Condividi:

Il sacrificio della Messa: Introduzione

Autore:
Giussani, Mons. Luigi
Fonte:
Dalla liturgia vissuta - Ed. Jaca Book

Il gesto più importante di tutta la storia del mondo è la morte e la resurrezione di Cristo. Nella nostra vita questo gesto è il sacrificio della Messa. Esso dovrebbe essere al centro della nostra giornata, dovrebbe essere importante, privilegiato, dovrebbe influire sulla nostra giornata (occorre ricordare che, perché un gesto influisca sulla vita, deve "costare" qualche cosa. Costare significa lavoro, impegno delle nostre energie e attenzione. Un gesto che non costa sacrificio non è vero.)
La messa dunque è il gesto più importante della nostra esistenza perché è il gesto della morte e resurrezione di Cristo. Se infatti diciamo che siamo parte del corpo di Cristo, membra gli uni degli altri, la messa è l'espressione suprema della assemblea cristiana, di quella assemblea permanente che è la vita cristiana. La messa è il gesto supremo della comunità, del mistero nascosto di Cristo e della sua Chiesa: "veramente tu sei un Dio nascosto, Dio salvatore d'Israele".
La fede è un giudizio nuovo sulla realtà, su "ciò che val la pena di vivere". Tutto deriva dalla risposta che diamo a questa domanda. A una tale risposta la Scrittura si riferisce quando dice: "il mio giusto vive di fede". La fede è un giudizio sul valore della vita e del mondo che ha come sorgente il gesto della Sua morte e resurrezione di cui facciamo memoria. In questo gesto la comunione con Lui, con il Padre e con lo Spirito rivive, rinasce continuamente.
Nella messa tutto ciò esprime la sua forza. E infatti tutta la vita del cristiano dovrebbe essere una messa vissuta; la messa dovrebbe essere il paradigma, la struttura ideale, ispirativa, la forma di tutte le nostre azioni. Siamo chiamati a rendere vita il mistero dell'assemblea cristiana cui si fa memoria della morte e resurrezione di Cristo. Tutti i nostri gesti perciò, nessuno escluso, vi sono implicati. Lo esprime bene san Paolo quando dice: "Sia che mangiate, sia che beviate, sia che vegliate, sia che dormiate siete di Cristo"; oppure in questo bellissimo passo della lettera ai Romani (capitolo quattordicesimo): "nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo moriamo per il Signore, dunque sia che si viva, sia che si muoia, siamo del Signore".
Ogni nostro gesto ha in dimensioni ridotte la struttura del mistero della morte e della resurrezione di Cristo, cioè la struttura della messa.
Ogni nostro gesto dovrebbe avere nel mistero dell'assemblea cristiana, in cui si fa memoria della morte e della resurrezione di Cristo, il paradigma, l'intelligenza, l'ispirazione, l'impeto, la forza di correzione di tutto, la capacità di comprendere tutto, perché tutto abbia significato.
Allora, sia pur sommariamente, dovremo impostare tutto il discorso della nostra vita personale.
Diceva un grande filosofo americano di questo secolo, Whitehead: "La religione è ciò che l'uomo fa nella sua solitudine". Occorre ricordare però che la parola religione ha la radice latina di legare, e indica un fenomeno che lega insieme, che collega tutta la realtà, perché lega a Dio e a tutti. L'"io" è legame con Dio, rapporto con Dio. Così Dio è tutto non per modo di dire, ma perché è vero. È vero.
Dio è tutto "di te", "in te".
Per questo i temi che toccheremo sommariamente intendono essere un invito a partecipare alla messa come contributo alla conversione personale.
Il cambiamento della personalità non ha nessun altro schema se non quello del gesto sacramentale.
La messa è un gesto unitario, però è costituito da diverse parti che realizzano i vari fattori di un'unica realtà.
Seguendo intelligentemente le parti della messa potremo comprendere quali siano le caratteristiche di ogni azione della nostra vita, che dovrebbero essere le caratteristiche di ogni rapporto, di ogni giornata, di ogni progetto.
Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo
La messa inizia così. E subito dopo si dice: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi". Oppure, il che è lo stesso: "Il Signore sia con voi".
È la premessa della fede, quel giudizio sulla vita per il quale si riconosce che il senso della mia esistenza, della tua, di quella degli altri, di tutta la storia del mondo si chiama Gesù Cristo. È il mistero della Trinità, il mistero del Dio uno e trino, del Dio che è comunione. È il mistero di questo Dio che si è rivelato insediandosi tra di noi.
Dice la Bibbia ad un certo punto: prima della preghiera prepara la tua coscienza affinché tu non sembri un uomo che vada a tentare Dio.
