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Mostre Ottobre 2016

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it

In occasione dei centocinquant'anni dalla nascita, al grande scultore Paolo Troubetzkoy (1866-1938), sono state esposte, presso Palazzo Viani Dugnani di Verbania, 150 sculture in gesso, parte del patrimonio di opere donate al museo dagli eredi dell'artista per sua stessa volontà. Sono opere straordinarie per qualità tecnica e intensità emotiva, un'eccellente selezione del lavoro di quello che è stato considerato uno dei maggiori scultori del Novecento, paragonato a Rodin e definito "impressionista" dalla critica internazionale. Troubetzkoy, nato a Intra nel 1866, secondogenito del principe russo Pietro e della cantante americana Ada Winans, viene a contatto, nella villa di famiglia a Ghiffa, con i pittori Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni ed è proprio dal particolare impressionismo della pittura scapigliata lombarda che inizia la sua ricerca scultorea. Nel 1884 il giovane Paolo, insofferente agli studi, si trasferisce a Milano e comincia il suo apprendistato, prima con Donato Barcaglia e poi con Ernesto Bazzaro, frequentando l’ambiente culturale dell’epoca, dove conosce, tra gli altri, Grubicy, Segantini, D’Annunzio, Crispi, di cui esegue i ritratti. Partecipa ai primi concorsi per monumenti alle glorie nazionali tra cui Fanti, Dante, Amedeo IV di Savoia e Garibaldi. Di quest’ultimo esegue un bozzetto nel 1888 e un colossale gesso alto quasi tre metri nel 1894, esposto alla II Esposizione Triennale di Belle Arti di Milano dello stesso anno. Eseguirà anche il monumento al generale Cadorna, nativo di Pallanza.
La mostra presenta i materiali e i soggetti da lui prediletti: eleganti figure femminili, delicati nudi, animali, ballerine e ritratti dal vivo, sculture leggere e quasi parlanti.

A Seregno, presso la Galleria Civica Ezio Mariani, è allestita la nuova personale di Letizia Fornasieri con una serie di opere pittoriche che appartengono al recente ciclo di lavori sviluppati sul tema del paesaggio e della natura. La mostra si compone di una trentina di quadri e si pone come prosecuzione ideale del percorso iniziato nel 2015 con “I paesaggi attesi” al Museo Diocesano di Milano e la personale ad Arte Fiera, Bologna dello scorso gennaio. Letizia Fornasieri negli ultimi anni ha infatti intrapreso un cammino che l'ha portata verso una 'nuova' pittura dai segni più rapidi ed essenziali. Queste nuove immagini, meno didascaliche ma rielaborate invece dal ricordo e dalla memoria, portano a un risultato più sintetico e a tratti quasi astratto. Anche la tavolozza dei colori é rinnovata: trasparente e luminosa è caratterizzata da una nuova tecnica che consente al colore di scivolare maggiormente sulla superficie di forex che ha sostituito la più classica tavola di legno o la tela. Il viaggio di Letizia Fornasieri attraverso il territorio italiano porta a Seregno i paesaggi toscani delle Crete senesi e le cascine della bassa pianura padana. In mostra ci saranno i vigneti dipinti nel succedersi delle stagioni, i campi di grano e di papaveri e le ginestre. Non mancano alcune opere dedicate agli animali da cortile. E insieme alle classiche ninfee, come ultimissima novità i fiori della Primavera ritratti nel loro ambiente naturale: distese di violette, fiori di tarassaco e margheritine.

Arriviamo con una proposta a Milano. Presso la Galleria Rubin (Via Santa Marta 10) dal 13 ottobre apre la mostra Fermo immagine di Pietro Albetti (1973). Legato alla tradizione figurativa lombarda, dal segno solido e dal colore pastoso, Albetti in questa rassegna presenta i risultati delle sue ultime ricerche. Dopo aver proposto Navigli e Milano, frutto di osservazioni dal vero, proprio della pittura “en plein air”, sono arrivati a ruota i cicli Farm e Mattatoio (dalla quieta attesa delle mucche destinate al macello fino al drammatico epilogo di esse nel mattatoio), è giunto a Factun est, una riflessione sulla vita nel ventre materno. La nuova serie si sofferma sul legame che si stabilisce tra la persona e l’ambiente urbano; un rapporto che ha precedenti illustri come nell’americano Hopper.
Ma diversamente dalla fissità e isolamento dei personaggi hopperiani, le persone di Albetti parlano tra loro o comunicano con altri al telefono. Una visione non di lucida tragicità, ma di pacata consapevolezza della propria condizione umana, fragile ma aperta al tutto.

