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Zoja Krachmal’nikova

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il 17 aprile è morta a Mosca dopo lunga malattia Zoja Krachmal’nikova, nota scrittrice e famosa dissidente. Nel prossimo gennaio avrebbe compiuto 80 anni. Arrestata nel 1982 per la pubblicazione dell’almanacco ‘Nadezhda’ (La Speranza), venne condannata a cinque anni di confino
Nel 1954 concluse gli studi all’Istituto Superiore di letteratura ‘Gor’kij’, si perfezionò all’Istituto di letteratura mondiale ed in seguito collaborò con le riviste di letteratura ‘Moladaia Gvardija’ e ‘Literaturnaja Gazeta’. Neglio anni 1960 - 1970 troviamo suoi articoli su ‘Novyj Mir’ e ‘Znamja’. E’ autrice di alcuni testi letterari che le permettono l’accesso alla ‘Unione degli scrittori dell’URSS’. Dal 1967 lavora come collaboratore scientifico allo ‘Istituto di sociologia dell’Accademia di Scienze dell’URSS. Nel 1971 abbraccia la religione ortodossa, per la qual cosa viene allontanata dal lavoro. Sposa Feliks Svetov, anche lui scrittore ed impegnato nel samizdat. Da questo momento Zoja si dedica con tutto il suo animo alla difesa della fede e al movimento del samizdat. Tramite il samizdat nel 1976 esce il primo numero di ‘Nadezhda’, raccolta di articoli religiosi destinati al grande pubblico, firmati con il proprio nome. Nella rivista, clandestinamente diffusa, Zoja Krachmal’nikova intendeva far conoscere testi religiosi di carattere storico formativo introvabili nell’URSS, opere dei Padri, scritti degli starci, lettere dei prigionieri cristiani dai lager, le prediche di padre Dimitrij Dudko, oltre propri articoli sulla cultura cristiana.
Nel giugno del 1987 ritorna dal confine e può continuare la sua missione, grazie alla nuova, meno pesante, atmosfera politica inaugurata da Gorbachev. Nel 1988 esce all’estero il suo libro “Frutti amari di una dolce prigionia”, sui rapporti fra Chiesa ortodossa e stato sovietico (Zoja chiede alla gerarchia ortodossa di Mosca di domandasre pubblicamente perdono al popolo di Dio per i compromessi fatti nei confronti del governo comunista). Nel 1994 la Krachmal’nikova raccoglie un’antologia di scritti (fra i quali c’è anche un suo intervento) su un tema annoso “L’idea russa e gli ebrei” (cristianesimo, antisemitismo, nazionalismo); nel 1995 un nuovo libro “Ascolta, parla la prigione” dove raccoglie le esperienze scritte in prigione e al confino.

Traduciamo una pagina del suo testo “Ascolta, parla la prigione”
Il mio monastero
“La prigione è stato il mio monastero” ho scritto nella prima lettera dalla prigione di Lefortovo dopo essere stata condannata ed aver ottenuto il diritto di corrispondere.
Il vecchio monaco che mi aveva accompagnato in prigione, mi suggeriva di entrare ‘in monastero’ entro l’anno, lui stesso aveva sperimentato la prigione. Lui sapeva che i monaci, scegliendo una vita di abnegazione rifiutano molte comodità di cui sono prive le persone che sono in prigione. Sopportazione delle umiliazioni, digiuno, preghiera incessante, sacrifici corporali, sonno limitato, dormire normalmente sulla terra o sul pavimento; tutto questo cercano coloro che sono decisi ad accettare una vita di abnegazioni. Tutto questo si può ottenere in prigione, fatta esclusione della preghiera incessante e della Divina Liturgia. Me ne sono ricordata quando, durante una tappa di trasferimento, dovetti dormire sulla terra nuda e sporca.
Perché io vivo? Quante volte me lo sono domandato svegliandomi il mattino presto in prigione. Che devo fare per essere libera in prigione? “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, dice il Signore (Gv 8,32). Vuol dire che si può essere liberi anche in prigione? La mia lotta per la libertà in prigione poté incominciare dopo che Dio ebbe misericordia di me e mi aiutò a vincere la paura. Ma perché potesse accadere io dovetti alla fin fine decidermi a morire a me stessa. “Sono parole grosse”, mi possono dire. E in realtà è vero. Ma per quanto siano grosse, solenni e, sotto un certo aspetto, perfino enfatiche, sono del tutto semplici. La loro semplicità può essere compresa soltanto nelle tragiche condizioni della prigione. Per resistere di fronte all’impeto della falsità e della violenza che risvegliano nella mia anima e nel mio cuore il terrore, bisogna dire a Dio: salvami e io resterò soltanto con Te. E’ stato il mio voto.
Stavo ritta con la schiena rivolta allo spioncino, presso la finestra del carcere. Non avevo futuro. Avevo soltanto il presente. L’oscura, alta finestra della cella, la porta metallica, chiusa a chiave dall’esterno, e la mia compagna di cella che mi guardava di schiena.
Ricordo come mi aveva impressionata la storia del tardivo monachesimo di Konstantin Leont’ev, scrittore russo, filosofo, diplomatico. Presentendo di essere giunto alla fine, in terra straniera, a causa di una terribile malattia che lo aveva colpito, fece voto di farsi monaco, di abbandonare il mondo. Il voto venne accettato poco prima della morte.
Questa è una storia tipicamente russa, la nostalgia russa di Dio e la fede nel miracolo.

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