Le frasi introduttive della messa richiamano la coscienza di quello che siamo, del valore della carne, delle ossa e dello spirito di ciascuno, del valore della donna e dell'uomo, delle amicizie, degli errori, delle durezze e delle cattiverie. Richiamano la sostanza di tutto.
"In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplendeva fra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno ricevuta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne, come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo. Non era egli la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce.
Era la luce vera, che illumina ogni uomo, che viene al mondo. Era nel mondo; il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne a casa sua e i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero, a quelli che credono nel suo nome, diede il potere di diventare figli di Dio; i quali non sono nati dal sangue, né da volere di carne; né da volere di uomo, ma da Dio. Il Verbo si fece carne e abitò fra noi, e abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che come unigenito egli ha dal Padre, pieno di grazia e verità.
Giovanni gli dà testimonianza, proclama e dice: "Egli è quello di cui dicevo: colui che viene dopo di me è superiore a me, perché era prima di me". Dalla pienezza di lui noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Infatti la legge fu data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo. Nessuno ha mai visto Dio; l'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha fatto conoscere" (Gv 1, 1-18).
"Vi dico questo perché nessuno v'inganni con discorsi seducenti. Poiché, sebbene sia distante da voi col corpo, sono con voi con lo spirito, mentre godo di vedere il buon ordine che regna fra di voi e la fermezza della vostra fede in Cristo. Vivete, dunque, in Cristo Gesù, il Signore, quale vi è stato fatto conoscere. Siate in lui radicati e su di lui edificati, sostenuti e resi stabili dalla fede, quale vi fu assegnata sovrabbondando nel rendimento di grazie. State attenti che nessuno vi faccia sua preda con sottili ragionamenti filosofici e con vane astuzie basate sulla tradizione degli uomini o sugli elementi del mondo, ma non su Cristo; perché è in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, ed è in lui che voi siete ripieni, essendo egli il capo di ogni Principato e Potestà. In lui siete stati pure circoncisi, di una circoncisione non fatta da mano d'uomo, ma dalla circoncisione di Cristo, che consiste nello spogliarsi del corpo della carne. Anzi, con lui, mediante il battesimo siete stati sepolti e con lui siete pure risorti per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Voi eravate morti a causa dei peccati e dell'incirconcisione della vostra carne, ma Dio vi richiamò alla vita insieme con Cristo, dopo avervi perdonato tutti i peccati. Cancellò l'obbligazione da noi contratta e che in tutti i suoi punti era contro di noi: la tolse di mezzo e la inchiodò alla croce; e dopo aver spogliato i Principati e le Potestà, li espose alla pubblica derisione, trionfando su di loro per mezzo di Cristo. Nessuno vi critichi a proposito del mangiare e del bere, o di giorni festivi, o di noviluni, o di sabati. Tutte queste cose erano ombra di quelle future; ma la realtà è Cristo.
Nessuno prenda partito contro di voi, compiacendosi nelle misere pratiche del culto degli Angeli, facendosi avanti con le proprie visioni, gonfio d'orgoglio per i suoi pensieri carnali, invece di rimanere unito al capo, dal quale tutto il corpo, mediante giunture di articolazioni, nutrito e tenuto compatto, riceve lo sviluppo voluto da Dio. Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, quasi viveste ancora nel mondo, vi lasciate imporre simili precetti quali: non prendere, non gustare, non toccare... - cose tutte destinate a perire con l'uso - secondo prescrizioni e insegnamenti umani? Tali dottrine possono bensì aver parvenza di saggezza col loro culto volontario, la loro finta umiltà, la loro austerità riguardo il corpo, ma non hanno nessun valore e servono solo a soddisfare la carne" (Cor 2, 4-23).
La coscienza di tutto questo dovrebbe essere la premessa di ogni nostra azione, di ogni nostra decisione grande o piccola.
Il brano di san Giovanni che è stato citato annuncia che Cristo è la sostanza di tutto: se non ci si crede non cessa d'esserlo. In Lui tutto ha consistenza. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa che noi ci gloriamo di professare.
Essa deve diventare come una "abitudine" o meglio un "habitus", cioè un atteggiamento permanente, il che in termine filosofico si chiama virtù. La virtù infatti è una forma permanente di energia giusta. Nella vita convertita la prima virtù è la coscienza della presenza di Cristo, la memoria di Cristo che è presenza. Tale coscienza della presenza di Cristo in tutto e in tutti è il contenuto della vigilanza, il che significa che tale coscienza ci segue in ogni azione. È il vero cambiamento. L'amore, l'amicizia, il lavoro, tutto è una tristissima menzogna se in coloro cui è stato reso noto il mistero del regno di Dio nel mondo, cui è stato bussato alla porta, non avviene quel cambiamento, quel capovolgimento di mentalità. "Venne tra i suoi e i suoi non se ne accorsero".
