Vivere da protagonisti
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La storia è compito di ogni io umano, quindi ogni persona è protagonista
Ma cosa significa fare storia da protagonisti? Certamente storia non è la semplice cronaca quotidiana; questo è un aspetto soltanto di superficie. Neppure si può ridurre la storia ai grandi eventi del mondo della politica, degli Stati: i trattati, gli incontri ad alto livello, le alleanze di tipo politico o economico, le solenni dichiarazioni, i conflitti e le guerre, gli accordi di pace. La storia è anche questo certamente, ma non è “solo” questo, e neppure “soprattutto” questo. Gli accadimenti fanno storia in quanto espressioni esistenziali di ciò che ogni persona è e che le idee rivelano e che divenendo condivise cioè cultura diventano fatti da essa ispirati. La storia è traduzione nei fatti di una visione spirituale e morale della realtà da parte di ogni persona. Ecco perché la storia è compito di ogni io umano che ne è il protagonista, come singolo, come appartenente ad un popolo, ai popoli, agli Stati.
- la storia è soprattutto compito di ogni persona: è lei la protagonista, il primo affluente della storia universale. La sua vita quotidiana fatta di gioie, speranze e dolori; di lavoro e di famiglia o comunità; di affetti e di rapporti… non è mai storia individuale. E’ sempre anche storia di tutti perché nessuno vive solo. Anche il più desolante isolamento esiste comunque dentro ad un contesto di relazioni dalle quali uno si esclude o è escluso, ma dove resta punto di riferimento unico e irripetibile, cioè protagonista. La vita quotidiana fa storia fino al momento terminale della vita proprio perché ogni persona in sé è “relazione” con Dio come essere dono unico e irripetibile nel suo essere e quindi con se stessa, con gli altri e con tutto il mondo che la circonda: negare questo è chiudere gli occhi all’evidenza in nome di una esasperazione tale dell’individuo, della sua autoreferenzialità e autodeterminazione, da portare esistenzialmente a quell’individualismo che dissolve l’essere stesso della persona in una solitudine infernale cioè a non essere nessuno e schiavo di tutti e di tutto. L’esistenza di ogni io umano tocca l’essere dono del Donatore divino nel proprio e altrui essere e del mondo circostante, crea o rompe legami e situazioni che coinvolgono poco o tanto; alimenta o contrasta la mentalità dominante, il sentire condiviso, comune; interroga chi ne è testimone diretto o indiretto; testimonia possibilità di divenire quello che si è o valori, ispira comportamenti generali, crea istituzioni e opere, genera uno stile di vita frutto di ethos di fondo. In sintesi rende trasparente una certa visione d’uomo e di mondo condivisa, una certa visione della vita, della sofferenza e della morte: una visione universale, una Weltanshauung. E senza sintesi o valori condivisi non si fa storia, ma solo episodi. Nessuno dunque è invisibile: ciascuno partecipa al fluire del grande fiume umano, comunque è protagonista: ed essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità
- la storia è compito anche dei popoli. I popoli, nella loro unità profonda, fanno storia avendo un raggio di condivisione e di efficacia più evidente dei singoli. Ma che tipo di efficacia ha un popolo nel contesto del mondo? Che cosa porta alla costruzione della storia umana? Aiuta a rispondere il guardare all’esempio di grandi popolazioni come i Greci e i Romani. Guardando a questi popoli, ai quali siamo profondamente legati, viene da pensare alla loro cultura prima che alle loro imprese politiche, economiche e militari. Ed è su questo piano, fatto soprattutto di valori e di idee, che queste “genti” hanno inciso sulla storia. Basta pensare ai rapporti tra Roma, la Grecia, Gerusalemme e i popoli nordici e slavi. Prima che al genio dei capi, la storia è determinata dalle idee e dai valori, come accade per ogni singola persona. I valori sono l’anima della cultura, della carta di identità di un popolo. Non sono una sua componente, ma il suo fattore principale. Il senso di appartenenza ad un popolo, ad una Nazione, dipende dal quadro di valori che riguardano l’origine della vita e la destinazione oltre la morte, il loro significato, non tanto i fini, le piccole speranze ma il fine, la grande speranza, la vita veramente vita cioè l’amore. Se questo non esiste o è giudicato inconoscibile, quindi consegnato all’individualismo nichilista di ciascuno, che cosa potrà attrarre gli uomini perché ogni io umano, ogni persona si senta appartenente ad una realtà di popolo? Che cosa li potrà sollecitare a sacrificarsi fino al dono della vita per la comunità?
