Rassegna stampa, 28 aprile 2008
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Condanne del Santo Sinodo alle frange ultrareazionarie che fanno capo al vescovo Diomid
Nella sessione del 15 aprile il Santo Sinodo ha dibattuto i contenuti di due pubblicazioni, «Lo spirito del cristiano» (Mosca, iniziativa privata senza la benedizione di vescovi ortodossi russi, che riporta descrizioni scorrette di eventi della vita ecclesiale russa e del suo dialogo con le altre confessioni e religioni. Tra l’altro, si era pronunciato contro la riunificazione della Chiesa ortodossa all’estero, e ha scritto contro vari esponenti della gerarchia ecclesiastica), e «Pasqua della Terza Roma» (Vyksa, prov. Nižnij Novgorod, esce con la benedizione del vescovo Diomid di Anadyr’ e Čukotka, e del vescovo Ippolit, ex ordinario di Chutsk e Vinogradovo, che non avevano il diritto di dare queste benedizioni fuori della propria diocesi. In un tono inammissibile per un cristiano, anche questo giornale diffonde falsità sulla vita della Chiesa, ed è già incorso in numerose critiche negli ambienti ortodossi e dell’opinione pubblica).
Do fronte a tale situazione, il Sinodo ha preso atto che l’attività delle due pubblicazioni è dannosa alla Chiesa, ingenera fra i fedeli ortodossi uno spirito di falsità, dissidi e divisioni. È stata vietata la diffusione delle due pubblicazioni o di loro singoli materiali nelle chiese e nei monasteri russi, e nei rispettivi punti di vendita, oltre che alle fiere e mostre librarie ortodosse.
D’altro canto, il Patriarca ha relazionato sui Corsi di aggiornamento per operatori dei servizi stampa e dei periodici religiosi, svoltisi a Mosca nei giorni 25-27 marzo scorso, dove hanno svolto una relazione fondante sia Sergej Čapnin, direttore del «Cerkovnyj Vestnik» che Vladimir Legojda, direttore del mensile «Foma». Il patriarca ha avuto parole di encomio e incoraggiamento per l’iniziativa.
Commentando la delibera del Santo Sinodo circa i due giornali estremisti, «Lo spirito del cristiano» e «Pasqua della Terza Roma», «Nezavisimaja Gazeta» (S. Minin, 17 aprile), asserisce che, se non è difficile farli sparire dalle rivendite di «buona stampa» ortodossa, più arduo sarà ostacolare la loro attuale ampia diffusione in Internet.
D’altro canto, il giornalista fa rilevare che il vescovo Diomid sta assurgendo a simbolo dell’ultraconservatorismo in tutta la Russia; con la sua delibera il Sinodo ha mostrato di non condividere la visione di Diomid, ma non gli ha inferto un colpo diretto: non dice, infatti, che Diomid ha benedetto «Pasqua della Terza Roma», bensì che la pubblicazione dichiara di uscire con la sua benedizione.
Del resto, la famosa lettera aperta del vescovo della Čukotka non è mai stata discussa, e il vescovo non è mai stato richiamato. Tuttavia, ormai presto il vescovo dovrà venire a Mosca, in occasione del Sinodo dei vescovi del 24-29 giugno prossimo. Temi di quest’assemblea saranno l’unità della Chiesa, la creazione di un Tribunale ecclesiastico, e inoltre le celebrazioni dei 1020 anni del Battesimo della Rus’, come ha informato il servizio stampa del Patriarcato di Mosca. Nel corso di tali celebrazioni, tra l’altro, per la prima volta in 20 il patriarca Aleksij visiterà Kiev, e non è escluso che la situazione religiosa dell’Ucraina verrà discussa tra i temi del Sinodo dei vescovi.
Un altro tema scottante che attende il Sinodo dei vescovi - commenta Michail Poznaev («Novye Izvestija», 17 aprile), saranno le relazioni con Costantinopoli. In gennaio Costantinopoli ha deciso di fondare una diocesi in Cina, ma il Sinodo ha respinto queste pretese, riaffermando lo status della Chiesa ortodossa autonoma cinese, anche se attualmente è in condizioni deplorevoli, perché non possiede neppure un sacerdote e l’ortodossia non rientra tra le confessioni religiose riconosciute ufficialmente dalle autorità cinesi. D’altro canto, la Chiesa ortodossa russa vuol fondare a Parigi un seminario religioso, prima alternativa agli istituti di istruzione religiosa che il Patriarcato di Costantinopoli possiede nella capitale francese. Non è chiaro a chi sarà destinato - osserva Poznaev, visto che alla parrocchia russa nei giorni festivi non si recano più di 100 fedeli, e i giorni feriali ci sono 5-10 persone.
