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Chiesa e Stato: un rapporto costruitosi nel tempo

Fonte:
CulturaCattolica.it ©

Nel recente discorso in parlamento Giovanni Paolo II, parlando del rapporto tra stato e chiesa, riferendosi in particolare alla realtà nazionale italiana, ha affermato: "Ben sappiamo che esso è passato attraverso fasi e vicende tra loro assai diverse, non sfuggendo alle vicissitudini e alle contraddizioni della storia. Ma dobbiamo al tempo stesso riconoscere che, proprio nel susseguirsi a volte tumultuoso degli eventi, esso ha suscitato impulsi altamente positivi sia per la Chiesa di Roma, e quindi per la Chiesa Cattolica, sia per la diletta Nazione italiana".
Dicendo ciò Giovanni Paolo II ha mostrato che si può guardare alla storia senza quei pregiudizi ideologici che, ancora oggi, vedono nel rapporto Stato-Chiesa una minaccia all'autonomia e alla laicità dello Stato, basti pensare al rifiuto di alcuni parlamentari di assistere al discorso del Papa.
Un rapporto che certamente si è venuto a costituire nel tempo e a volte è stato vissuto anche in modo drammatico, ma d'altra parte quale rapporto umano, se vissuto autenticamente, non è suscettibile di momenti di contrasto, di incomprensione? Un rapporto implica sempre una relazione con l'altro, e poiché l'alterità non può e non deve essere ridotta a sé, implica un incontro, il quale può sempre assumere i toni drammatici dello scontro, ma, almeno finché non si cerca di soprafare, annientare l'altro, anche lo scontro permette comunque sempre una crescita della propria identità.
Non una minaccia all'autonomia e alla laicità dello Stato, ma al contrario un rapporto, che ha suscitato "impulsi altamente positivi", sia per la Chiesa, sia per lo Stato. Mi permetto allora in queste poche righe che seguono di cercare di esemplificare alcuni momenti storici che confermano la profondità della lettura di Giovanni Paolo II.

1) La distinzione all'origine
La società, che oggi in modo un po' riduttivo viene chiamata occidentale, e che si caratterizza tra le altre cose, per la distinzione tra il potere temporale e quello spirituale, garantendo in questo modo, a differenza di molte altre società, la laicità dello Stato, è il frutto di questo secolare rapporto tra Chiesa cattolica e potere politico.
Sebbene soltanto una storia appunto secolare abbia permesso alle due realtà in causa di definirsi sempre più chiaramente e guadagnare la propria piena autonomia, tuttavia fin dall'inizio è presente una distinzione dei rispettivi ambiti. Si tratta pertanto dello sviluppo, di un approfondimento di qualcosa presente fin dall'origine e non di un'invenzione, o di una rivoluzione, come gran parte del pensiero laicista invece ha sostenuto, presentando la separazione del potere spirituale da quello temporale come una recente acquisizione. Infatti, è già nell'esperienza originaria del cristianesimo, nella persona di Gesù, nel suo insegnamento, che si può ricavare l'origine di tale distinzione: l'esperienza che Cristo propone non è innanzitutto un'esperienza politica, ma un'esperienza religiosa, non una nuova organizzazione della società, ma la strada per realizzare la propria vita personale, il cammino per il proprio destino. Al tentativo dei farisei di metterLo contro l'impero romano Egli non esita a distinguere i piani, quello religioso da quello politico, con il famoso "date a Cesare quel che è di Cesare". La Chiesa delle origini, non vuole occuparsi direttamente dell'aspetto sociale e politico; certamente la conversione ha delle conseguenze non da poco anche sul piano sociale e politico, ma sono appunto conseguenze. La stessa diffusione del cristianesimo originariamente avviene in modo totalmente personale. Infatti, è la testimonianza personale dei convertiti che diffonde il cristianesimo: se è un incontro personale con Cristo, subito testimoniato ad amici e parenti, quello che fa sorgere la prima comunità degli apostoli, "lo stesso procedimento di azione individuale si trova fin dalle origini della chiesa ed è forse in questo modo che, durante i primi due secoli all'incirca, il cristianesimo conquista la maggior parte dei suoi fedeli" (G. Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, p. 250. Vedi in questo sito l'articolo: La conversione del mondo al cristianesimo).
Sicuramente l'apertura al cristianesimo, la conversione di Costantino e successivamente la trasformazione dell'impero in impero cristiano, da parte di Teodosio, permettono una più rapida diffusione, ma questo non implica mai un'assimilazione o una subordinazione totale della Chiesa all'Impero, soprattutto in Occidente. Chiesa e potere politico continuano ad essere due realtà distinte. Dentro un contesto non facile, quello dell'impero romano, che cercava in qualche modo di subordinare a sé la sfera religiosa, tale distinzione, sebbene non sempre nettissima (basti pensare che tutti i primi concili sono convocati dall'imperatore), permette di limitare la sfera di ingerenza del potere politico relativamente alla fede, alla morale e alla disciplina ecclesiastica, come bene testimonia lo scontro tra Ambrogio e Teodosio nel 380, avvenuto in conseguenza del massacro di Tessalonica: "Ambrogio ingiunse all'imperatore di fare pubblica penitenza e subito lasciò Milano, recandosi a Bologna e Firenze, disposto a rimanervi finché l'imperatore non avesse scontato la penitenza canonica. Teodosio cedette: un imperatore cristiano non poteva essere sopra la Chiesa e con ciò sembrava assodato che fede, morale, disciplina ecclesiastica erano ambiti riservati alla competenza della Chiesa, che escludeva ogni ingerenza dello Stato" (A. Torresani, Storia della Chiesa, pp. 93-94). Distinzione ribadita esplicitamente da Papa Gelasio I (492-496) in una lettera all'imperatore Anastasio: "Vi sono due princìpi, Maestà Imperiale, per mezzo dei quali questo mondo è governato nei suoi gradi più elevati: la santa autorità dei vescovi e la potestà imperiale. Di ambedue, il peso dei sacerdoti è tanto più pesante per il fatto che essi dovranno rendere conto di fronte al tribunale di Dio anche per i sovrani degli uomini […]. Di fronte a queste realtà siate dunque dipendenti dal giudizio dei sacerdoti e non vogliate sottometterli alla vostra volontà" (Cit. in A. Torresani, Storia della Chiesa, pp. 154-155).

