Pietro al Sepolcro
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«L’inno di lode (Te Deum) che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – “il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri” – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore “ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente”, vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale…
Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo (cioè evangelizzare) la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo “fu crocifisso, morì e fu sepolto”, e che “il terzo giorno risuscitò dai morti”. Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).» [Benedetto XVI, Visita al Santo Sepolcro, 15 maggio 2009]
Proclamare davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo che la risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori è la verità, il senso che riguarda l’allora Gesù di Nazareth, ma con Lui anche ognuno di noi perché è la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo tutti aspettiamo: la vita che è “veramente” vita non solo dell’anima ma anche del corpo, un tutt’uno in ogni io singolo e la famiglia umana nel suo insieme. La risurrezione non è un semplice ritorno alla nostra vita terrena segnata dal peccato e dalla morte; è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso per tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. Gesù Cristo, il figlio del Padre che attraverso lo Spirito si è dato definitivamente a noi in un volto umano, che si è lasciato uccidere in croce per amore di tutti e di tutto, che è veramente morto, veramente sepolto e senza soccombere nella dissoluzione del corpo è risorto rivelando ad ogni uomo chi è e a che cosa è destinato nel progetto di Dio, da dove viene e a quale meta è destinato e con quale via raggiungerla responsabilmente, innalzato alla destra del Padre in preghiera per ogni uomo e per l’umanità nel suo insieme manda il Suo Spirito per il perdono dei peccati e liberarci da Satana e da ogni male. E all’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore cioè Dio che possiede un volto umano, all’infuori dell’incontro con Lui nel suo Corpo che è la Chiesa in ogni tempo e in ogni luogo, incontro che significa il Suo ingresso in ciascuno di noi, per cui siamo trasformati in Lui, viviamo del suo amore e di lui, non c’è salvezza, non c’è verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza. Ecco perché il cristianesimo non è una delle tante religioni, ma l’unica religione vera. Giungendo in pellegrinaggio al Santo Sepolcro e sapendo, pensando a quel meraviglioso evento al centro della storia e dell’universo, come potremmo non sentirci “trafiggere il cuore” (At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno della Pentecoste e si convertirono a questo nuovo orizzonte di vita, di amore trinitario che giunge a noi? Qui Cristo veramente morì, veramente risuscitò, per non morire mai più, dandoci la speranza veramente affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce non verso il nulla di sé ma verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia di ciò che di più intimo, di più proprio c’è nel Risorto, nell’esaltato alla destra del Padre come Signore cioè come Dio, il suo stesso Spirito si riversa su ogni singolo e sull’umanità intera per rendere possibile in ogni luogo e in ogni tempo l’incontro. Qui l’incontro personale con la Persona di Gesù Cristo nella Sua Chiesa dà alla vita un orizzonte nuovo, quello del nuovo Adamo, ci insegna che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele, nonostante apparenze che sembrano smentirlo.
