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A proposito della Giornata del Perdono

Autore:
Re, Don Piero
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

1. Un segno giubilare

Domenica 12 marzo scorso, la 1a della quaresima giubilare, sotto gli occhi di tutto il mondo e a nome di tutti i cattolici, il Papa – evangelico, dunque penitente – ha abbracciato e baciato a lungo il Crocifisso che si è caricato di tutto il peccato umano, pur non avendo conosciuto peccato (cfr 2 Cor 5, 21).
Con questo gesto, leale, umile e coraggioso – già definito sicuramente storico, quasi unico nell'arco di due millenni – il Papa ha voluto chiedere perdono a Dio e ai fratelli, per attuare la purificazione della memoria.
Quasi un centinaio di altre volte, a partire dal 1992 e nelle circostanze più diverse, il Papa pellegrino non aveva esitato a chiedere perdono per gli errori dei figli e delle figlie della Chiesa. Nella Incarnationis mysterium, Bolla di indizione dell'Anno Santo 2000 (28/11/1998), la domanda di perdono rientra nei segni peculiari di questo Giubileo (n. 11). Già nella "Tertio millennio adveniente" (10/11/1994), la Lettera Apostolica che ha ispirato la preparazione della cattolicità al grande Giubileo, si poteva leggere che la Chiesa "non può varcare la soglia del nuovo millennio, senza spingere i suoi figli a purificarsi – nel pentimento – da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi" (n. 33).
La "Giornata del perdono" del 12 marzo scorso è stata immediatamente preceduta dal documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, curato dai 30 membri della Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal Card. J. Ratzinger, che ne ha approvato la pubblicazione e preparato da una sottocommissione presieduta da mons. B. Forte, autore della prima stesura. È questo il testo che fornisce fondamento dottrinale all'inedito gesto fortemente voluto dal Papa. La sua stessa Introduzione lascia infatti trasparire l'insorgere di qualche perplessità circa la difficoltà che questo gesto avrebbe incontrato nell'essere compreso nel suo vero significato; se ne giustifica comunque l'opportunità pastorale.
I commenti, le reazioni, le interpretazioni che hanno accompagnato e seguito le celebrazioni del 12 marzo, il moltiplicarsi dei "mea culpa" a livello delle Chiese particolari, rendono necessarie alcune puntuali osservazioni. Il già monumentale gesto papale, compiuto in un contesto liturgico, deve essere collocato a livello di fede, non può essere ridotto a puro e semplice revisionismo storico.

2.
La Chiesa è veramente santa e insieme sempre bisognosa di purificazione.

Anche per non travisare l'intenzione profonda del gesto penitenziale che il Papa ha compiuto a nome della Chiesa, occorre previamente mettere a fuoco chi sia la Chiesa, la natura misterico-sacramentale dell'evento-Chiesa, che prolunga nel tempo e nello spazio lo stesso evento Salvifico del Verbo Incarnato: realtà nel contempo divina e umana.

* Nel simbolo Niceno-Costantinopolitano, che il popolo di Dio proclama ad ogni Messa, si professa la fede nella Chiesa "una, santa, cattolica, apostolica". La Chiesa è santa, perché è il "Christus totus" (s. Agostino), cioè inseparabile dal Cristo Risorto, vivente ieri oggi e sempre: ne è infatti il Corpo e la Sposa. Continuamente santificata dallo Spirito di Cristo, la Chiesa è anche stata voluta da Cristo come segno e strumento di santificazione del genere umano: annunzia la Parola di Verità (che è Cristo), celebra i Sacramenti (azioni vere e infallibili di Cristo), con il ministero di Pietro conduce il gregge di Cristo Buon Pastore, è arricchita dai doni/carismi per la santità dei singoli e di tutta la comunità ecclesiale, ecc.. Nella sua Tradizione bimillenaria lo Spirito Santo ha suscitato in ogni tempo innumerevoli testimonianze di santi.
Considerata nella sua verità essenziale – "mondo riconciliato" (s. Agostino), sposa giusta e bella di Cristo senza macchia o ruga (cfr Ef 5, 27), membra incorporate a Cristo Capo – la realtà ecclesiale è ben intesa solo se colta nella sua intima connessione con il Vivente Risorto; e come tale, non ha bisogno di chieder perdono, perché è santa, come e in forza del "Santo di Dio" (Mc 1, 24).

