Condividi:

Risurrezione: apparizione del Risorto o visione interiore?

“Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata sul Battesimo, la formula della risurrezione dentro anche il tempo attuale, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare l’attuale mondo che cambia.

«La sua risurrezione… ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé…Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. E’ ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (2,20). E’ stata cambiata così la mia identità essenziale (ontologica) e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così “uno in Cristo” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”:è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata sul battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo (ambiente)» [Benedetto XVI al Convegno Nazionale di Verona, 19 ottobre 2006].
La consapevolezza o continua evangelizzazione che il mio io con Cristo crocefisso e risorto che vive in me nell’appartenenza al nuovo soggetto ecclesiale ha cambiato ontologicamente con il Battesimo la mia identità essenziale, esistendo soltanto in questo cambiamento, liberato dal mio isolamento, con un nuovo spazio di esistenza capace di trasformare il mondo nella comunità di uomini, nell’ambiente o vissuto fraterno entro il quale vivo, mi offre la certezza che non ci sono più, potenze più grandi di me, che non c’è nulla di più grande della mia dignità cristiana e della mia libertà, che niente è definitivo se non in me stesso sempre più assimilato con Cristo crocefisso e risorto. Si tratta così di credere in me che vivo in Cristo la vera e continua novità, credere quindi alla mia libertà più forte della tentazione di mentire, capace di resistere ad ogni illusione, più forte di ogni terrorizzante violenza, di ogni apparente vittoria dell’odio, di ogni divisione, di ogni fatalità.

Se Cristo non è risorto non è possibile oggi l’incontro con Lui, non è possibile essere o testimoniare da cristiani
Se Cristo non è risorto come evento storico, allora oggi il suo nome è un nome vano e non il nome “che è al di spora di ogni altro nome che si possa nominare non solo in questo secolo ma anche in quello futuro” (Ef 1,21). Se Cristo non è risorto allora il Kerigma o primo annuncio per l’incontro con la Sua Persona viva, all’inizio o in ogni testimonianza dell’essere cristiani, allora anche il battesimo e la cena del Signore sono parole, segni e pratiche vuote, e i carismi o presunti doni dello Spirito del risorto nient’altro sono che vuoto entusiasmo: anche la fede frutto dell’incontro con Lui sarebbe vuota illusione e inutile fatica. Non ci sarebbe differenza tra un apostolo o mandato dal Risorto e un genio, e la Chiesa, che il Risorto costruisce su Pietro - “Su questa pietra costruirò la mia Chiesa” (Mt 16,18) -, sarebbe un antico tiaso o una comunità di Qumran, e le porte dell’inferno avrebbero prevalso su di lei. La “vicenda” di Gesù sarebbe nient’altro che un momento fugace nella storia dell’umanesimo terreno e noi tutti saremmo ingannatori ingannati. “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20), afferma l’apostolo Paolo e lo documenta la nostra esperienza di credenti.

L’apparizione del Risorto è il sigillo apposto alla risurrezione
L’avvenimento della risurrezione è accaduto, come il concepimento verginale nel grembo di Maria per opera dello Spirito Santo, nell’assoluto segreto di Dio e per sé non si sarebbe mai potuto definire un evento storicamente testimoniato, cioè un avvenimento che, mentre accade, al tempo si visibilizza come tale. All’evento della risurrezione di Gesù Cristo appartiene anche la “parola” dell’autodichiarazione del Risorto in quanto tale. La risurrezione di Gesù Cristo può essere storicamente testimoniata per l’autoattestazione del Risorto nell’esperienza e nella storia degli uomini. Nell’esperienza storica, poiché non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena come in Lazzaro, un siffatto avvenimento si realizza nell’“apparizione” del Risorto in vista della testimonianza dei testimoni.
Ora, guardando ai testi del Nuovo Testamento, si può dire che la risurrezione di Gesù Cristo qualifica se stessa in un senso preciso, già attraverso il “sepolcro vuoto”. Il sepolcro vuoto diviene cioè, in aggiunta alla testimonianza suscitata dalle apparizioni del Risorto, un testimone eloquente. La fede nel Risorto non nasce dal sepolcro vuoto. Il sepolcro vuoto però mette sulla via sulla quale il Risorto dà testimonianza di sé.
L’interesse principale - anzi l’unico interesse, per Paolo, nella misura in cui egli abbia conosciuto la tradizione dei Vangeli del sepolcro vuoto: cosa che non si può accertare - lo ha un altro avvenimento, quello dell’apparizione del Risorto, il quale è stato “veduto” in forza di questa apparizione. In essa, dal punto di vista della storia, la risurrezione si manifesta in un orizzonte storico fattuale. Certo, non si può dire: “Tra risurrezione e apparizione non si può distinguere, esse si identificano, ma si può dire: la risurrezione di Gesù Cristo, che avviene nello slancio dell’elevazione, acquista effettiva storicità nell’apparizione del Risorto e vi trova il suo termine. L’“Egli è apparso” postula l’“Egli è stato risuscitato”, come l’“Egli è stato sepolto” postula l’“Egli è morto”. L’apparizione del Risorto è il sigillo apposto alla risurrezione.

