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La speranza della Birmania

Fonte:
CulturaCattolica.it

Aung San Suu Kyi: un nome forse sconosciuto a molti, perché nell'informazione ci sono sempre personaggi esaltati e altri no, anche se sono esemplari per tenacia, personalità e qualità umane. Certo il fatto che Aung San Suu Kyi abbia deciso di proseguire la sua battaglia, anche dopo molti anni di prigionia, senza violenza e rancore e usando le parole speranza e libertà, può essere meno accattivante di dichiarazioni clamorose. Ma questa donna è grande proprio per tale motivo, e sicuramente nel futuro il valore della sua testimonianza non violenta per la libertà del suo popolo potrà essere paragonata a quella di Nelson Mandela in Sud Africa. La testimonianza della lotta attraverso la non violenza è importantissima, e deve ricordarci il suo vero significato, che non sta nella rassegnazione o accettazione della situazione, ma nella costanza e perseveranza nel rivendicare i diritti fondamentali della persona, senza ricorrere all’uso delle armi. La sua lotta, come quelle di Nelson Mandela o di Corazon Aquino nelle Filippine ci ricordano anche come l’uomo non possa rinunciare al desiderio di libertà. Per Aung San Suu Kyi nessun rancore, invece pacificazione, speranza, certezza del risultato: la fine della dittatura. Infatti, anche se non sono state certo elezioni democratiche, il fatto che in Birmania si siano svolte delle elezioni e che poi Aung San Suu Kyi sia stata finalmente liberata può essere l'inizio di un lungo percorso che renda la Birmania libera e democratica. Solo il tempo però potrà dire se la liberazione di Aung San Suu Kyi sia stata più il segno della forza del regime che non della sua debolezza sul piano internazionale. “Birmania”: la chiamiamo così come ha fatto Aung San Suu Kyi; Myammar infatti è il nuovo nome deciso dalla giunta militare che guida la dittatura, giunta che ha deciso tra l’altro di trasferire gli organi del governo in un nuova città fondata e costruita nella giungla, mostrando così la sua distanza dal popolo. In questa dittatura molte sono state le vittime tra le minoranze etniche, gli oppositori politici, i monaci buddisti, ma è doveroso ricordare anche la repressione che ha colpito tutti i religiosi e i missionari cristiani che erano presenti nel paese e che sono stati espulsi dalla Birmania negli anni ’70. Per fortuna avevano preparato e formato il clero locale e costruito un sistema educativo e laicale che coraggiosamente ancora oggi educa i bambini e i ragazzi soprattutto delle minoranze ed evangelizza la popolazione. Uno di questi missionari espulsi è padre Mario Meda, che inventò le adozioni d’amore, precorritrici delle ben più note adozioni a distanza e per questo ricevette l’Ambrogino d’oro. Noi del Centro Culturale san Benedetto di Milano siamo onorati di sostenere l'adozione a distanza di bambini e ragazzi birmani tramite il PIME.

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