In margine al Sinodo del Medio Oriente: persecuzione e perdono
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Ci è già capitato in altre occasioni di scrivere in merito alle persecuzioni dei cristiani e delle comunità cristiane nel mondo; non possiamo tacere e vogliamo riparlarne, dopo i gravi avvenimenti accaduti in Pakistan: in occasione delle recenti alluvioni interi villaggi cristiani inondati a seguito della deviazione del corso dei fiumi per salvare altre comunità, piccole ma mussulmane; le notizie sempre più frequenti di rapimenti e stupri di adolescenti cristiane che celano anche lo scopo di intimorire le comunità cristiane locali. Ricordiamo che in Pakistan è presente una legge sulla blasfemia gravemente discriminatoria verso i non – mussulmani, che si presta ad avallare soprusi e violazioni di diritti umani nella presunta idea di difendere la fede mussulmana.
Noi cristiani dei paesi occidentali che a volte non abbiamo il coraggio o la risolutezza di difendere la nostra cultura cristiana e addirittura la Chiesa a cui apparteniamo, dovremmo prendere esempio da questi nuovi martiri, di cui non possiamo ignorare la grande testimonianza di fede. Dobbiamo far sentire ai nostri fratelli in Asia che siamo loro vicini. Diventa allora importante non tacere queste notizie, ma farle conoscere (noi col nostro centro culturale abbiamo organizzato due incontri lo scorso anno, vedi www.cccsanbenedetto.it), lo scopo ovviamente non è quello di far crescere l’odio e il risentimento, ma innanzitutto quello di chiedere di pregare per questi nostri fratelli, ricordando le loro sofferenze, e di chiedere a Dio di dare anche a noi un po’ della loro fede. Le comunità cristiane in queste situazioni di grave persecuzione sono un segno indispensabile di speranza. Speranza offerta anche a quei paesi dove soffrono, speranza che nasce dalla rinuncia alla vendetta, dalla misericordia e dal perdono e dalla preghiera per i propri persecutori. Mettendo in pratica in modo esemplare il vangelo e rammentandoci anche quello che disse Giovanni Paolo II nel messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1º gennaio 2002: “non ci può essere pace senza giustizia, ma non ci può essere giustizia senza perdono”. Per la situazione dei cristiani in Asia valgono sicuramente le parole recentemente pronunciate da Papa Benedetto XVI all’apertura del sinodo della Chiesa del Medio Oriente: “Tutti sono chiamati a dare il proprio contributo: la comunità internazionale, sostenendo un cammino affidabile, leale e costruttivo verso la pace; le religioni maggiormente presenti nella regione, nel promuovere i valori spirituali e culturali che uniscono gli uomini ed escludono ogni espressione di violenza. I cristiani continueranno a dare il loro contributo non soltanto con le opere di promozione sociale, quali gli istituti di educazione e di sanità, ma soprattutto con lo spirito delle Beatitudini evangeliche, che anima la pratica del perdono e della riconciliazione. In tale impegno essi avranno sempre l’appoggio di tutta la Chiesa”.