Intanto, il 25 aprile su internet (rusprav.org) è uscita una lettera aperta dei responsabili e 48 membri di «Sojuz Russkogo naroda “Svjataja Rus’“», in appoggio a Diomid, elogiato per «aver osato pronunciare una parola di verità» contro una «forza empia così organizzata e potente».
«Lei come vescovo si è levato a sostegno della fede, della Chiesa, del popolo russo e per questo contro di Lei si accaniscono tutti i traditori e gli apostati, tutti coloro che uccidono il popolo russo e la Russia.
Queste forze sono lo spregevole a Dio “potere democratico” e i suoi “pastori spirituali”, che temono più di ogni altra cosa il ridestarsi del popolo russo, la sua insurrezione contro il terribile destino che gli sta preparando il satanismo democratico». Nel testo dell’appello si prega il vescovo Diomid di non recedere né di lasciarsi impaurire dalla «tecnologia della menzogna» impiegata nei suoi confronti dai «nemici di Dio ammantati in paramenti episcopali, e dai loro manutengoli che si fanno chiamare giornalisti “ortodossi”».
Mezzi di informazione russi potranno essere sospesi o chiusi dall’autorità
Russia, giro di vite contro i mass media
Dopo la nuova pubblicazione di notizie sulla relazione tra Putin e Kabaeva la Duma vota una legge su diffamazione
MOSCA - Diffamazione e calunnia: d’ora in avanti i mezzi di informazione russi potranno essere sospesi o chiusi dall’autoritа con queste accuse. Lo ha deliberato la Duma, Camera bassa del Parlamento, votando una legge a favore di nuove restrizioni sui mass media. Ufficialmente è un provvedimento come un altro, ma il fatto che negli ultimi mesi si sia molto parlato - e non solo in Russia - della presunta relazione tra il presidente Putin e la campionessa olimpica Alina Kabaeva, fa sorgere il dubbio che esista un nesso. Recentemente anche il tabloid russo Moskovskij Korrespondent ha parlato del presunto divorzio tra Vladimir Putin e la moglie Ljudmila, “sostituita” dalla 24enne, che è anche deputata di Russia Unita. Pochi giorni dopo l’editore del quotidiano ha licenziato il direttore. Lo spinoso argomento era stato trattato a bruciapelo anche durante la visita di Putin a Villa Certosa, ospite di Berlusconi: una giornalista aveva chiesto lumi sulla vicenda e il Cavaliere aveva mimato il gesto del mitra rivolto verso di lei. Il provvedimento è stato votato dalla Duma quasi all’unanimitа (un contrario e 339 a favore).
SANZIONI - Ai sensi della nuova norma, la calunnia e la diffamazione consistono nella «diffusione di informazioni false deliberatamente dannose all’onore e alla dignitа». Con sanzioni parificate a quelle previste per la promozione del terrorismo, l’estremismo e l’odio razziale. Il disegno di legge passa ora al Senato dove è più che probabile l’approvazione. Toccherа poi a Putin la firma definitiva. La bozza era stata presentata a gennaio dal parlamentare Robert Schlegel, ex attivista del Nashi (movimento giovanile pro Putin). La Duma ha respinto la prima proposta, ma ha approvato la nuova versione presentata da Schlegel dopo che il tabloid russo ha pubblicato il gossip su Putin. Ma chiaramente nel presentare il disegno di legge, il deputato non ha citato l’episodio.
La Russia pronta a usare la forza in Abkhazia e Ossezia del Sud
Mosca, 26. Il Governo russo si dice pronto a difendere gli interessi della popolazione russofona dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud con ogni mezzo a sua disposizione, anche la forza militare, in caso di attacchi da parte georgiana. Lo ha dichiarato ieri Valeri Keniaikin, inviato speciale del ministero degli Esteri russo, in una conferenza stampa all’agenzia Ria Novosti. “Se la Georgia attaccherà l’Abkhazia o l’Ossezia del Sud la Russia userà mezzi militari per difendere i suoi connazionali che vivono in quelle zone”, ha detto il diplomatico. “Stiamo facendo di tutto per non arrivare allo scontro, ma se la Georgia userà le armi, dovremo reagire anche con mezzi militari”.