 Al MuSa di Salò troviamo la rassegna dal titolo Da Giotto a de Chirico. I tesori nascosti. La mostra offre al visitatore un percorso che parte da due magnetiche teste muliebri marmoree, prime sculture “italiane” riferite a un maestro federiciano della metà del Duecento, seguite da tre opere di Giotto. Si passa poi dalla scuola lombarda – con i leonardeschi Bernardino Luini, Agostino da Lodi, Bergognone, Savoldo, Romanino, Tanzio da Varallo, Francesco Cairo, Carlo Francesco e Giuseppe Nuvolone, Agostino Santagostino e Giacomo Ceruti – a quella veneta – con Tiziano, Veronese, Matteo Ponzone, Pietro Liberi, Giulio Carpioni, Giulia Lama, Pietro Longhi, Francesco Fontebasso. Dipinti e sculture da tutte le regioni italiane si susseguono fino a giungere ai maestri dell’Ottocento e del Novecento. L’avvincente stagione della pittura del XIX secolo è rappresentata dai capolavori di Antoon Sminck Pitloo, Domenico Morelli, Antonio Mancini, Vincenzo Volpe, Gaetano Previati, Giovanni Boldini e, quella del Novecento, si forma attorno ad otto significativi dipinti di Giorgio de Chirico, con opere di Giorgio Morandi, Felice Casorati, Aroldo Bonzagni, Filippo De Pisis, Alberto Savinio, Achille Funi, Renato Guttuso, Fausto Pirandello, Giacomo Manzù e Cagnaccio di San Pietro. La mostra prende avvio dall’esposizione Il tesoro d’Italia, tenutasi all’Expo di Milano 2015 nel padiglione di Eataly e che si evolve a Salò con una essenziale variante: la rinuncia a ogni opera pubblica, di musei, di chiese a favore delle collezioni private. Capolavori dunque quasi impossibili da vedere, se non per pochi “privilegiati”. Si passa così da Il Tesoro d’Italia ai Tesori nascosti.
 
Cesare Battisti, chi era costui?” Nonostante gran parte degli italiani abbiano sentito pronunciare almeno una volta il nome di Cesare Battisti, pochi ne conoscono la vita, la storia umana, le battaglie politiche, la passione per la storia, la geografia, la scrittura. La maggior parte delle persone associa Cesare Battisti alla sua tragica fine nella cosiddetta Fossa dei Martiri del Castello del Buonconsiglio, il 12 luglio 1916. Emblematica la frase con la quale lo storico Mario Isnenghi definisce Battisti come “una delle personalità più citate ma meno conosciute del Novecento.”

