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Il Mediterraneo non può diventare il cimitero dei poveri

Fonte:
CulturaCattolica.it

Ho letto con attenzione la proposta di aiuto agli immigrati che in questi giorni e da tempo stanno entrando in Europa, passando per il Mediterraneo. E condivido il dolore e lo sgomento di fronte ai tanti, troppi morti, dovuti agli interessi e alla barbarie degli scafisti e di chi li protegge. Rischiamo tutti di avere una coscienza annebbiata, offuscata, in questo come in tanti altri casi. Per cui ci si lascia commuovere dall’emozione del momento e non si cercano misure adeguate per risolvere le questioni. Di strage a volte si tratta, come è strage l’uccisione dei tanti innocenti nel grembo della madre, spacciata per conquista di libertà e di emancipazione.
Lasciamo ai responsabili la ricerca delle soluzioni più adeguate, ma non possiamo dimenticare l’appello che 15 (quindici) anni fa il Card. Biffi aveva già rivolto alla coscienza di noi occidentali. Dopo avere rilevato l’urgenza del problema dell’immigrazione, che sembrava avere colto di sorpresa tutti i governanti, così si esprimeva di fronte ai tanti uomini e donne provenienti dal mondo islamico. E noto che se senza la solita supponenza laicista fosse stato ascoltato forse non saremmo in queste condizioni.
«Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra “umanità”, individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più “laicamente” irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.
Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.
Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell’importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una “reciprocità” non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati.
Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: ‘In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell’islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E’ questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa’ (n. 34). Ma - diciamo noi - chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più.
Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il “principio di reciprocità” da parte di uno Stato davvero “laico” e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri.»
Certo che ora con le lotte di potere e il degrado della situazione politica all’interno di quel mondo, tutto si fa più difficile e complicato.
Senza demagogia, potremo ragionarci sopra insieme?

Tribuna del 23 aprile 2014
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