Abkhazia e Ossezia del Sud sono due Repubbliche secessioniste della Georgia, nelle quali il 90 per cento della popolazione ha passaporto russo e che puntano all’indipendenza o alla riannessione alla Russia.
Keniaikin ha detto che “se qualcuno non vuole la trattativa, ma preferisce appoggiarsi sulle forze della Nato contando che lì i soldati dell’Alleanza saranno disposti a fare la guerra, avremo i mezzi per rispondere. Se il conflitto militare parte, dovremo reagire con mezzi militari. Cosa possiamo fare se non proteggere la gente civile e disarmata dalle sofferenze di certe azioni? Noi li proteggeremo con tutti i mezzi a disposizione, e su questo nessuno abbia dubbi”. Il diplomatico russo ha precisato che “se la Georgia sostiene che quelli sono suoi territori, non siamo contrari. Non siamo contrari all’integrità territoriale e alla sovranità georgiana. Vogliamo solo che quell’integrità territoriale da una categoria teorica passi alla pratica reale. E per questo occorrono negoziati”. Keniaikin ha comunque smentito che le forze armate russe stiano già inviando più mezzi in Abkhazia e in Ossezia del Sud, come sostengono alcuni organi di stampa georgiani.
Lo stesso Keniaikin ha inoltre chiesto che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa istituisca una commissione d’indagine per chiarire le circostanze della morte dell’ex premier georgiano Zurab Shvania, trovato morto nel 2005 in una casa che non gli apparteneva e il cui decesso è stato imputato dai poliziotti georgiani a una fuga di gas. “La morte del primo ministro è avvenuta due mesi dopo che si era registrato un certo progresso nei rapporti fra Georgia e Ossezia del Sud”, ha rilevato Keniaikin, sottolineando che in precedenza le proposte sudossete erano state rigettate dagli uomini del presidente georgiano Mikhail Saakashvili.
Le tensioni con la Georgia minacciano di avere ricadute anche sui rapporti tra Russia e Unione europea. In particolare, la Lituania ha subordinato la revoca del suo veto a un nuovo accordo con Mosca proprio a un impegno dell’Unione europea a monitorare i rapporti fra Russia e Georgia, oltre che alle assicurazioni da parte della Russia sulle forniture di petrolio.
Da parte sua, invece, il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, ha detto ieri che il suo Governo non ostacolerà più le trattative sul nuovo accordo con Mosca. “La Polonia non bloccherà più l’avvio del negoziato con la Russia” ha dichiarato Sikorski durante una conferenza stampa congiunta a Varsavia con il ministro degli esteri olandese Maxime Verhagen, ricordando che il veto di Varsavia era dipeso dall’embargo russo alle importazioni di carne polacca, poi revocato dopo molte pressioni da parte dell’Unione europea.
Intervista all’arcivescovo Karakéhéyan, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale
Una comunità ricostruita dal nulla
I khatchkar sono croci di pietra che raccontano l’anima dell’Armenia cristiana. Mai vi è scolpita la figura di Cristo, quasi che rappresentarlo significasse negare la risurrezione e dunque la speranza. È come se gli armeni volessero dire che su quelle croci vuote sono sempre pronti a salirci loro al posto di Cristo. Per questo le considerano la loro seconda pelle: documenti della loro identità e di una storia segnata da indicibili sofferenze.
In questa intervista è l’arcivescovo Nechan Karakéhéyan a raccontare la complessa realtà degli armeni cattolici oggi, sopravvissuti alla persecuzione e alla dispersione nei territori dell’Unione Sovietica. Ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale e amministratore apostolico dell’ordinariato per i cattolici di rito armeno residenti in Grecia, appartiene al clero dell’istituto patriarcale di Bzommar e di recente ha lavorato per alcuni anni in Iran, tra i seimila fedeli del suo rito, come vescovo di Ispahan. Nella mattina di giovedì 24 aprile è stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI in occasione della visita “ad limina Apostolorum” degli ordinari del Caucaso.
Qual è oggi la realtà degli armeni cattolici nell’Europa orientale?
