Le prime reazioni della stampa
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Porta la data del 25 dicembre 2005, ma è stata presentata il 25 gennaio in Vaticano la prima enciclica di Papa Benedetto XVI.
Chiara e diretta come nel suo stile al quale ci siamo presto abituati.
"Abbiamo creduto all'amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva."
Naturalmente ogni lettura risulta "parziale", qualche lettura risulta anche ipocrita, si tenta di far dire al Papa qualcosa che avremmo voluto sentirgli dire.
Ma non è facile, perché questa enciclica è un chiaro richiamo "ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sull'amore cristiano".
Andrea Tornelli su Il Giornale.
La Chiesa non fa politica
Benedetto XVI ricorda quindi che il «giusto ordine della società» è compito della politica, e ricorda, citando Sant'Agostino, che «uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri». Va dunque riconosciuta l'autonomia delle realtà temporali, e la dottrina sociale «non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato» né imporre «a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa». Nessuna nostalgia per lo Stato confessionale: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile», «non può e non deve mettersi al posto dello Stato». Questo non significa «restare ai margini nella lotta per la giustizia» bensì «risvegliare le forze spirituali» che la facciano affermare.
I limiti dello Stato
Un altro passaggio significativo è dedicato al tema della sussidiarietà: il Papa spiega che anche nella società più giusta ci sarò sempre bisogno di carità. «Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente ha bisogno». Lo Stato deve dunque sostenere e riconoscere le iniziative caritative, le quali devono essere indipendenti «da partiti ed ideologie». L'attività caritativa «non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico, ma è l'attualizzazione qui ed ora dell'amore di cui l'uomo ha sempre bisogno». Spetta invece ai fedeli laici «il compito immediato di operare per un giusto ordine della società» partecipando «in prima persona alla vita pubblica».
No all'attivismo
Il Papa, infine, dopo aver tracciato una sorta di identikit del volontario e dopo aver ringraziato chi si dedica agli altri, mette in guardia dal rischio dell'attivismo che può far perdere il senso dell'azione caritativa e il suo rapporto con l'origine che è l'amore di Dio. «La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta... Gli esseri umani hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell'attenzione del cuore». Per tre volte, nell'enciclica, è citata Madre Teresa di Calcutta, come «un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia ed all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente
Eugenia Roccella su Avvenire:
Modernità dove non l'aspetteresti
A dispetto della caducità dei sentimenti,della precarietà dei legami e di una concezione dei diritti che separa l'individuo dalle appartenenze, l'eros resta il luogo dell'aspirazione all'infinito.
Con grande coraggio il Papa ha preso una parola – "amore" – da sempre al centro del pensiero cristiano, e ha provato a ridefinirla per tutti, confrontandosi con il linguaggio contemporaneo che l'ha destituita di valore e insieme l'ha caricata di urgenze e aspettative immediate. Questa innocenza semantica è possibile perché la Chiesa è stata in grado di accompagnare l'ultima fase della modernità senza farsene travolgere, senza le complicità, le condiscendenze che le venivano richieste da ogni parte, anche dal proprio interno.
La posizione di autonomia critica, di non compromissione con il mutamento storico, mantenuta spesso con alti costi, consente oggi a Benedetto XVI il tono paterno e limpido di chi spiega verità semplici, che altri hanno dimenticato.
In un editoriale sul Foglio di martedì scorso, Giuliano Ferrara sottolineava la «madornale inversione delle parti» tra laici e cattolici; capaci, questi ultimi, di conoscere e difendere l'eros, mentre la cultura laica sembra aver rinunciato a farlo. L’amore, schiacciato sul desiderio, sulle pulsioni, è stato ridotto, nella sua conoscibilità, a «psicologia della sessualità di fatto», senza più rimandi a «quell’altro di cui ogni uomo e donna hanno suprema nostalgia». E invece è proprio del legame impalpabile tra eros e trascendenza che noi, analfabeti di ritorno dell’amore, vogliamo disperatamente sapere qualcosa…
Piero Fornaia su Il sole 24 ore: "Ha scelto come tema l'amore perché viviamo in un mondo in cui Dio vuole dire spesso vendetta, odio e violenza: così spiega Benedetto XVI nelle pagine iniziali dell'enciclica «Deus Caritas est».