Nel nome del Padre
In ebraico "nome" indicava la potenza di una persona. Perciò "nel nome di" vuol dire riconoscere che tutte le cose sono sostenute dalla potenza di Dio, che tutto è Dio.
Ecco la premessa di ogni azione, la vigilanza: si chiama preghiera continua. Vivere vigilanti è vivere con intelligenza, vivere con personalità.
Ma c'è questa preghiera continua in noi? Una facilità a questa ripresa, a questa memoria, questo sguardo alla morte e alla resurrezione di Cristo, di quel Cristo storico che è presenza anche se uno non ci pensa? L'habitus, l'abituarsi a questo, il desiderare di abituarsi a questo lo rende più facilmente avverabile.
Il giudizio di valore sulla mia vita e su quella del mondo è Cristo morto e risorto. Egli non è vissuto 2000 anni fa e basta, ma tutto ciò che è accaduto allora sta investendo la storia, non secondo le forme carnali - come dice san Paolo (2 Cor 5) - ma secondo una presenza che sta muovendo il mondo al suo destino attraverso le nostre esistenze. "Non voi avete eletto me, ma io ho scelto voi" (Gv 14).
Fratelli, prima di celebrare i sacri misteri, riconosciamo i nostri peccati
Il primo fattore fondamentale di una azione convertita, di una azione cristiana è la coscienza del proprio peccato. Nessun momento vero della nostra esistenza può evitare questa autoaccusa, tranne nel caso eccezionale della Madonna. Quella ragazza poteva avere la coscienza di una trasparenza, e il riflesso di questo in lei era la consapevolezza del fatto che tutto le era stato dato. "L'anima mia magnifica il Signore perché ha fatto di me una cosa grande".
Ma per noi questo "magnificare il Signore" vuoi dire anzitutto riconoscere che Dio ci fa camminare, ci fa parte della sua Chiesa nonostante noi siamo così mentitori. Il peccato infatti è menzogna: l'affermazione che il senso della vita, ciò per cui vale la pena vivere, non sia Cristo.
"Ascoltate o cieli, e presta attenzione o terra, perché il Signore ha parlato: figli ho allevato e cresciuto, ed essi si sono ribellati contro di me. Perfino il bue conosce il suo possessore e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non mi ha conosciuto, il popolo mio non ha avuto comprensione!
Guai gente peccatrice, popolo caricato di iniquità, semenza di malvagi, figli perduti!
Hanno abbandonato il Signore, disprezzato il Santo di Israele: si sono allontanati. Dove sarete ancora colpiti, voi che aggiungete disobbedienza a disobbedienza? Tutto il capo è malato e il cuore è tutto infermo: dalla pianta del piede fino alla testa non c'è in esso nulla di sano; ferita e lividura e contusione recente, né curate, né fasciate, né medicate con olio.
La vostra terra è un luogo desolato, le vostre città bruciate dal fuoco; il vostro suolo davanti ai vostri occhi gli stranieri lo divorano, ed è una desolazione come la rovina delle città di Sodoma e Gomorra!
Resterà la figlia di Sion come una capanna in una vigna, come un riparo in un campo di cocomeri, come una città dove si è guerreggiato!
Se il Signore delle schiere non ci avesse lasciato un resto, quasi come Sodoma saremmo diventati, a Gomorra avremmo assomigliato!
Ascoltate la parola del Signore, principi di Sodoma! Udite l'insegnamento del nostro Dio, popolo di Gomorra!
Che cosa importa a me l'abbondanza dei vostri sacrifici? - dice il Signore - Sono sazio di olocausti di montone e di grasso di vitelli, e il sangue di tori, d'agnelli e di capretti non desidero.
Quando venite al mio cospetto, chi vi ha chiesto di venire a calpestare i miei cortili? Non continuate a portare offerte vane! L'incenso mi reca disgusto; il novilunio, il plenilunio, le sacre adunanze non le sopporto: iniquità e solennità! Odio i vostri noviluni e le vostre feste; esse sono per me un peso, sono stanco di sopportarle. Quando stendete le palme, Io ritraggo il mio sguardo da voi; Io non ascolto; anche se moltiplicate le preghiere le vostre mani sono piene di sangue.
