I segni dei tempi, secondo don Giussani
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Da L. Giussani, Una rivoluzione di sé, pp. 41-43

CRISTIANITÀ E CRISTIANESIMO
Giovanni XXIII parlava di segno dei tempi, amava parlare di «segni dei tempi». Utilizziamo anche noi questa espressione e cerchiamo un segno dei tempi per quanto concerne la pedagogia alla fede, il nostro rapporto di fede, il nostro rapporto con la fede.
Mi pare che questo segno dei tempi possa essere definito così: quindici anni fa, quando abbiamo incominciato con Gioventù Studentesca – ognuno di voi se lo ricorda –, lo spunto, il motivo (non dico quindici anni fa per ognuno di voi, ma dico che è un atteggiamento perdurato fino a ora), lo spunto per il richiamo, il movente su cui si cercava l’appoggio, la ragione – ecco – su cui si cercava appoggio per muovere all’adesione, il movente, il motivo su cui ci si cercava di fondare, era normalmente questo: siamo nati in una tradizione, non è giusto che noi abbiamo a continuare o a tralasciare questa tradizione, se non impegnandoci prima con essa. Una storia ci formulava un dovere di lealtà verso di essa.
A mia esperienza, questo fu il tipo di richiamo catalizzatore delle buone volontà, catalizzatore di un minimo di semplicità di cuore che ancora rimanesse. Comunque, a mia esperienza, fu questo tipo di richiamo, fu questa ragione che mosse tutta la gente che venne con noi: dico il motivo o il movente esplicitato, teorizzato, definito.
Ora, se c’è un aspetto impressionante come segno dei tempi, o del segno dei tempi, è questo: che un simile tipo di richiamo oggi non terrebbe, non terrebbe più. Per il giovane, e per ognuno di noi, nella misura in cui gli rimane dentro un po’ di giovinezza, la tradizione come motivo e richiamo non è più sufficiente; potrebbe essere una parola che, in certo temperamento equilibrato e pieno di sensibilità, potrebbe anche suscitare emozione e commozione, ma non quella impressione che muova. Se dovessi attualmente chiedere a dei ragazzi di entrare in GS io non credo che userei ancora questa ragione.
È vero, e si può anche sottolineare il perché: è un tempo, il nostro – quante volte abbiamo avuto occasione di accennare a questo –, in cui la storia passa un momento eminentemente critico, perciò un momento di impegno a revisione e a rivoluzione delle cose. In questo senso, la storia vive un momento in cui viene meno il senso della storia: affannato e appassionato nell’opera presente, l’uomo smarrisce il senso della storia.
Da questo punto di vista, un tempo come il nostro, se è ricco di una energia inusitata, se è ricco di una forza operativa impensata fino a pochi anni fa, è estremamente povero di spirito, ma non nel senso evangelico della parola; è un’epoca estremamente povera perché la ricchezza dello spirito è eminentemente un fenomeno, un avvenimento di sintesi, e il senso della storia è l’indice supremo della ricchezza dello spirito.
Ma c’è un secondo aspetto di questo segno dei tempi, che conferma l’interrogativo che la prima sottolineatura ha incominciato a porre. C’è un altro modo con cui non si può più incominciare per richiamare alla fede; è un altro modo con cui l’ammirazione dell’intelligente può ancora essere destata, ma non quel movimento della persona che la faccia passare a qualcosa di nuovo, la faccia impegnare con qualcosa da fare, con qualcosa di definitivo, di definente e di definitivo – quante volte, pure, abbiamo fatto questo richiamo! non è il fatto che la filosofia cristiana della vita, lo sguardo cristiano sul mondo, la teoria cristiana dell’esistenza sia più completa, sia completa rispetto alle altre, perfetta, equilibrata, comprensiva, umanissima, non è neanche la meraviglia d’una teoria perfetta, che può muovere il giovane di oggi e ognuno di noi, nella misura in cui ha qualcosa di giovanile in sé.
Tradizione e teoria, tradizione e discorso, non possono più muovere l’uomo di oggi. Ho parlato del giovane, ma quel minimo di giovanilità cui ho accennato prima rimane nell’uomo per tutta la sua vita, per cui anche per noi è così, anche per l’uomo adulto e maturo è così; anzi, per l’uomo adulto e maturo questo problema non si pone, proprio perché per diventare adulti nella fede bisogna averlo superato, bisogna aver superato il richiamo affascinarne del motivo storico e il richiamo mirabile di una estetica data da una perfezione teorica.
Non può più essere né la storia, né la dottrina, né la tradizione, né il discorso a muovere l’uomo di oggi. Tradizione e filosofia cristiana, tradizione e discorso cristiano hanno creato e creano ancora la cristianità, non il cristianesimo. Per «cristianità» intendiamo quel flusso, quella corrente, quell’alveo identificabile nel campo della storia e qualificato, appunto, da determinate formule di pensiero, da determinati modi di concepire, da determinate regole morali, da determinati valori che si sottolineano, da determinati atteggiamenti pratici, da determinate forme. Tradizione e discorso, tradizione e cultura cristiana, tradizione e teologia, se volete, tradizione e dottrina cristiana creano delle forme. [L. Giussani, Una rivoluzione di sé, pp. 41-43]
«Cercava la Bellezza e ha trovato Cristo» - dal sito di CL