Nell’ambito delle iniziative sulla Prima Guerra Mondiale e in occasione del centenario della sua morte, la mostra allestita a Trento nel Castello del Buonconsiglio, intende, attraverso una selezione di preziose opere d’arte dell’epoca e di rare testimonianze storiche, illustrare al grande pubblico una personalità di grande spessore umano e culturale che ha avuto un ruolo importante nella storia recente non solo del Trentino ma anche dell’Italia e merita di essere conosciuto nella sua complessità e modernità. La prima sezione traccia un quadro della vivace situazione culturale del Trentino nel contesto austro-ungarico prima del 1914, con dipinti di Giovanni Segantini, Eugenio Prati, Bartolomeo Bezzi, Alcide Davide Campestrini, Umberto Moggioli, ma anche Franz von Defregger, Albin Egger-Lienz. I paesaggi di Guglielmo Ciardi e le fotografie di illustrazione di un Trentino ancora prevalentemente rurale accanto ai dipinti di Felice Carena introducono nella seconda sezione il crescente impegno di Battisti, ormai rientrato a Trento dopo la laurea a Firenze, nelle questioni sociali, politiche e culturali della sua terra, dalla militanza socialista all’elezione a deputato a Vienna, che egli conduce assieme all’esperienza di giovane geografo sul campo con le sue innovative ricerche sui laghi del Trentino. Al periodo immediatamente precedente all’entrata in guerra dell’Italia, durante il quale la gente trentina venne invece coinvolta subito nell’impegno bellico austro-ungarico, è dedicata la terza sezione, che vede Battisti impegnato nella campagna interventista nelle città italiane, la chiamata alle armi, i profughi di Katzenau, e, in parallelo, le opere di Depero, di Balla, di Bonazza, ma anche di Kriegsmaler, come Alfons Walde, Albin Egger-Lienz, Hans Bertle, quest’ultimo testimone della cattura di Battisti sul Monte Corno. Altre testimonianze storiche e figurative - quelle di Beltrame, Pogliaghi, Sartorio, Sottssas, D’Andrea, Guala, Viani, Mantelli, Morando - raccontano gli anni cruciali della guerra, le immani fatiche condotte sulle cime alpine e la macchina militare austro-ungarica, acquartierata nelle sale cinquecentesche del Castello del Buonconsiglio. Alla creazione del mito di Battisti è infine dedicata l’ultima parte, con fondamentali opere che ne costruiscono l’iconografia, come i dipinti di Carrà e di Barbieri. 

A Firenze, presso il Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti troviamo una mostra dedicata ad una particolare classe di manufatti di grande valore artistico e raffinatezza, sebbene di ridotte dimensioni: piccole sculture a tutto tondo in pietre preziose, di epoca ellenistico romana, per secoli al centro dell'interesse collezionistico dei Medici e oggi in gran parte patrimonio del museo del Tesoro dei Granduchi delle Gallerie degli Uffizi. La mostra si apre illustrando con alcuni esempi le caratteristiche di questi piccoli formati scultorei di epoca classica, realizzati a tutto tondo da pietre preziose, e mettendo in risalto la loro stupefacente vicinanza, in termini iconografici e formali, con la grande plastica del periodo. E' questo il caso del Ritratto di Augusto del Tesoro dei Granduchi messo a diretto confronto con una replica marmorea dello stesso tipo. Il corpus complessivo delle preziose sculture antiche ad oggi noto è costituito da circa quattrocentottanta esemplari, un numero senz’altro errato per difetto e destinato quindi a crescere con il progredire degli studi. Nella prima sezione sono anche illustrate le funzioni di queste preziose sculture che, come dimostrano confronti iconografici testimoniati in mostra da un prezioso dittico eburneo del VI secolo d.C. o da un rilievo marmoreo degli inizi del III secolo d. C., erano utilizzate come complementi di attributi connessi con i ritratti legati al culto imperiale. Una grande passione per questo genere di sculturine in pietre dure fu propria di Francesco I de' Mediciche ne possedeva una nutrita collezione e si impegnava ad incrementarla commissionando la ricerca a Roma di marmi e pietre adatti alla creazione di bustiTeste antiche in pietre dure furono così assemblate su busti in alabastro orientale, scolpiti nelle botteghe di corte e impreziositi da panneggi e acconciature d'argento dorato. Questa collezione fu destinata da Francesco I all'arredo della Tribuna (descritto nell'inventario del 1589), uno scrigno delle meraviglie nel cuore degli Uffizi. Tra queste spiccano in particolar modo il Busto femminile con testa di cristallo di rocca di età imperiale, il Canopo egizio in calcedonio e il Busto di mora in onice e argento dorato dell'intagliatore milanese Giorgio Gaffuri. Le piccole sculturine preziose furono utilizzate anche per abbellire le mensole che reggevano il palchetto della Tribuna: del loro arredo si offrono in mostra due testimonianze esemplificative.

