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«Mettere la faccia» per difendere la vita

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il 31 agosto 2009 durante l’omelia pronunciata nella Messa al Santuario di San Raimondo Nonnato, l’Arcivescovo di Buenos Aires chiese ai fedeli di «mettere la faccia» per difendere la vita dal concepimento alla morte naturale. In quell’occasione Bergoglio ribadì che «cultura della vita» non significa solo riconoscere l’esistenza dell’essere umano già fin dal concepimento, ma anche accompagnare il successivo sviluppo di crescita del bambino, perché «cresca sano, abbia una buona istruzione e non gli manchi il cibo, abbia principi basati sui valori morali». Per questo, secondo il Cardinale, i cristiani non debbono essere tiepidi: «Bisogna metterci la faccia e dire che questa è cultura della vita, questa è vita, tutto il contrario rispetto alla cultura della morte; se qualcuno vede che una di queste cose manca, deve dire di no, deve dire che per quella via non si va da nessuna parte, che seguendo quel cammino si fallisce sempre».
Il 2 ottobre 2011 durante la Messa celebrata in occasione del 37° pellegrinaggio giovanile al Santuario di Nostra Signora di Luján, davanti a più di un milione di persone (molte delle quali giunte a piedi da 60 chilometri di distanza), invocò Maria con queste parole: «Madre ti preghiamo per tutti i tuoi figli che sono venuti al mondo e per tutti quelli nascituri, affinché non vengano lasciati soli e abbandonati». E poi invitò i presenti ad avere il coraggio di difendere la vita, spiegando che «un popolo che non si cura dei figli e degli anziani inizia ad essere un popolo in decadenza», perché il futuro di una civiltà sta proprio nel comprendere come nei figli si intraveda la «forza della speranza» e negli anziani si trovi «il tesoro della saggezza».
Quando il 2 ottobre 2007, dinanzi a duecento personalità religiose e laiche, il Cardinal Bergoglio presentò il documento conclusivo della V Assemblea Generale della CELAM tenutasi ad Aparecida nel maggio dello stesso anno, non usò mezzi termini nel condannare quella forma di «cultura della morte» che impone «una pena di morte nei confronti dei nascituri, attraverso l’aborto», ed una forma di «eutanasia nascosta nei confronti degli anziani, che si realizza attraverso l’abbandono ed il maltrattamento». Tutto questo, secondo l’allora Primate di Argentina, ha origini ben precise: «Oggi esiste una cultura dello scarto di tutto ciò che non è più utile, siano bimbi o anziani. Questa cultura è come una sorta di “nuova illuminismo”, che si esprime in un progressismo fuori dalla storia, senza radici, e in una sorta di terrorismo demografico». E ha aggiunto: «Noi siamo tutti d’accordo sul fatto che la pena di morte rappresenti un’ingiustizia; dobbiamo sapere, però, che in Argentina esiste una pena capitale: l’aborto». Per suffragare questa affermazione alquanto forte, il Cardinale citò il caso di una donna incapace di intendere e di volere, vittima di una violenza carnale, a cui è stato praticato coattamente un aborto, evidenziando come «può essere condannato a morte il figlio concepito a seguito di una violenza della madre mentalmente incapace». Sempre in quell’occasione Bergoglio ricordò che «Il diritto alla vita è lasciar vivere e non uccidere; lasciar crescere, nutrire, educare, curare, e lasciar morire con dignità, e non interferire attraverso indebite manipolazioni», chiedendo ai presenti di «non obbligarlo a scendere nei dettagli per una questione di buon gusto».
Ricordò a tutti, infine, la proposizione n.436 del documento conclusivo dell’Assemblea Generale, sottolineando, in particolare, l’importanza del concetto di «coerenza eucaristica»:

Speriamo che il legislatore, i politici, gli operatori sanitari siano coscienti della dignità della vita e il forte radicamento della famiglia nella cultura del nostro popolo, e che la difendano e proteggano dai crimini abominevoli dell’aborto e dell’eutanasia; da questo punto di vista essi hanno una grande responsabilità. Per ciò, di fronte a leggi e disposizioni amministrative che appaiono ingiuste secondo la fede e la ragione umana si deve favorire l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza.
Dobbiamo rispettare la coerenza eucaristica, vale a dire essere a conoscenza del fatto che non possono accedere alla Santa Comunione e allo stesso tempo agire con fatti o parole contro i comandamenti, soprattutto quando favoriscono l'aborto, l'eutanasia e altri gravi delitti contro la vita e la famiglia. Questa responsabilità pesa in particolare sui legislatori, i governanti e gli operatori sanitari

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