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Rassegna stampa, 19 maggio 2008

Fonte:
CulturaCattolica.it

V. Tichomirov, Sul problema demografico, «Ogonek», 28 aprile
Nell’Anno della famiglia il Paese tenta disperatamente di interrompere la tendenza negativa che l’ha portato sull’orlo della catastrofe demografica. Se con il problema dell’elevata mortalità non si è ancora riusciti a far nulla, i pronostici sull’incremento di natalità sono a dir poco ottimistici. Non altrettanto ottimisti gli esperti. L’intervistato è Anatolij Višnevskij, direttore dell’Istituto di demografia.
Secondo lui, la Russia è sulla soglia di una terza fase della crisi demografica a lungo termine. La crisi era iniziata nel 1964, quando per la prima volta in Russia la natalità è scesa al livello per cui la generazione dei figli era numericamente inferiore a quella dei genitori. Per lungo tempo la crisi è continuata in forma latente, finché nel 1992 per la prima volta il numero delle nascite è risultato inferiore a quello delle morti, e si è entrati così nella seconda fase della crisi.
Questa seconda fase non è semplicemente legata alle sfortunate riforme di quegli anni, perché in tal caso si sarebbe normalizzata insieme al normalizzarsi della situazione economica. In realtà si tratta di tendenze più profonde, che accomunano la Russia a tutta una serie di Paesi anche in Europa occidentale (ciò che distingue la Russia da essi è soprattutto l’elevata mortalità). Proprio l’unione di questi due fattori - bassa natalità e alta mortalità - ha fatto sì che in 16 anni, dal 1992 al 2007, la popolazione sia decresciuta di 12,3 milioni di persone. Questa seconda fase è stata alleviata dalla forte immigrazione dalle ex repubbliche sovietiche, che ha apportato 5,7 milioni di persone, fondamentalmente di lingua russa.
Come mai allora fin dal primo anno della campagna demografica si osserva un incremento di natalità? Le statistiche parlano di un 8% in più di bambini rispetto al 2006. Secondo Višnevskij in realtà l’anno scorso sono nati pressappoco tanti bambini quanti nel 1990, anzi forse meno. Il provvisorio aumento di natalità è da attribuirsi al fatto contingente che siamo in presenza di un provvisorio aumento delle donne tra i 18 e i 30 anni, e che molte nascite «dilazionate» negli anni ‘90 per difficoltà economiche vengono realizzate adesso. Ma negli anni prossimi ci sarà un calo del numero delle donne in età fertile e un nuovo calo di natalità fino al 2020, anche se ci fosse un incremento della natalità pro capite delle donne. Questo è solo uno degli aspetti della terza fase della crisi demografica, perché oltre a diminuire il numero delle madri, diminuisce anche quello della popolazione lavorativa, che finora era andata sempre aumentando (nel 1993, 84 milioni; nel 2006, oltre 90 milioni), e quindi diminuiva sempre più il numero di persone a carico di quanti lavoravano. Adesso la situazione sta cambiando radicalmente: molti vanno in pensione, e in ricambio abbiamo i ragazzi nati negli anni ‘90. Secondo alcuni calcoli, nel triennio 2005-2008 la popolazione lavorativa diminuisce di circa 15 milioni, e quindi il numero delle persone a carico salirà del 40-50%. Questo comporterà elevati costi sociali, la necessità di aumentare le tasse, di innalzare l’età pensionabile
Se nel XX secolo non ci fossero state la rivoluzione, le guerre e le altre catastrofi sociali, oggi la posizione della Russia potrebbe essere il doppio, praticamente a livello degli USA. D’altra parte, i fattori sono molteplici, con il modello di urbanizzazione e modernizzazione si è instaurato anche un nuovo modello di concezione della famiglia che implica un calo della natalità perché i genitori preferiscono aver meno figli, per assicurare a ciascuno di essi un livello di vita più elevato, studi ecc. In generale, l’esperto è scettico sulla possibilità di sanare la crisi demografica con l’aiuto di una politica di incentivi, sebbene si tratti di provvedimenti legittimi, stabiliti anche in altri Paesi oltre alla Russia.
Sentenza della Corte europea vieta le benedizioni pasquali
Giorgio Salina denuncia “cedimento alla deriva relativista”