2) La distinzione si chiarisce nel tempo con un consolidarsi delle rispettive identità
Il crollo dell'impero romano in Occidente segna poi l'origine di un'epoca nuova che vede proprio nella Chiesa l'elemento decisivo per il sorgere di una nuova civiltà, generatasi grazie alla fusione dell'elemento romano con quello germanico.
La società che sorge sulle rovine dell'impero romano si viene costituendosi come societas christiana dove l'elemento religioso è il fondamento della stessa società. Tuttavia questo non impedisce l'approfondirsi della distinzione vista all'origine della stessa esperienza cristiana e sebbene, a volte in modo drammatico, potere politico e Chiesa tornano a confrontarsi e a delimitare il proprio ambito, in modo estremamente proficuo per entrambi. Per esempio, in epoca medievale, nel corso dell'XI secolo, si assiste ad uno scontro, la così detta lotta per le investiture, che, se da un lato garantisce un'autonomia e una maggiore autenticità alla vita della Chiesa (la nomina imperiale dei vescovi minava sia l'una che l'altra), dall'altro delimita il potere imperiale impedendone un'assolutizzazione: "Il Papato […] allorché cercò di definire il suo ruolo all'interno della Chiesa ponendosi come unico centro (caput) della stessa, diede l'esempio di una fattiva resistenza di fronte alla concezione teocratica del regnum: il giuramento non era più sacro in quanto tale, e quindi incondizionato, ma veniva delimitato da elementi legati alla libertà e alla coscienza del singolo […] è forse possibile rintracciare nel primo chiarimento di due autonomi ambiti di influenza, rispettivamente per il regnum e per il sacerdotium, l'origine del costituzionalismo moderno: senza questo scontro di poteri si sarebbe forse mantenuto e consolidato quel carattere sacro (o meglio sacerdotale) del potere, oppure non si sarebbe evidenziata la distinzione (e col tempo la divisione) di due differenti sfere d'azione" (M. P. Alberzoni, La storia medievale tra didattica e ricerca, in La storia nella scuola, p. 78).
Contro l'assolutizzazione del potere politico, il suo presentarsi come autoreferenziale, e il tentativo di sottomettervi la Chiesa, va letto anche il pontificato di Bonifacio VIII e la sua celebre bolla Unam Sanctam. In essa, infatti, non viene messa in discussione la distinzione dei due poteri, ribadita attraverso l'analogia delle due spade, quanto la pretesa superiorità del potere politico su quello religioso. Il merito di Bonifacio VIII, che esce tuttavia sconfitto dallo scontro con Filippo il Bello, è quello di avere cercato di impedire che la politica fosse assunta come l'ultimo criterio della vita, facendola dipendere da una dimensione più profonda, quella appunto religiosa (vedi L. Negri, False accuse alla Chiesa, PIEMME).
Soprattutto però è nella modernità che lo scontro tra Stato e Chiesa si acuisce e con esso la distinzione, da sempre presente nella storia dell'Occidente, assume sempre più la forma della divisione, della separazione, a volte della contrapposizione. Dopo la rivoluzione francese si afferma un nuovo modo di concepire il potere politico: in esso "il riferimento della convivenza della società nelle sue varie espressioni è lo Stato in termini esclusivistici, perché è lo Stato che crea il diritto e legittima i soggetti sociali, ed è all'interno dell'amministrazione dello stato che si può agire" (E. Bressan, La storia contemporanea: dalla Rivoluzione francese al totalitarismo, in