Presso il museo Galileo è allestita la mostra dal titolo Pescare nel fango: il Museo e l’alluvione.
Figura di rilievo tra gli studiosi di strumenti antichi, Maria Luisa Righini Bonelli, si prodigò per salvare il salvabile. Le cronache ricordano che non esitò a inerpicarsi sui cornicioni di Palazzo Castellani per trasferire oggetti dalla contigua Galleria degli Uffizi, allora collegata all’edificio del Museo da un passaggio soprelevato. Consapevole che l’invisibilità porta all’oblio, seppe trasformare la grave calamità in occasione per richiamare l’attenzione della stampa sull’Istituto e Museo di Storia della Scienza. Un aspetto curioso di questa propaganda è costituito da alcune fotografie della direttrice in posa con in braccio la lente e i telescopi di Galileo, che non erano a rischio alluvione. Oltre a una rete di contatti internazionali, agli inizi del 1967 Righini Bonelli fondò l’Accademia degli Infangati per riconoscere il ruolo dei cosiddetti “angeli del fango”.

Nelle storiche sale di Palazzo dei Priori a Fermo (AP), troviamo una mostra che presenta figure emblematiche di donne, attraverso un selezionato nucleo di opere appartenenti a diverse epoche.
Il titolo della mostra sottende un percorso denso di suggestioni, storie e immagini attraverso reperti archeologici, opere pittoriche, sculture e installazioni di grandi artisti italiani e internazionali, tra cui Jacobello del Fiore, Rubens, Hayez, Van Gogh, Segantini, Previati, Giacomelli, Beecroft. La mostra prende spunto dalla dea Cupra, partendo dall’anellone a nodi, un unicum nel suo genere che spicca per importanza nelle collezioni fermane, ritrovamento archeologico associato alle donne picene. L’anellone con i suoi caratteristici nodi, di cui ancora oggi non si comprende a pieno l’uso e il significato, viene assunto a icona della femminilità e nella sua simbolica circolarità diventa il punto di partenza e l’immagine stessa del percorso espositivo. La dea Cupra, per caratteristiche e iconografia, precorre la nascita di Venere, ritenuta l’anello di congiunzione tra tutte le immagini di donne - a partire dalla dea sumera Inanna e dalla babilonese Ishtar - che, a sua volta, lascerà in eredità parte dei suoi attributi iconografici alla figura monoteista e cristiana della Vergine Maria.
Ne risulta una mostra concentrata e ricca di senso, un viaggio nella storia della rappresentazione della figura femminile, uno dei temi più cari all’arte di tutti i tempi, in cui le preziose opere della collezione permanente del Palazzo dei Priori entrano in un serrato dialogo con i capolavori provenienti dai vari prestiti. Anche l'allestimento rispecchia la visione circolare dell’anello: il cerchio diventa punto di vista formale e visivo di unione tra opere molte conosciute ed altre da scoprire. Un segno di infinito che racconta, sotto una nuova luce, storie intense ed emozioni grazie a un insolito e rivelatore punto di vista.

In occasione del cinquecentesimo anniversario della prima edizione dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1516), è stata organizzata una mostra a Tivoli, nello splendido scenario di Villa d’Este. Villa d’Este, con il suo celebre giardino e i suoi ambienti affrescati, costituisce uno scenario ideale per una mostra di questo tipo: il cardinale Ippolito II d’Este, che fece costruire e decorare tra gli anni sessanta e settanta del Cinquecento questa villa di delizie, nipote del cardinale Ippolito I a cui era stato dedicato il Furioso, non solo è citato più volte nel poema, ma aveva avuto modo di frequentare l’Ariosto negli anni della giovinezza trascorsi presso la corte ferrarese. Già i contemporanei hanno giudicato Ludovico Ariosto un “poeta che colorisce”, capace di “dipingere” le armi e gli amori con la penna e con l’inchiostro: pochi decenni dopo la sua morte lo si poteva già celebrare paragonandolo a Tiziano. È anche a causa della natura intrinsecamente figurativa dei versi ariosteschi che l’Orlando furioso ha goduto, nei secoli, di una vasta fortuna visiva: una vicenda che non si è ancora esaurita e che la mostra, curata da Marina Cogotti, Vincenzo Farinella e Monica Preti intende ricostruire, analizzando in dettaglio una serie di episodi significativi, partendo dagli inizi del Cinquecento e giungendo fino al Novecento. Le opere convocate a Villa d’Este, attingendo alle più varie tipologie e tecniche artistiche (dipinti, sculture, arazzi, ceramiche, disegni, incisioni, medaglie, libri illustrati...), intendono costruire un’esposizione rigorosa, nel suo costante rapporto con i temi del poema ariostesco, ma al tempo stesso capace di suggestionare emotivamente il visitatore. Il percorso si aprirà, al piano nobile della villa, negli appartamenti del cardinale. Si potranno seguire, in un itinerario cronologico, alcune vicende della fortuna visiva del poema: dopo una premessa dedicata al volto e al mito del poeta (dove i ritratti cinquecenteschi dell’Ariosto dialogheranno con le rievocazioni ottocentesche di alcuni episodi, reali o fantastici, della sua vita), una sezione sarà dedicata alla storia figurativa del Furioso nel Cinquecento.