ROMA, venerdì, 16 maggio 2008 (ZENIT.org).- La Corte Europea con sentenza del 21 febbraio scorso ha condannato la Grecia per aver costretto l’avvocato Arret Alexandridis a manifestare i propri convincimenti religiosi in occasione della prestazione del giuramento previsto per l’inizio della sua attività forense (la formula del giuramento, infatti, era predisposta in modo tale da far supporre che il giurante fosse di fede cristiano-ortodossa).
La sentenza rende palese la violazione del diritto di libertà religiosa da parte delle varie confessioni religiose a cominciare dai preti della Chiesa cattolica che, durante il periodo pasquale, si presentano alle case per benedirle.
Sulla base di questa sentenza dal Ministero dell’Interno dovrebbero essere inoltrate diffide alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) affinché si astengano dall’esercitare simili pratiche, con minaccia di azioni legali per il ristoro del danno derivante dalla lesione del diritto di libertà religiosa (la CEDU ha liquidato 2.000 euro, nel caso di specie).
Contrariamente, c’è il rischio che ogni cittadino possa sporgere denuncia penale contro qualsiasi prete della Chiesa cattolica che si presentasse alla porta.
Intervistato da ZENIT, Giorgio Salina, Presidente dell’Association pour la Fondation Europa (AFE) ha commentato che “questa sentenza, così come il recente pronunciamento del Consiglio d’Europa sul diritto all’aborto sicuro e gratuito confermano un progressivo cedimento alla deriva relativista e un subdolo tentativo di legiferare attraverso la Magistratura, eludendo i limiti di competenza di ciascun organismo”.
Secondo il Presidente di AFE “non vi è dubbio che la convergenza di Deputati europei appartenenti a diversi gruppi politici, gli intergruppi Gay e Lesbiche e analoghe Organizzazioni europee, potenti lobby come Catholics for the free choice, determinano una forte pressione relativista nelle varie Istituzioni”.
A questo proposito Salina ha raccontato che in un Convegno organizzato da queste realtà presso il Parlamento europeo, l’on. Miguel Angel Martìnez Martìnez, del Partido Socialista Obrero Español, in uno degli interventi conclusivi ha confessato: “Diciamolo chiaro, noi siamo relativisti. La verità non la possiede nessuno; la verità non esiste, esistono opinioni diverse, tutte legittime, tutte da rispettare”.
Lo stesso onorevole spagnolo ha accusato le Chiese strutturate gerarchicamente, come quella cattolica, di “praticare la dittatura culturale”.
Per dare un’idea del clima di intolleranza contro la Chiesa cattolica e quella ortodossa in particolare, il Presidente di AFE ha raccontato che recentemente a Bruxelles è stato adottato un regolamento per l’azione dei lobbisti presso le Istituzioni europee, Parlamento e Commissione.
Poiché un emendamento definiva le chiese delle lobby, in sede di votazione i Verdi hanno presentato un emendamento orale che definiva lobbisti non le “chiese” ma i “religiosi”; quando l’emendamento è stato dichiarato non ammissibile, l’on. Monica Frassoni, co-presidentessa del Gruppo Verde, ha urlato al microfono: “Ecco la prova che le lobby funzionano!”.
“Comunque - ha precisato Salina - questa sentenza, almeno parzialmente, come altre di altre Corti di giustizia, e come alcune risoluzioni in materie per le quali il Parlamento europeo non ha competenza, quale il diritto di famiglia, non sono vincolanti per gli Stati, e potrebbero essere ignorate”.
“Anche se - ha continuato - le varie Corti internazionali, incluse alcune Corti costituzionali nazionali, assumono le reciproche sentenze e le risoluzioni del PE quali ‘fonti del diritto’, accumulando giurisprudenza. Si tratta di un metodo surrettizio di legiferare attraverso la Magistratura aggirando le competenze riconosciute alle varie Istituzioni! E questo è un fatto veramente grave”.
Come noto, il Trattato di Lisbona che regola il funzionamento delle Istituzioni comunitarie recepisce la Carta dei diritti fondamentali rendendola vincolante.
Per dare un segnale chiaro a questa “deriva relativista, antidemocratica e prevaricatoria”, Salina ha proposto che i Paesi che ancora devono ratificare il Trattato di Lisbona, come l’Italia, “escludano l’accettazione della Carta dei diritti fondamentali, rifiutandone la prevalenza sulla propria legislazione, e la prevalenza di tutte le artificiose sentenze ad essa collegate, come hanno fatto già in sede di sottoscrizione del Trattato, Inghilterra e Polonia”.
“Credo sia necessario un segnale forte per dare un avvertimento chiaro”, ha sottolineato il Presidente di AFE.
“Non vorrei - ha concluso Salina - che l’Agenzia europea per i diritti umani, con sede a Vienna, che opererà in collegamento con il Consiglio d’Europa vada a promuovere diritti degli omosessuali, quali il matrimonio, l’adozione, ecc., e ad annullare il diritto all’obiezione di coscienza quando confligge con il diritto della donna all’aborto, e così via”.
“I primi segnali lo confermano - ha detto -. Forse è necessario, e non solo per i cattolici, dare un chiaro segnale di ‘stop’“.

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