La storia nella scuola, p. 115). La Chiesa di fronte alla crescente pretesa che lo Stato sia tutto, affermata spesso anche violentemente nella modernità, ma soprattutto nell'epoca contemporanea con i totalitarismi, ha reagito, ha cercato di resistere, prima ancora che da un punto di vista politico da un punto di vista culturale. Sarebbe al quanto riduttivo leggere la contrapposizione tra Pio IX e lo Stato liberale italiano semplicemente come uno scontro dettato solo dall'eccessivo attaccamento al potere temporale del Papa. Occorre cogliere il motivo di tale attaccamento nel problema fondamentale dell'indipendenza della Chiesa dallo Stato. Per tanto non si può liquidare Pio IX semplicemente come l'ultimo Papa re, in qualche modo un nostalgico, perché legato ad una concezione ancora teocratica del potere, dal momento che la soluzione proposta dai liberali "libera Chiesa in libero Stato" risultava alquanto problematica, non solo perché l'Italia si appropriava unilateralmente di territori che da secoli appartenevano alla Chiesa, ma soprattutto in quanto faceva dipendere la stessa Chiesa dallo Stato (vedi all'interno del sito gli articoli dedicati nella sezione storia a Pio IX e al Risorgimento). La contrapposizione rivela, cioè, una più profonda contrapposizione circa le concezioni dell'uomo e dello stato sottese. Uno Stato, quello liberale, che non voleva conoscere limiti al di fuori di sé (vedi A. Pellicciari, Risorgimento da riscrivere, ARES; L. Negri, False accuse alla Chiesa PIEMME), una Chiesa che sviluppando la propria dottrina sociale Sillabo, Rerum Novarum, Quadragesimo Anno, solo per citare alcuni documenti, tende ad affermare il carattere assoluto della persona, la sua priorità sulla società, la priorità della società sullo stato, contro quelle tendenze stataliste o collettivistiche che si andavano formando (vedi L. Negri, Il magistero sociale della Chiesa).
Se non si tiene presente questo livello della contrapposizione non si possono capire né il valore né la portata storica della Conciliazione rappresentata dai Patti Lateranensi. Non si tratta infatti né di un riconoscimento nei confronti del regime fascista né del tentativo di costituire uno stato confessionale. La Chiesa con i Patti ottiene il riconoscimento ufficiale di quello spazio di libertà e di indipendenza necessari per la sua missione e per il ruolo educativo e culturale che da sempre si prefigge. Ottenendo tale spazio di libertà per sé la Chiesa diventa allo stesso tempo garanzia e difesa della libertà dell'uomo nei confronti di uno Stato che vuole essere tutto. Non è un caso che nel corso del XX secolo l'opera dei Papi si è sempre più caratterizzata oltre che per la predicazione del Vangelo anche per la difesa dei diritti fondamentali dell'uomo, primi fra tutti quello alla vita e alla libertà religiosa.
Leggendo in questo modo la recente contrapposizione Stato-Chiesa si vede come, per quanto drammatica, essa ha avuto un esito decisamente positivo per entrambi: per la Chiesa ha voluto dire la liberazione completa dal potere temporale, senza rinunciare all'autonomia e all'indipendenza, permettendogli così di assumere sempre più una rilevanza di natura morale e culturale a livello mondiale; per lo stato un superamento di quell'atteggiamento totalitario ambiguamente presente insieme alle legittime istanze democratiche nella concezione politica moderna.

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