Mimmo Jodice, uno degli indiscussi maestri della fotografia contemporanea, è protagonista al Madre di Napoli, con la più ampia retrospettiva a lui dedicata. Attesa. 1960-2016 è il titolo della rassegna che, attraverso oltre 100 opere, in un allestimento appositamente pensato per il museo, ripercorre la carriera del grande fotografo, dalle prime sperimentazioni sul linguaggio fotografico degli anni Sessanta e Settanta fino alla nuova serie (Attesa, 2015) realizzata in occasione di questo progetto retrospettivo. Il percorso espositivo propone i più importanti cicli realizzati da Jodice, in cui si articolano i principali aspetti e temi della sua ricerca, dalle radici culturali del Mediterraneo fino al perdurare del passato nell’identità del presente. Una sezione sarà dedicata ai lavori di matrice sociale e di impegno civile degli anni Sessanta e Settanta, mentre nelle altre sezioni saranno presentate anche opere di alcuni artisti, selezionati per delineare le primarie fonti di ispirazione di questa ricerca magistrale. Jodice delinea nelle sue opere una dimensione spazio-temporale posta al di là delle coordinate spaziali o dello scorrere del tempo, sospesa nella dimensione contemporaneamente fisica e metafisica, empirica e contemplativa dell’attesa. Un’attesa che è anche matrice e magistero di una pratica rigorosamente analogica della fotografia: l’attesa nella ricerca paziente dell’illuminazione, spesso mattutina, in grado di rilevare l’essenza del soggetto rappresentato, o l’attesa nell’altrettanto paziente bilanciamento dei bianchi e dei neri in camera oscura. Nelle sue diverse sezioni, fra loro connesse, la mostra evoca un tempo circolare, ciclicamente ritornante su se stesso, sulle sue ragioni fondanti e sui suoi motivi ispiratori, da cui affiora una vera e propria “realtà fotografica”.

La mostra Guttuso / Incorpora / Messina. Inedite visioni ai piedi dell’Etna, realizzata a Linguaglossa (CT) ha come protagonisti tre personalità dominanti dell’arte della seconda metà del Novecento: tre siciliani d’elezione, tre militanti in una società, come quella italiana del dopoguerra e poi del boom economico, che credeva negli ideali e che sperava, anche attraverso l’arte, di smuovere le coscienze e di parlare al potere precostituito con l’uso delle immagini. Il percorso espositivo propone alcune opere significative di Renato Guttuso, Salvatore Incorpora e Francesco Messina per rilevarne la poetica in una logica fruttuosa di confronto e per dimostrare che, pur non avendo lavorato insieme, i tre artisti hanno cercato di interpretare il loro tempo con un sentire che li accomuna. Le Inedite visioni ai piedi dell’Etna sono un modo per scoprire da vicino la sintonia che le opere di Guttuso sprigionano accanto a quelle di Incorpora, l’uno siciliano di nascita, l’altro d’adozione, il primo nato in Sicilia ma trasferitosi a Roma, il secondo calabrese ma siciliano nell’anima e “linguaglossese” per tutta la vita. Entrambi però, allo stesso modo, orientati a raccontare le problematiche sociali, le vicende della cronaca nazionale e locale, entrambi affascinati dalla donna intesa come musa ispiratrice, dall’idillio della natura, dagli uomini e dalle loro vite. Due poetiche che trovano un risvolto più pacato, classico, in chiave realista, nella scultura di Francesco Messina che nasce a Linguaglossa e la lascia sin da giovanissimo per non farvi più ritorno. La mostra prende corpo attraverso un incontro serrato delle opere, accostate tra loro per suggellarne suggestioni e interpretazioni viscerali. Prende così forma un confronto fatto dai dipinti di Incorpora, mai esposti prima d’ora, dalle tele di Guttuso, provenienti da collezioni private e mai presentate in Sicilia, e da un nucleo di sculture di Messina che per la prima volta approdano nel museo a lui dedicato. Tre linguaggi e tre ideologie che si possono ammirare in un percorso che si snoda ai piedi dell’Etna, dove la poesia della pittura e della scultura suggella una visione corale.