L’apparizione è distinta dalle visioni interiori
Paolo distingue tale “farsi vedere” e tale “vedere” da tutte le altre “visioni”, che egli ben conosce (per esempio 2 Cor 12,1ss), ma che mai pone a fondamento del suo Kerigma o primo annuncio dell’incontro sacramentale con la Persona del risorto all’inizio dell’essere cristiani e di ogni testimonianza che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva cioè la fede.
Per lui, anzi, è l’esperienza accennata in 1 Cor 15,8; 9,1 quella della suprema, fondamentale apparizione e rivelazione. Ritroviamo tale distinzione tra apparizione e visione negli Atti degli Apostoli, che non pongono l’apparizione di Damasco sullo stesso piano delle visioni così come sono narrate in At 16,9s. “Cosa questa che è passata sotto silenzio - osserva Schlier da cui traiamo tutte queste argomentazioni - da tutte le interpretazioni dei fatti in chiave psicologica, che fanno scuola nell’esegesi soprattutto dopo David Friedrich Strauss, e che oggi affiorano nella teologia cattolica e sono considerate come qualcosa di nuovo. Esse, però, così facendo, appiattiscono i fatti”.
Che cosa significhi l’apparire del Risorto e il vederlo diventa un po’ più chiaro se riflettiamo su chi sia questo Risorto del quale i testi del Nuovo Testamento dicono che è apparso ai testimoni e non creato da loro: Egli è Crocifisso. Il Risorto steso, nei racconti dell’apparizione, si dichiara esplicitamente come il Crocefisso, sia con un accenno diretto, sia con l’indicare i segni della sua crocifissione. Colui che viene visto nel Risorto è il Crocefisso. Il Risorto si dà a vedere così. Nella apparizione di colui che è stato innalzato si vede pertanto la visione di colui che è morto sulla croce. Non un morto qualsiasi è stato risuscitato dai morti, non una qualsivoglia morte si è dimostrata risurrezione, ma questo morto sulla croce è entrato nella vita, e questa sua morte cioè il lasciarsi uccidere del suo amore obbediente. È diventata la morte della morte di tutti gli uomini. Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta ed intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. Egli era, nella via alla Verità cioè a Dio del suo volto umano, una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli avrebbe anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. E’ chiaro quindi che l’apparizione del Risorto è già di per sé, oggettivamente, sottratta ad ogni analogia con le teofanie che si incontrano nella storia delle religioni, e il concetto del “vedere”, che significa percepire colui che si mostra, salta. Il “vedere” sta piuttosto nella linea dello “sperimentare”.