Benedetto XVI affronta in una prima parte il tema dell'amore divino, con la distinzione tra «eros» e «agape» e dell'amore del prossimo. In una seconda parte, il pontefice analizza il concetto di carità della Chiesa, ma anche della giustizia sociale, della distinzione tra Stato e Chiesa (che devono mantenersi autonome, ma sempre «in relazione reciproca»), del ruolo della Chiesa nella «battaglia politica» per la realizzazione di una «società più giusta possibile».
Eros e agape. L'Enciclica - inizia con un passaggio della prima lettera di Giovanni. «Dio è amore, chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16). In questo versetto, l'apostolo vuole esprimere l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. La lettera enciclica è rivolta «i Vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sull'amore cristiano».
Marco Tosatti su La Stampa:
«Amore, giustizia e carità». Ecco le tre sfide del Papa
Dio è amore: e in effetti la prima enciclica di Benedetto XVI contiene un'appassionata difesa dell'amore, e non solo di quello spirituale, ma anche di quello fisico, carnale, fra uomo e donna; e poi una difesa, altrettanto appassionata della carità, contro le tesi marxiste; la necessità che la Chiesa educhi i laici a lottare per la giustizia, ma senza «prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile». E infine, assieme alla valorizzazione della preghiera, alcune righe di grande fascino sulla situazione del credente nel mondo odierno: «I cristiani infatti continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella "bontà di Dio" e nel "suo amore per gli uomini". Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi».
Vittorio Messori su Il Corriere della Sera:
Joseph Ratzinger sembra deciso a non perdere tempo in questioni secondarie nella prospettiva globale della fede. Fautore della sobrietà… preoccupato, poi, della situazione della fede (è l'indebolirsi di questa, secondo la sua diagnosi, che ha provocato la crisi della Chiesa), ha deciso di andare alle radici con la sua prima enciclica che, probabilmente, resterà a lungo l'unica. Così, ha scelto il cuore del cristianesimo, ha puntato dritto su Dio stesso, sulla Sua realtà e, di conseguenza, sull'immagine dell'uomo che ne deriva. La sua «lettera circolare» (questo il significato di enciclica) ai pastori della Chiesa, primi destinatari di simili documenti, focalizza l'attenzione su tre brevi parole di Giovanni che sono il marchio distintivo del cristianesimo e lo differenziano radicalmente da ogni altra religione.
Nessun aut-aut, dunque ma un continuo «sia questo che quello», e dove un'attenzione particolare è rivolta alla necessità di unire giustizia e carità. Alla illusione («ormai svanita», ricorda il Papa) di marxisti e soci che, per soccorrere l'uomo, occorresse battersi per la giustizia sociale, combattendo al contempo la «alienazione» della carità, Benedetto XVI dedica parole che ci sembrano tra le più toccanti e vere. Sono le sole che lo spazio ci permetta di riportare ma che danno idea della sapienza, non disgiunta da emozione, che pervade il testo:
«L'amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa renderlo superfluo. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine (...). Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica, che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno: l'amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale». Secondo una certa ossessione attuale, molti commentatori si eserciteranno soprattutto sui paragrafi che il papa dedica alla politica: espressione di amore essa pure, se ben intesa e praticata; ma che, ripete con decisione Benedetto XVI, non compete alla Chiesa in quanto tale.
Qui pure, campeggia un et-et fondamentale: Dio e Cesare.
La società ha bisogno di entrambi, nessuna contrapposizione tra loro, ma distinzione dei ruoli e delle vocazioni. Non vi è traccia di nostalgie per una christianitas dove Sacro e Profano si intreccino, c'è solo un'umile, discreta eppur convinta riproposta della dottrina sociale cattolica, che ha mostrato la sua sapienza davanti ai disastri delle ideologie politiche. Ma è cura del papa ripetere che, se la Chiesa propone la sua dottrina, è perché essa si basa «sulla ragione e sul diritto naturale»; su elementi, dunque, «conformi alla natura di ogni essere umano», quale che sia la sua fede o la sua incredulità. Una enciclica, dunque, nel segno dell'equilibrio, del «centro», della saggezza, dell'esperienza, della ricerca di ciò che è davvero fonte di pace, di gioia, di bene, di speranza. Se ci è permesso, con oggettività e senza alcuna tentazione apologetica: c'è, qui, una visione organica sull'uomo e sulla società che può convincere o meno, ma che non si riesce a scorgere da nessun'altra parte, tra orfani di ideologie crollate o adepti di religioni radicalizzate.