Una premessa fondamentale per comprendere la nostra situazione: sotto l’Unione Sovietica tutti i nostri settantuno sacerdoti sono stati uccisi, spediti in Siberia o in esilio. L’ultimo è morto nel 1975. Tutte le ottanta chiese e cappelle ci sono state confiscate. Quando il regime è caduto non avevamo letteralmente più nulla. Nel 1991 siamo ripartiti da zero, con un sacerdote inviato dalla Santa Sede per vedere che cosa si poteva fare.
E che cosa ha trovato quel sacerdote?
Non ha trovato più niente. Per i sacramenti gli armeni cattolici erano andati dagli armeni apostolici, che da noi sono la stragrande maggioranza, o anche dai cattolici latini ad esempio nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tbilisi. Le nostre comunità erano tutte disperse. Nel luglio del 1991 il Papa ha nominato il primo ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale nella persona di Nerses Der Nersessian, grande e indimenticato pastore morto il 24 dicembre 2006: è sepolto a Panik, un luogo simbolo per i cattolici armeni. Così abbiamo ricominciato a poco a poco a ricostruire partendo dal nulla. La visita di Giovanni Paolo II nel settembre 2001 ha fatto conoscere a tutti la nostra comunità - che si è rivelata non così piccola come in molti pensavano - e ha mostrato che cos’è la cattolicità: nei Paesi comunisti il centro della terra era Mosca e si ignorava che cosa fosse veramente la Chiesa cattolica.
Oggi com’è la situazione?
In Armenia ci sono quattro sacerdoti, in Georgia cinque e due sono a Mosca. Tra questi ci sono quattro salesiani, uno a Mosca e tre in Georgia. Due sono di origine armena, provengono da villaggi georgiani, uno è polacco e l’altro ucraino ma hanno imparato lingua e rito armeno. E hanno iniziato a fare apostolato clandestinamente già nel tempo del comunismo. Bisognerebbe avere al più presto altri sacerdoti per tutti gli armeni cattolici che vivono nei Paesi ex comunisti.
Quanti sono gli armeni cattolici?
Ci sono centottantamila fedeli in Armenia, trentamila in Georgia e duecentomila in Russia e negli altri Paesi ex comunisti. Per un raffronto, nel mondo ce ne sono altri duecentomila. Le chiese sono trentanove: alcune restaurate, altre costruite. Abbiamo anche comprato un cinema e ne abbiamo fatto una chiesa: in fondo lo stesso sistema dei comunisti che, invece, prendevano le chiese e le trasformavano in cinema! Comunque c’è bisogno di altre chiese. A Yerevan, la capitale, abbiamo solo una cappella e anche a Gyumri, la mia sede, non abbiamo una cattedrale ma solo una piccola chiesa nel vescovado. Riguardo alla cattedrale, i primi passi li abbiamo compiuti e ora speriamo che presto si trovi una soluzione. Ne ho parlato al Papa e il cardinale Bertone, segretario di Stato, ha visto con i suoi occhi la situazione quando, all’inizio di marzo, è venuto in visita in Armenia.
Quali sono le difficoltà che incontrate nella vostra missione?
È evidente il problema della dispersione. Per garantire le celebrazioni domenicali nelle parrocchie i pochi sacerdoti devono percorrere tantissimi chilometri. E qui viene fuori subito la questione prioritaria: mancano i sacerdoti, mancano le vocazioni. Siamo in dodici - un vescovo e undici sacerdoti - per circa quattrocentodiecimila fedeli sparsi in un territorio grande quanto la vecchia Unione Sovietica. Questo è il nostro problema più grande, drammatico. Si aggiunge, poi, la mancanza di mezzi e non abbiamo modo di assicurare una formazione ai laici, di fare una pastorale adeguata.
Per le vocazioni cosa pensate di fare?
Dobbiamo riconoscere che all’inizio, dopo il crollo del comunismo, abbiamo pagato lo scotto dei primi passi. Al momento abbiamo un seminario con quattro ragazzi in Armenia, due seminaristi di teologia in Polonia e due in Georgia. Si apre qualche prospettiva.
Quali sono gli aspetti positivi maturati in questi anni di rinascita?