Lavatevi e purificatevi, togliete dinnanzi ai miei occhi la malizia delle vostre opere, cessate di fare il male. Apprendete il bene, cercate la giustizia, sollevate l'oppresso, fate giustizia all'orfano, difendete la vedova. Venite e contendiamo insieme - dice il Signore - fossero pure i vostri peccati colore del carminio, come la neve diverranno bianchi; se fossero rossi come porpora, diverranno come candida lana. Se vorrete obbedire, mangerete i beni della terra; ma se rifiuterete e vi ribellerete, dalla spada sarete divorati, perché la bocca del Signore ha parlato" (Is 1, 1-20).
Così dice il Signore attraverso Isaia, e queste osservazioni della Bibbia sono categorie che valgono per la vita.
Non c'è niente di più sano che la coscienza realistica delle condizioni in cui si deve svolgere un'azione. Non esiste in noi gesto più sano, come origine di ogni azione, che la coscienza di essere peccatori. Almeno, come minimo, dobbiamo riconoscere che anche le nostre azioni più semplici e più buone mancano di una coscienza di vigilanza, di una intensità di fede. Noi rendiamo povere cose che potrebbero essere ricchissime.
E i modi in cui noi pecchiamo, le radici prossime della nostra sproporzione sono fondamentalmente due.
Anzitutto, la ritrosia ad un impegno che prenda la vita: il dire "no" alla fede.
Ed ecco gli si presentò un tale dicendo: "Maestro, qual bene dovrò io fare per avere la vita eterna?" Gli rispose: "Perché mi interroghi riguardo al bene? Uno solo è buono, Dio. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". "Quali?" gli domandò. E Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso". E il giovane gli disse: "Tutto questo io l'ho osservato fin da fanciullo: che altro mi manca?" Gesù gli rispose: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quanto hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Ma il giovane, udite queste parole, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Sì, ve lo ripeto: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio" (Mt 19, 16-24).
Anche se abbiamo fede noi fuggiamo dalla fede perché la fede è un impegno che mobilita, che trasforma, che costringe a cambiare.
La seconda sorgente dei nostri peccati è che noi non speriamo la soluzione dei nostri problemi individuali e collettivi dalla fedeltà a Cristo, quindi non speriamo da lui la gioia. Lo vediamo anche nella storia del popolo ebraico, che è stata creata da Dio come un paradigma della vita del popolo di Dio, della nostra vita. "Per questo così parla il Santo d'Israele: 'Poiché voi rigettate le mie parole, fiduciosi in vie false e perverse e vi appoggiate ad esse, ecco questo peccato sarà per voi come un tratto di muro vacillante in un bastione elevato, di cui in un attimo, all'improvviso avviene il crollo e va in pezzi come un vaso d'argilla, ridotto in frantumi senza riguardo, al punto che tra i suoi pezzetti non rimane neppure un coccio per prendere del fuoco dal focolare o per attingere un po' d'acqua da un fosso'. Così parla il Signore Dio, il Santo d'Israele: 'Nella conversione e nella tranquillità sta la salvezza, nel riposo e nella fiducia si trova la vostra forza'. Ma voi non avete voluto saperne. E avete risposto: 'Noi fuggiremo su cavalli!' Ebbene, sì, fuggirete! 'Su carri veloci!'. Va bene! Sarete inseguiti con una corsa rapida. Mille fuggiranno alla minaccia di uno solo, alla minaccia di cinque voi fuggirete, fino a che sopravvivano così pochi di voi, da rassomigliare ad un'insegna sopra un monte, ad un'asta sopra una collina" (Is 30, 12-17).
"Guai a coloro che scendono in Egitto a cercar protezione, a quelli che sperano nei cavalli, confidano nei molti carri e nella forza valorosa dei cavalieri, invece di rivolgersi al Santo d'Israele e di cercare il Signore. Ma Egli è anche abile a procurare i mali e non revoca la sua parola. Egli insorge contro la casa dei cattivi e contro il soccorso di chi commette iniquità. L'egiziano è un uomo e non un Dio ed i suoi cavalli sono carne e non spirito (Is 31, 1-3).
In questi brani della Bibbia, scelti come esempio, Dio chiede al suo popolo di non avere fiducia in altri che in Lui. Non abbiamo forse detto che la fede è un giudizio di valore sul mondo? E il giudizio è che Cristo è tutto in tutti e senza di Lui nulla è fatto. Tutte le cose hanno consistenza in lui: le pietre, le stelle e l'uomo, la società, il passato e il futuro. "Questa è la nostra fede, la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla" (liturgia battesimale).
Ecco allora la seconda radice di ogni nostro peccato: anche noi ci fidiamo dell'"Egitto" - simbolo biblico del nemico di Dio - e non del Signore, vero Dio.