- La storia è compito anche degli Stati. L’apparato politico e legislativo, le diverse espressioni dell’autorità statale, fanno storia e - a prima vista e spesso a livello scolastico - appaiono come i primi e più importanti protagonisti della storia umana. Se questo è vero per un certo aspetto o deformazione, non possiamo dimenticare gli altri livelli o protagonisti come ogni persona e i popoli. I livelli sono differenti, ma reale è solo la loro incisività nel corso delle cose. Tra l’altro, non sempre nella storia i popoli hanno mostrato accondiscendenza verso le decisioni degli Stati, indirizzando gli eventi in modo diverso. Ciò sta a testimoniare quanto ogni Stato debba sapersi e volersi come espressione del popolo a servizio di ogni persona, sapendo che questo è specificato da un insieme di idee e valori di tipo spirituale ed etico che costituiscono “l’anima della Nazione”, la sua identità profonda. Qualora uno Stato dovesse tradire quest’anima, tradirebbe la gente in ciò che ha di più intimo e più suo. Colpirebbe ciò che consente ad una moltitudine di sentirsi “popolo” e ad un territorio di sentirsi “casa”, “patria” di ogni io umano. Tradire l’anima di un popolo - magari con processi corrosivi e subdoli - vuol dire sgretolare, in nome di qualche ideologia o disegno politico - economico, ciò che consente ad ognuno di sentirsi parte di un tutto; significa derubarlo di ciò in cui crede, che gli appartiene, che gli è stato tramandato come patrimonio, che è la sua forza unificante. Un patrimonio ideale che, nella pluralità delle forme ma nell’unità fondamentale del pensare e del sentire, permette di percepirsi “famiglia”. Per questo motivo, intaccare direttamente i valori spirituali e morali di una comunità e di un Paese, è attaccare la sua integrità e fare cattiva storia. Ma anche la diffusione di miti, l’esaltazione dell’avere non a servizio dell’essere di ogni persona, la propaganda dell’apparenza e del facile successo - in una parola, della menzogna - aggredisce la base valoriale di un popolo, lo svilisce nel suo sentire, e lo indebolisce nella sua capacità di futuro. Tutto viene confinato nell’angusto perimetro del presente: l’antico motto - “panem et circenses” - è noto come strategia per svuotare la mente e l’anima. Oggi, nello scenario occidentale, al posto di questo criterio - che ha un evidente costo economico - si potrebbe sostituire un altro motto, “fa tutto quello che vuoi”. Inteso in senso assoluto e individualistico, esso disgrega l’anima popolare e il senso di appartenenza ad una identità che crea comunione tra gli uomini e permette la comunità di vita. La storia che manifesta l’eclisse dello spirito va contro l’uomo, diventa “antistoria”. Le luci e le ombre sono sempre intrecciate nel fluire del tempo, ma è necessario giudicare le linee evolutive e quelle che, invece, segnano retrocessioni anche gravi in ambiti vitali. La convinzione che la direttrice di fondo della storia non sia l’essere ma il dover essere cioè il progresso, e che perciò il bene venga sempre e solo dal futuro, è un pregiudizio diffuso e coltivato. Ma per smascherare il pregiudizio è necessario il giudizio con la sua libertà e il suo coraggio; soprattutto con la sua attenzione alla realtà in tutti gli ambiti o verità. Il criterio di giudizio non può essere che la verità dell’uomo, il bene autentico suo e della società: questo - il bene - è alla sua radice di natura spirituale ed etica, cioè “culturale”.
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