I padroni dei bambini ( #Bibbiano docet )
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1. Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e di base. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

Una feroce polemica sta divampando in queste ore in Spagna sulla libertà d’educazione dei genitori nei confronti dei propri figli. La scintilla che ha fatto scattare il caso è la pretesa che lo Stato indottrini i giovani, attraverso il sistema scolastico pubblico, anche nelle delicate materie che attengono alla sessualità, ai diversi orientamenti sessuali e alla cosiddetta ideologia gender.Il culmine l’ha raggiunto l’attuale ministro dell’Istruzione, Isabel Celaá, quando ha pubblicamente affermato che «non si può assolutamente pensare, in nessuna maniera, che i figli appartengano ai genitori». Ergo, spetta allo Stato educarli. Il ministro, evidentemente, non ha mani letto l’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dell’Uomo, il quale proclama, invece, che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli».
Questo principio, peraltro, fu sancito nel 1948 quando, dopo la seconda guerra mondiale, l’esperienza dimostrò all’umanità tutta la brutalità e la violenza dell’indottrinamento scolastico dei giovani nelle grandi dittature genocide del XX secolo.La dichiarazione di Isabel Celaá si inserisce perfettamente in quel filone totalitario. Ed è singolare che siano proprio le donne, quando giungono al potere, a rinnegare la propria natura materna trasformandosi in arcigne antifamiliste. Non è un caso, peraltro, che la prima donna a diventare ministro in Europa sia stata Alexandra Kollontaj nel primo governo Lenin del 1918. La Kollontaj sosteneva che la famiglia vecchio tipo avesse fatto il suo tempo e stesse per tramontare, non perché lo stato la volesse distruggere, ma perché non aveva orami più alcuna funzione, in quanto nella società socialista, tutti gli oneri familiari sarebbero stati assunti dallo stato.
Interessante, anche per l’incredibile attualità, questa sua affermazione: «La vecchia famiglia meschina e circoscritta, dove litigiosi genitori s’interessano solo della loro prole, non è in condizione di allevare l’“individuo nuovo”. Saranno i campi da gioco, gli asili, gli istituti e gli altri centri dove il bambino passerà la maggior parte della sua giornata, sotto la supervisione di personale qualificato, ad offrirgli l’ambiente in cui crescere da comunista consapevole».Furono proprio i bolscevichi i primi a teorizzare l’idea del primato educativo dello Stato. Nell’ABC del comunismo, Nikolaj Ivanovic Bucharin sosteneva che «il bambino appartiene alla società in cui è nato, e non ai genitori». Il grande pedagogo Makarenko teorizzava che «solo il collettivo può e deve essere il fondamento dell’educazione pedagogica e stimolo potente al miglioramento del singolo». La Spagna oggi sembra essere tornata ai tempi della Repubblica del ’36, quando era guidata da governi che avevano ministri dell’istruzione come il comunista Jesús Hernández Tomás, o l’anarchista Segundo Blanco González. In quegli anni dominava il potentissimo ispettore scolastico Vicente Valls y Anglés, presidente del FETE, il sindacato dei lavoratori insegnanti, il quale affermava che «il compito del docente nella scuola proletaria è chiaro: occorre creare una morale socialista, al cui servizio mettere la coscienza del fanciullo». In quegli anni vigeva come regola assoluta lo slogan del sovietico Grigory Zinoviev: «Costi quello che costi, occorre impossessarsi dell’anima dei bambini».
La sinistra in Spagna, come del resto in Italia, non è mai riuscita a superare questa tara genetica nel suo DNA. L’idea di Bucharin per cui «il bambino non appartiene ai genitori ma alla collettività» resta un principio inossidabile sul quale fondare l’azione politica. Per questo non mi ha meravigliato il fatto che il candidato alla presidenza della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, abbia pubblicamente affermato la sua intenzione di rendere obbligatori gli asili nido, trasformandoli in veri e propri «centri educativi e non un parcheggio dove le mamme lasciano i bambini». Lo ha fatto in ben due occasioni. La prima è stata durante il suo intervento al convegno del Fism (Federazione italiana scuole materne) tenutosi a Bellaria il 12 ottobre 2019. La seconda durante un’intervista da lui rilasciata al TG2 Post il 16 ottobre 2019. Siamo tornati agli asili della Kollontaj, quelli «dove il bambino passerà la maggior parte della sua giornata, sotto la supervisione di personale qualificato, ad offrirgli l’ambiente in cui crescere da comunista consapevole».
Lo stesso strapotere insindacabile degli assistenti sociali, culminato nel tragico caso di Bibbiano, non è, in fondo, che un riflesso del pregiudizio ideologico nei confronti della famiglia, ritenuta meno adeguata dello Stato per quanto riguarda la funzione educativa. Anche la legge sul bullismo, appena approvata in Commissione Giustizia della Camera, è figlia di questa importazione ideologica. La proposta di legge n. 1529 prevede, infatti, che il figlio di genitori dichiarato “bullo” debba essere sottoposto ad un «progetto d’intervento educativo», predisposto dal «competente servizio sociale territoriale». Nel caso in cui il progetto educativo fallisca, Il Tribunale per i Minorenni – prevede la proposta di legge – può «disporre l’affidamento del minore ai servizi sociali», oppure «disporre il collocamento del minore in una comunità».
È interessante il differente approccio delle diverse anime politiche rispetto a questo fenomeno. I partiti di centrodestra propendevano per un inasprimento delle sanzioni penali, mentre le forze di centrosinistra insistevano nella necessità di togliere i figli alle famiglie. È purtroppo prevalsa quest’ultima logica, dati i numeri in parlamento. Si tratta di un vero e proprio scontro culturale tra chi crede comunque che la famiglia sia la prima vera agenzia educativa della società, e chi, invece, nutre un profondo pregiudizio nei suoi confronti, fino a sostenere che i minori non appartengono ai genitori ma alla collettività. In questo, bisogna riconoscerlo, Bonaccini è assolutamente coerente con la prospettiva educativa bolscevica. Lenin, Bucharin, Makarenko e la Kollontaj condividerebbero certamente la sua proposta degli asili obbligatori.