La vita del risorto non è più il semplice bios, ossia la forma biologica della nostra vita attuale infra – storica e quindi votata alla morte, bensì la zoè, sboccia una vita nuova che riceviamo fin dal Battesimo e alimentiamo continuamente nell’Eucaristia, una vita diversa, stabile e definitiva, dotata di un amore che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé; una vita che ha ormai superato la sfera mortale della vicenda biologica, sfera che si trova scavalcata definitivamente da una potenza superiore. Infatti gli stessi racconti neotestamentari della risurrezione ci fanno vedere chiaramente come la vita del Risorto non si svolga ormai nell’ambito della vicenda biologica, ma fuori e sopra di essa: è Lui che si fa vedere. E’ però altrettanto ovvio e scontato che questa nuova vita di figli nel Figlio per dono dello Spirito del Risorto, a cui per grazia siamo tutti destinati, si è attestata e doveva necessariamente attestarsi nella storia inaugurando una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé documentando che l’amore è riuscito a sfondare la staccionata della morte, cambiando radicalmente la situazione storica in cui ognuno di noi versa nonostante il desiderio in ogni io di una vita veramente vita. Cristo, nella risurrezione, non ha ripreso la sua vita terrena, come ci viene detto ad esempio del ragazzo di Naim e di Lazzaro. Egli è risorto invece con quella vita stabile e definitiva, che non sottostà più alle leggi chimiche e biologiche, e quindi risulta ormai sottratta all’eventualità della morte, posta anzi per sempre al riparo nell’eternità accordata a chi nel suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte, vincitore di Satana e dei suoi satelliti che non desiderano la verità e non sono più disponibili all’amore. Ecco perché gli incontri avvenuti con Lui sono “apparizioni”; ecco perché colui assieme al quale ancora due giorni prima si era seduti a mensa, non viene più nemmeno riconosciuto dai suoi migliori amici, e anche una volta riconosciuto rimane estraneo ad essi, cosicché quando egli stesso concede la facoltà di vederlo viene davvero visto; in effetti, solo allorché egli ci apre i nostri occhi e il nostro cuore si lascia aprire nella preghiera, può risultare percettibile in mezzo al nostro mondo di morte il volto dell’eterno amore vincitore della morte, e in esso il mondo nuovo, completamente diverso dall’attuale: l’unico mondo del futuro, della speranza veramente affidabile. Per la stessa ragione, torna tanto difficile, per non dire addirittura impossibile, anche agli stessi vangeli il descrivere gli incontri con il risorto; quando ne parlano, non fanno che balbettare, e sembrano perfino contraddirsi mentre ce li presentano. In realtà invece, sono sorprendentemente unanimi nella dialettica delle loro affermazioni, nel ribadire la contemporaneità del suo toccare e non toccare, del loro riconoscere e non riconoscere, nell’insistere sulla perfetta identità fra il crocifisso e il risorto, ma anche sulla radicale trasformazione avvenuta in lui. Si riconosce il Signore, il Dio che possiede un volto umano quasi senza riconoscerlo; lo si tocca, eppure egli è l’intangibile; egli è lo stesso, mangia con loro, eppure è tutto diverso da prima.
I resoconti lasciatici sulla risurrezione sono qualcosa di ben diverso e più sostanzioso di semplici scene liturgiche travestite: mettono invece in risalto l’avvenimento base dell’incontro sacramentale continuo anche senza apparire con la Persona di Gesù Cristo su cui poggia ogni liturgia cristiana di ieri, di oggi e di sempre. Essi attestano un fatto storico che non è sbocciato come un sogno fantastico dal cuore dei discepoli, ma è invece capitato loro dal di fuori, imponendosi a essi contro i loro dubbi e infondendo loro una certezza: il Signore è veramente risorto, veramente, sostanzialmente presente. Colui che giaceva nella tomba, il terzo giorno cioè prima della corruzione del corpo non si trova più là, ma vive nuovamente e realmente in persona puntando ad incontrare nella Chiesa ogni uomo per liberarlo dal peccato e dalla morte. Egli poi a sua volta, che ormai si era trasferito nell’altro mondo di Dio, aveva però saputo mostrarsi potente al punto, da manifestare sino alla tangibilità come fosse proprio Lui stesso che stava loro davanti, facendo vedere come in lui la potenza dell’amore si fosse palesata più forte della potenza della morte.
Solo attenendoci fedelmente alla testimonianza del Nuovo testamento si conserva alla risurrezione il suo peso storico intramondano constatabile. Non è possibile avere la fede cristiana, e insieme “la religione ristretta nei limiti della mera ragione”; la scelta fra le due s’impone inderogabilmente. A chi crede però, risulterà man mano sempre più chiaramente discernibile, comprensibile come lo stadio più perfetto della ragione sia proprio la professione di fede in quell’amore che ha vinto la morte. In concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé da risorto, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva.
La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poichè è dono dello Spirito della vita (5,5).
“Questo – ha detto Benedetto XVI – è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità e ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha esperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore”.
L’antica Chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Il luogo santo del Calvario e del Sepolcro, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria, dall’amore divino, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo “sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! “Possa inoltre – ha concluso Benedetto XVI – aiutarci a superare, con la potenza dello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia… Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme”.