150 Trubetzkoy 1866-2016
Verbania (VB)- Palazzo Viani Dugnani
4 giugno 2016 – 30 ottobre 2016
Orari: martedì-venerdì 11.00 – 18.00, sabato – domenica 10.00 – 19.00
Biglietti: 4€ intero, 2,50€ ridotto

Letizia Fornasieri
Seregno (Mi) – Galleria Civica Ezio Mariani
24 settembre 2016 – 9 ottobre 2016
Orari: lunedì – sabato 16.00- 19.00, domenica 10.00- 12.00/ 16.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.letiziafornasieri.it


Fermo immagine. Pietro Albetti
Milano – Galleria Rubin (Via Santa Marta 10)
13 ottobre 2016 – 2 novembre 2016
Orari: lunedì – venerdì 15.00-19.30
Ingresso libero
Informazioni: www.galleriarubin.com

Da Giotto a de Chirico. I tesori nascosti
Salo’ (Bs). – Museo Musa
6 novembre 2016
Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 16€ intero, 14€ ridotto
Informazioni: www.museodisalo.it

Tempi della storia, tempi dell’arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma
Trento – Castello del Buonconsiglio
12 luglio 2016 – 6 novembre 2016
Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 10€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.buonconsiglio.it

Splendida minima. Piccole sculture preziose nelle collezioni medicee dalla tribuna di Francesco I al Tesoro granducale
Firenze – Palazzo Pitti, Tesoro dei Granduchi
21 giugno 2016 – 2 novembre 2016
Orari: martedì – domenica 8.15- 18.50
Biglietti: 8€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.gallerieuffizimostre.it

Pescare nel fango: il Museo e l’alluvione
Firenze- Museo Galileo
20 giugno 2016-20 novembre 2016
Orari: tutti i giorni 9.30-18.00, martedì 9.30-13.00
Biglietti: 9€ intero, 5,50€ ridotto
Informazioni: www.museogalileo.it

L’anello di Cupra. Icone della femminilità dalla preistoria a Rubens, da Van Gogh ai contemporanei
Fermo (AP)- Palazzo dei Priori
31 luglio 2016 -23 ottobre 2016
Orari: martedì - venerdì 10.30-13.00/15.30-18.00, sabato e domenica 10.30-13.00/15.30-18.30.
Biglietti: 6,50€, 5€ ridotto
Informazioni: www.sistemamuseo.it

I voli dell’Ariosto. L’Orlando furioso e le arti
Tivoli ( Roma)- Villa d’ Este
15 giugno 2016 - 30 ottobre 2016
Orari: martedì –domenica 8.30-18.30, chiuso lunedì
Biglietti: 11€ intero, 5,50€ ridotto
Informazioni: www.ariostovilladeste.it

Mimmo Jodice. Attesa 1960-2016
Napoli – Museo Madre
24 giugno 2016 – 24 ottobre 2016
Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 10.00-19.30; domenica 10.00-20.00; chiuso martedì
Biglietti: 7€ intero,
Informazioni: www.madrenapoli.it

Guttuso Incorpora Messina. Inedite visioni ai piedi dell’Etna
Linguaglossa (Ct) – Museo Messina
1 settembre 2016 - 31 ottobre 2016
Orari: martedì - domenica 10.00-13.00/17.00-20.00
Ingresso libero
Informazioni: www.visitsicily.inf.it

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