Innanzitutto non abbiamo nessun problema con il governo che ha verso di noi una grande stima: è noto che ci sono cattolici anche in ruoli importanti. Abbiamo ottime relazioni con la Chiesa apostolica armena. Il Catholicos di Etchmiadzin ci invita spesso e sempre ci riceve fraternamente. Del resto ci conoscono bene e sanno qual è il nostro stile e la fede che ci anima. Abbiamo in comune lingua e liturgia.
Come reagite alla difficile realtà sociale?
La povertà è diffusa come la tentazione di nuovi esodi. Abbiamo la Caritas dove lavorano settanta persone. Facciamo il bene che possiamo. Da tutti apprezzato è il servizio delle suore. In particolare, ci sono le religiose armene dell’Immacolata Concezione che hanno due case in Armenia e una in Georgia: si occupano di orfani, poveri, giovani e della catechesi. In Armenia, già dal 1989, ci sono due fondazioni delle suore di Madre Teresa per i poveri, i disabili e i piccoli abbandonati. In Georgia c’è una casa delle salesiane di rito armeno. C’è poi il noto ospedale dei camilliani ad Ashotsk dove ci sono anche le piccole sorelle di Gesù.
Ora che vi proponete?
Speriamo di poter essere sempre più utili alla nostra gente. Il futuro non può essere la diaspora che significa anche perdere cultura e tradizione. Poi dobbiamo trovare il modo di sostenerci di più e meglio con i cattolici latini. La diversità dei riti deve veramente essere considerata una ricchezza. Essere cattolici non significa per forza essere latini. Nella cattolicità il rito armeno non può andare perduto.
colloquio con don Jàn Capla, superiore della missione “sui iuris” di Baku
Quattrocento cattolici nell’Azerbaigian musulmano
La speranza cristiana è la regola di vita che scandisce la quotidianità e delinea i progetti della piccolissima comunità cattolica dell’Azerbaigian, fino a dieci anni fa dispersa dopo essere stata cancellata con un tratto di penna dall’Unione Sovietica. Neppure quattrocento persone che solo da poco hanno una chiesa: finora la messa era celebrata nell’appartamento del parroco. A raccontare la storia della “chiesa domestica” di Baku è, in questa intervista, don Jàn Capla, salesiano slovacco, dal 2003 superiore della missione “sui iuris” di Baku. Giovedì 24 aprile è stato ricevuto dal Papa in visita “ad limina Apostolorum”.
Com’è formata la comunità salesiana a Baku?
Siamo cinque sacerdoti e due coadiutori. Tutti salesiani slovacchi. Collaborano con noi due volontari. Abbiamo dato vita a due comunità a Baku. Una, composta da quattro salesiani, vive nell’appartamento che per anni è stato anche l’unico luogo per celebrare la messa. L’altra comunità, formata da tre confratelli, è in un quartiere povero dove abbiamo aperto una scuola di informatica per duecento giovani. La nostra è una realtà piccola che vive in autentica fraternità. E questa è una testimonianza in mezzo alla gente.
“Chiesa domestica” è la definizione che meglio si addice alla comunità cattolica in Azerbaigian.
I cattolici azeri sono centosessanta. A loro si aggiungono circa duecento fedeli stranieri: lavoratori nel campo del petrolio, prima risorsa del Paese, e nell’ambito diplomatico. La comunità è formata da una generazione nuova. Gli anziani, quelli che hanno conosciuto le vicende più travagliate, ormai sono morti. Oggi viviamo l’esperienza di una generazione che cerca risposte nella fede e compie un cammino che scuote anche noi sacerdoti. Ma non dimentichiamo i nostri martiri: nel 1937 il parroco, don Stefan Demurow, venne deportato in Siberia e fucilato: era rimasto anche dopo che la sua chiesa era stata rasa al suolo. Per sessant’anni a Baku non si è più visto un prete cattolico: nel 1997 è arrivato un primo sacerdote e nel 2000 il Papa ha eretto la missione “sui iuris”.
Ora avete finalmente la nuova chiesa, dedicata all’Immacolata Concezione, inaugurata il 7 marzo dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato.
La nuova chiesa è un dono straordinario. E la visita del cardinale Bertone ha aperto prospettive inimmaginabili. Il terreno venne regalato dall’allora presidente della Repubblica, padre dell’attuale presidente, a Giovanni Paolo II in occasione della sua visita nel maggio 2002. Un gesto compiuto con la disponibilità dello sceicco. Un particolare: gli arredi sono stati realizzati da artisti musulmani azeri.