Sarò sempre sacramentalmente con voi fino al compimento della storia
Il Risorto appare nel sottrarsi all’apparire e coloro che lo vedono lo vedono mentre si sottrae rimanendo sempre presente in altro modo, sacramentalmente: sarò sempre con voi fino al compimento della storia. Ciò emerge nella descrizione di Matteo, dove l’unica apparizione del Risorto, quella dinnanzi agli Undici, è al tempo stesso commiato: Gesù appare come colui che se ne va. Luca pone anche l’apparizione collettiva del Risorto nella prospettiva che si tratti di apparizioni di colui che “poi sparì” alla vista dei discepoli e fu elevato in cielo (Lc 24,51). Questa situazione agli inizi della Chiesa è argomentata per primo teologicamente da Giovanni, il quale interpreta anche l’intera attività terrena di Gesù di Nazaret, perfino la crocifissione - per lui, nel Gesù terreno, è già presente l’attività di colui che è elevato al cielo - sotto il punto di una venuta che è sempre già un congedo. Egli viene come colui che va, si fa incontro, come colui che è in cammino con noi verso l’al di là dell’al di qua. Questo viene chiaramente in luce nella scena della sua apparizione a Maria Maddalena (Gv 20,11ss). Che cosa vede Maria Maddalena, secondo il Vangelo di Giovanni? Il Risorto! Ma come le appare? Come colui che non si può trattenere nella sua apparizione e la cui apparizione ha come caratteristica che egli, in quanto appare per iniziare tutti alla sua presenza sacramentale continua nella Chiesa dove tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni luogo, possono incontrarlo e accoglierlo mediante il dono del Suo Spirito, si sottrae all’apparizione. Anche quei particolari della narrazione che fanno entrare improvvisamente Gesù fra i suoi discepoli attraverso al porta chiusa (Lc 24,36; Gv 20,19.26) e non menzionano il suo dileguarsi, ma semplicemente lo presuppongono, vogliono metter in risalto in un altro modo questo carattere non disponibile del Risorto a una continua apparizione nella Chiesa.

Testimoni della risurrezione di Cristo e non certo creatori
La parola di coloro che vedono il Risorto, parola che il Risorto suscitava con la sua apparizione è la parola di un evento che sopraffaceva i testimoni e non creata da loro. E’ la parola di testimoni che, in un primo momento, reagiscono a tale incontro con sgomento, timore, mancato riconoscimento, dubbio, incredulità; testimoni dunque dapprima chiusi, ma che poi furono afferrati, sbloccati dal dono della sua conoscenza fatta loro dal Risorto e travolti e rapiti nell’evento della risurrezione.
Ma fin da allora la parola dei testimoni è anche una parola di mandato, di missione e di conferimento di poteri. Non è una parola liberamente scelta, spontanea, senza vincoli, ma una parola di missione perché tutti, di ogni tempo e di ogni luogo, si incontrino con la Persona di Gesù Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19s). Mandato, missione, conferimento di poteri: tutte queste cose alle origini, in continuità con tutta la Tradizione, derivano solo dall’incontro con il Risorto. Il Risorto entra, in virtù della sua apparizione, nella parola dei testimoni. Questi, predestinati da Dio, sono obbligati dall’apparizione all’annuncio: guai a me se non evangelizzo. Ma la loro parola è, sulla base di questa apparizione, mandato conferito dallo Spirito ad essi,che si sanno perciò inviati.
In questa parola di annuncio Gesù è presente, in questa parola egli si è fatto presente e si fa presente in continuità per accoglierlo con fede in tutti i sacramenti, l’Eucaristia in particolare, certo, prima di tutto, come il Risorto ed elevato al cielo, ma naturalmente vi è ricompreso e resi continuamente attuali nella liturgia i gesti e le parole del Gesù di Nazaret del pellegrinaggio terreno. Ma poiché si tratta della presenza del Risorto ed elevato al cielo, il quale mediante la sua apparizione, con la forza dello Spirito che lo rivela, ha sopraffatto e autorizzato in continuità ecclesiale a questa parola; poiché la parola dei testimoni, a partire dall’apparizione del Risorto ed elevato al cielo (quello che ormai è il Crocefisso), ha la forza del mandato, l’impulso della missione, la potenza dello Spirito che attraverso i sacramenti dona e illumina la vita: Paolo dice e deve dire “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione” (1 Cor 15,14). E’ “vana” perché non dice niente, anche se ripete la “vicenda” terrena di un Gesù morto e veduto ancora in modo enigmatico come personaggio del passato. Non dice niente perché parla soltanto della morte e dell’appartenenza al passato di un Gesù di Nazaret. Non dice niente perché non c’è evento sacramentale che lo possa configurare come un accadere qui e ora, tale da superare tutti gli errori e tutte le colpe, tutti gli sbagli e tutte le cadute, tutti i rifiuti nell’affermazione della vita.
Questo argomentare dello Schlier a me ha fatto e fa gustare il discorso di Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona e mi ha sintonizzato con la Chiesa italiana fino al 2010 sul comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"