Ancora sul «cambiamento d’epoca»
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Spesso si ricorda questa citazione di Goethe, riportata da Gardiner (Il mondo di Sofia): «Colui che non è in grado di darsi conto di tremila anni rimane al buio e vive alla giornata». E ora sembra che non ci si renda conto di molto, molto meno, dominati dalla cancel culture e dal wokismo che sembrano farla da padroni nel mondo della comunicazione.
Chissà se, però, si possono intravvedere segni di cambiamento?
A me pare che, a furia di parlare di «cambiamento d’epoca», non si riesca più a capire quelli che sono i «segni dei tempi», che rimangono una lettura ideologica e di parte della lettura del presente, sempre indiscutibile da coloro che ne parlano.
Tempo fa ho letto un bellissimo libro del prof. Leonardo Lugaresi dal titolo: «VIVERE DA CRISTIANI IN UN MONDO NON CRISTIANO» il quale «vuole semplicemente proporre, in forma accessibile a tutti, alcuni spunti di riflessione e di confronto storicamente plausibili con l’esperienza del cristianesimo dei primi secoli, su temi che – alla luce di una lunga consuetudine di studio e di una sincera passione per la storia cristiana – mi sono sembrati particolarmente pertinenti alla situazione in cui oggi i cristiani si trovano a vivere». Non solo una lettura affascinante, per la competenza dell’autore, ma illuminante per capire e vivere il presente. Perché, si sa, anche la lettura deve aiutare a vivere il presente, a capire la realtà, a confrontarsi con i fatti, a vincere i pregiudizi…
Poi, in questi giorni, ho pure letto questo testo del Card. J. De Kesel, Cristiani in un mondo che non lo è +. Mi basta questa citazione per comprendere la posizione dell’autore: «nelle culture religiose la libertà religiosa risulta minacciata…
In questa situazione risulta minacciata anche la libertà dell’atto di fede. Nelle culture religiose, la fede è un’opzione della cultura e non una scelta personale… Non esisteva davvero una libera scelta.
Non è affatto così in una società moderna e secolarizzata, in cui la fede cristiana non è più l’opzione della stessa cultura, ma l’opzione personale del cittadino che è libero di scegliere questa o quella fede, libero di credere o non credere…»
Subito mi sono ricordato della interessante lettura di un testo di Newman, Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina, dove è chiarissimo che in certe epoche della storia sono stati proprio i laici a salvare la fede cattolica. «Se devo dire la verità, mi sento disposto a evitare ogni convegno di vescovi; poiché non ho mai visto un sinodo condotto a un esito felice, e che rimediasse, e non piuttosto aggravasse, i mali esistenti…» [s. Gregorio, 382 d. C.]
Newman sempre nel testo citato così si esprime: «Nella storia dell’Arianesimo vedo, quindi, un esempio lampante della situazione della Chiesa in un momento storico nel quale per conoscere la tradizione apostolica, fu necessario far ricorso al popolo di Dio… Ciò che mi conforta e mi dà sicurezza è la fede del popolo. Per usare le parole di Ilario, penso infatti che, se il popolo di Dio non fosse stato catechizzato nell’ortodossia sin dal tempo del suo battesimo, esso non avrebbe avuto quel suo radicale rifiuto della eterodossia ariana.»
C’è un popolo che ci aiuta a riconoscere la verità. Ma qui mi pare la grave questione: il popolo viene continuamente sviato da una cultura, da una mentalità, da pressioni che tendono a cancellare la sua coscienza.
Quello che i social ci raccontano a proposito dei tanti intellettuali a libro paga della mentalità laicista, incapaci (volutamente) di dare ragione della realtà, preoccupati di indottrinare (e falsificare) secondo il mainstream dominante, dovrebbe aprirci occhi ed orecchie per non cedere alla «voce del padrone» (e qui le vicende denunciate da Trump a proposito dei fondi USAID possono insegnare). Quella voce raggiunge anche i più giovani nella scuola, e basterebbe che i ragazzi avessero la semplicità di raccontare ai genitori e agli educatori quello che viene loro propinato da insegnanti senza scrupoli per ridestare quell’impegno educativo che è appannaggio della famiglia. Aborto, contraccezione, sessualità sbarazzina, questionari senza rispetto per le esperienze dei giovani… contrabbandati come argomenti di attualità che non hanno alcuna attinenza con le materie studiate, nell’illusione da parte di alcuni docenti di conquistare la simpatia dei ragazzi. Chiedete ai vostri figli o guardate – se ve lo consentono – le loro chat…
E poi improvvisamente ascoltando le canzoni di quel carrozzone che è Sanremo ci si imbatte in testi e musica che suscitano commozione e stupore, diventano notizia che buca la ovvietà dei testi ideologici che, per esempio, hanno invaso le cronache dell’anno scorso.
Che cosa voglio dire allora? Il «cambiamento d’epoca» non è l’affermazione di una ideologia che conferma le tesi di coloro che vorrebbero essere i nostri padroni del pensiero. Il vero cambiamento vuole essere la capacità di riconoscere i segni dei tempi, che proprio per la loro natura non sono riconducibili a schemi. Rammentiamo Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa». (Is. 43, 18-19)
Non sarà l’ideologia di De Kesel, non saranno le parole stantie di certi insegnanti, non saranno gli articoli dei giornalisti à la page, non sarà soprattutto la cultura di morte che soffoca ogni sentimento di amore e di bellezza, di quella freschezza dell’amore che Simone Cristicchi canta nella sua commovente canzone “Quando sarai piccola”, ma sarà l’esperienza del canto della vita, del miracolo della compagnia, dei volti ancora capaci di stupirsi, del coraggio di essere se stessi e di andare controcorrente… il cambiamento d’epoca è l’epoca di quello stupore per cui, finalmente, ci accorgiamo di ciò che vale veramente e lo sappiamo comunicare, come quel frammento (tante volte con sorpresa ricordato) di Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Per fortuna o per grazia la vita è più grande delle nostre costruzioni o fantasie: «Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Il riconoscerlo è già un primo passo.
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