Quali sono state le reazioni della popolazione musulmana alla nuova chiesa?
Ogni giorno entra in chiesa qualche musulmano e accede una candela come segno di preghiera: per loro la chiesa cattolica è un segno della presenza di Dio tra gli uomini. Gli azeri si definiscono un popolo tradizionalmente tollerante ed è vero. Basti dire che quando il cardinale Bertone ha inaugurato la chiesa erano presenti il presidente della Repubblica, lo sceicco e tutte le autorità religiose. Con i capi musulmani abbiamo rapporti amichevoli. Anche con gli ebrei c’è collaborazione.
Dunque tutto bene con i musulmani?
Siamo un’esigua minoranza e questo, comunque, si sente. I musulmani non ci conoscono, hanno solo sentito dire qualcosa sui cattolici. Sta a noi testimoniare chi siamo e che possiamo vivere insieme, collaborare. Finora non abbiamo avuto problemi di convivenza. Di recente, però, c’è qualche gruppo radicale in più. Si vede qualche donna con il velo. C’è un processo di cambiamento in una terra che cerca la sua identità e sente forse l’influsso di altri Paesi musulmani.
Quale ruolo avete come “chiesa domestica” nel grande mare musulmano?
Un ruolo unico: testimoniare Cristo. Siamo chiamati a dare una testimonianza del Vangelo con la nostra vita attraverso i canali del dialogo. Penso, per esempio, all’arte. Durante la celebrazione per la nuova chiesa, il coro e l’orchestra della filarmonica di Baku, tutti artisti non cristiani, hanno eseguito l’Ave Maria, in latino e in azero. Ci siamo commossi. Stiamo completando l’acquisto di un organo per la chiesa. In tutta Baku c’è solo un altro organo, nel conservatorio. È un’occasione per aprire nuove prospettive attraverso la cultura, per fare concerti.
E i rapporti con gli ortodossi?
Sono molto buoni. Ci scambiamo le visite per le solennità. I russi sono circa sessantamila. Alle celebrazioni per le feste, nelle tre chiese ortodosse di Baku, partecipano duemila persone. Durante il periodo sovietico ortodossi e cattolici si sono aiutati vicendevolmente.
Quali sono ora i vostri obiettivi?
Aprire un centro pastorale, un oratorio, dove possano incontrarsi le culture e le religioni insieme. Dobbiamo, infatti, imparare a vivere insieme, l’uno accanto all’altro. C’è già lo spazio per costruirlo e faremo anche un campo sportivo: in città, infatti, i campi sono a pagamento e questo taglia fuori i poveri. Come salesiani abbiamo particolarmente a cuore i giovani: continuiamo così a promuovere i campi estivi che vedono la partecipazione di duecento ragazzi, non solo cattolici.
C’e una pastorale specifica per i giovani?
A Pasqua abbiamo battezzato sedici giovani. Le conversioni sono un’esperienza spirituale forte. I giovani portano pubblicamente la croce al collo. Uno mi ha detto: questa croce per me non è una decorazione, ma è il segno del prezzo che mi ha salvato.
Come curate la dimensione caritativa?
La povertà è diffusa, non si trova lavoro. Abbiamo aperto una mensa, distribuiamo vestiti, generi alimentari e quanto possiamo. Abbiamo organizzato il sostegno a distanza per i bambini. Ma adesso vorremmo fondare la Caritas e organizzare il servizio sociale proprio come testimonianza cristiana. Dal 2005 ci sono cinque religiose di Madre Teresa che gestiscono la casa per i senza tetto. Le suore sono state accolte benissimo dalla gente che le riconosce dalla loro veste, quel “sari” che anche a Baku è divenuto sinonimo di carità cristiana.
E per quanto riguarda la liturgia?
Celebriamo la messa in russo per i cattolici azeri e in inglese per i lavoratori venuti dall’estero. Ma la lingua russa viene usata sempre meno nel Paese. I giovani, infatti, ormai parlano solo l’azero. Questo comporta anche per noi una piccola rivoluzione. Ad esempio dobbiamo organizzare la catechesi nella lingua azera. Non abbiamo libri. Anche per la liturgia c’è un fondamentale lavoro da compiere, partendo da zero. Ma viviamo di speranza.