi di un soffocamento. Più ‘accettabile’, anche se più lungo, appare lasciarla senza alimenti e senz’acqua finché non si spegnerà”.
Non importa se la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’ONU nel 2006, stabilisce che “gli Stati devono prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”. Non importa se ora Navarre, un lupo, recuperato in fin di vita, è in terapia intensiva, dove viene rianimato, aiutato a respirare con un ventilatore meccanico quando serve, alimentato e idratato – lui sì! – con delle flebo. Navarre il lupo, dico. Non importa nemmeno se l’autopsia a cui è stata sottoposta Eluana rivelerà che al momento del decesso la ragazza non era affatto il “mostro”, lo scheletrino consumato e inguardabile che si voleva far credere, ma pesava 53 chili (dopo quattro giorni senza alimentarsi né bere, e dunque, presumibilmente, 56 o 57 chili prima della partenza per Udine). Non importa se chi l’ha vista a Lecco racconta di braccia tornite, sode, in carne e di un volto rilassato, normale. Non importa nemmeno se – come si legge sul Corriere della sera – “è stato calcolato anche il peso del cervello, sarebbe uguale a quello di una persona normale”.
Non importa dunque se l’evidenza dei fatti sbugiarda i giornalisti, che perlopiù hanno raccontato la storia che volevano raccontare e mostrato le immagini (inventate ma d’effetto) che volevano mostrare; se sbugiarda i medici che per anni avevano, con le loro congetture, affiancato Englaro; se sbugiarda anche il professore di bioetica, Maurizio Mori, che in un’intervista sul Gazzettino del 4 febbraio, riferendosi al Protocollo, seguito il quale Eluana sarebbe morta di fame e di sete, aveva sostenuto: “che questo lento deperimento possa comportare una sofferenza per Eluana è impossibile. Probabilmente metà del suo cervello non c’è più”. L’autopsia racconta ben altro, racconta la verità, ma che farsene… dopo?
In questo mondo “bestiale” le cose funzionano così. Per il lupo Navarre, sotto gli occhi e l’apprensione del mondo, si è fatto e si sta facendo di tutto ed anche di più. Eroi i soccorritori, anzi degli angeli (date un’occhiata ai commenti in rete!). E’ invece stata così vergognosamente, colpevolmente distorta la vicenda di Eluana, che sono diventati sadici coloro che chiedevano che una disabile grave e indifesa fosse lasciata vivere, e filantropi compassionevoli quelli che hanno sostenuto che, per il suo bene (?), si dovesse ucciderla.
Una favola strana, questa di Eluana e il lupo. Una (brutta) favola dei nostri tempi, in cui protagonisti diventano i lupi e la bella addormentata è solo un’inutile comparsa. In cui ti verrebbe da pronunciare la celebre frase di Hobbes “homo homini lupus”, ma non ne vale nemmeno la pena: sarebbe vista come un complimento per gli uomini ed un’offesa per Navarre e i suoi amici a quattro zampe.
Riprendo ancora il testo della Bellaspiga e di Ciociola e concludo. «Il 4 aprile 2009 l’Unione nazionale cronisti italiani attribuisce un riconoscimento a Beppino Englaro “la fonte che ogni cronista vorrebbe avere (…) Una fonte intelligente, che conosce e capisce il diritto-dovere di una società avanzata di essere informata in modo completo sui temi più importanti che la riguardano”. Englaro così ringrazia: “Se non fosse a un certo punto scattato il meccanismo dei media, sarei rimasto ancora per chissà quanti anni come un cane randagio che abbaiava nel nulla, perché nessuno voleva ascoltare”».
“Eluana e il lupo”, che purtroppo non è una favola ma una storia vera, fa proprio riflettere: con i tempi che corrono e il giornalismo che c’è, se Beppino Englaro non fosse stato (come) un cane randagio, forse i mass-media non si sarebbero accorti di lui. Forse non avrebbero fatto il can-can (anzi, il bau-bau) che hanno fatto. Forse – che è la cosa più importante – Eluana sarebbe ancora viva.