* Pur consapevole della intrinseca santità ricevuta (che la rende Sposa del Figlio di Dio e che, sotto la guida dello Spirito Santo, si fa in ogni epoca la "epifania" continuata e aggiornata del suo Signore), la santa Madre Chiesa non ha mai esitato a riconoscere la indegnità dei figli che le appartengono.
Fin dai tempi apostolici , infatti, la Chiesa – Israele di Dio, Madre dei viventi come Nuova Eva – esorta i battezzati a lasciarsi riconciliare con Dio tramite il suo ministero (cfr 2 Cor 5, 18-27). I suoi figli, che sono ancora pellegrini su questa terra, sono persone che purtroppo conservano la possibilità di peccare: ne derivano azioni e comportamenti che non possono essere detti propriamente "ecclesiali", in quanto sfuggono alla signoria del Risorto. È questa la situazione normale, nel campo della Chiesa e nel cuore del singolo fedele: il buon grano della realtà ecclesiale e la zizzania della mondanità sono frammisti, fino alla "mietitura" finale (cf Mt 13, 39). Ed è, questa, esperienza quotidiana di ciascuno di noi: siamo realmente "creatura nuova" in Cristo in forza della rinascita al fonte battesimale, ma ci è chiesto – non è una formalità – di batterci il petto per chiedere perdono a Dio e ai fratelli, ogni volta che ci riuniamo nella assemblea eucaristica. Sussistiamo nell'unità santa della Chiesa con il "Capo del corpo" (Col 1, 18), ma dovremo sempre purificarci delle colpe personali come singole membra.
Si spiegano così le espressioni conciliari che della Chiesa peregrinante affermano: "La Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento" (Lumen Gentium, 8); Chiesa che "già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta" (L.G., 48): la luce di Cristo splende già sul volto della Chiesa (L. G., 1), ma in essa si notano ancora delle ombre, perché "porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature" (L.G., 48). La Chiesa è la "Sposa immacolata" (cf Ef 5, 27) e come tale va contemplata; ma, in quanto soggetti macchiati dalle nostre colpe, facciamo purtroppo apparire la Chiesa come peccatrice: invece lei resta "ex maculatis, immaculata" (s. Ambrogio, In Lucam I, 17).

* L'errore di fondo di certa ecclesiologia
sta nel "ritenere che la verità della Chiesa possa essere attinta a partire non dalla sua intrinseca relazione con Cristo (come insegnato dalla Rivelazione), ma dalla sua – pur necessaria, ma non costitutiva – relazione col mondo; non dal suo rapporto di quasi-immanenza col Regno, ma dal suo pur incontestabile coinvolgimento nella storia. Così, credendo di fotografare la Sposa del Re, si finisce col fotografare soltanto il suo guardaroba: gli abiti dimessi e impolverati di cui la riveste fatalmente la nostra povertà" (G. Biffi, Canto nuziale, Jaca Book 2000, pp 99s).
Con lo scopo di dissipare eventuali malintesi, il presidente del Comitato per il Giubileo, card. R. Etchegaray, ha steso la prefazione al volume del Presidente della Commissione storico-teologica che ha elaborato il documento "Memoria e riconciliazione…" [G. Cottier, Memoria e pentimento. Il rapporto tra Chiesa santa e cristiani peccatori. Ed. s. Paolo, 90 pp].
Intervistato poi da L. Accattoli (Corriere della Sera, 12 marzo 2000, pp. 1 e 8), lo stesso regista del Giubileo ha fatto propria la preghiera liturgica del papa in San Pietro: "O mia Chiesa! È vero che i tuoi piedi sono spesso nel fango della mediocrità, dell'egoismo e del peccato dell'uomo; è la mia propria triste esperienza di ogni giorno! O mia Chiesa! È anche vero che la tua testa è nel pieno sole della giustizia, dell'amore e della santità di Dio; è altrettanto la mia propria gioiosa esperienza di ogni giorno! O mia Chiesa! Non mi accontento di dire che vi è in te un miscuglio di grazia e di peccato, perché tu non sei più o meno santa, secondo l'epoca in cui ti si guarda; tutti i giorni sei santa, assolutamente santa".

3. Le colpe dei figli, per le quali la Chiesa chiede ora perdono


Elencate in diverse circostanze e in recenti documenti (cfr Memoria e riconciliazione, 5. 2-4; TMA, 34-36), le ritroviamo nelle 7 invocazioni, che 7 cardinali hanno rivolto dopo il Credo della Messa del 12 marzo, cui sono seguite le 7 corrispettive preghiere elevate dal Papa stesso. La formulazione di esse – negativa e positiva – è di particolare rilevanza, dato il valore del contesto liturgico: "lex orandi, lex credendi".
* Confessione in generale dei peccati dei cattolici che sono stati infedeli al Vangelo; per la "purificazione della memoria", in un cammino di vera conversione a Dio che rimane fedele.
* Uso di metodi intolleranti nel doveroso impegno di diffondere e difendere la verità, in certe epoche, talora e da parte di certi uomini di Chiesa; per promuovere la verità nella carità e in forza della stessa verità.
* Lacerazione dell'unità visibile tra i cristiani, che si sono reciprocamente condannati e combattuti; per riconciliarsi in un sol Corpo e in un solo Spirito, nella gioia della Comunione per la quale Cristo ha pregato.
* Sofferenze inflitte al popolo di Israele, da parte di non pochi cristiani nel corso della storia; per impegnarsi in un'autentica fraternità con il popolo dell'Alleanza.
* Violazione dei diritti di gruppi sociali più deboli e di etnie, disprezzo di altre culture e tradizioni religiose, suggeriti a volte dall'orgoglio e dalla logica della forza; per invocare e imitare Dio paziente e misericordioso.
* Mancanza di riconoscimento della dignità umana e dell'uguaglianza dei diritti di ogni donna, di ogni razza o etnia, di cui anche i cristiani si sono resi colpevoli; per guarire le ferite ancora aperte nella unità della famiglia umana come Dio l'ha creata.
* La violazione dei diritti dell'uomo negli ultimi più indifesi – poveri, perseguitati, minori, non-nati e utilizzati dagli abusi della scienza –, nei quali anche i cristiani non hanno riconosciuto Cristo; per sottrarsi alla logica della ricchezza e del potere.
Il Papa ha concluso, riassumendo la domanda di perdono, con una serie di "mai più": "Mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi".

4. Alcune necessarie precisazioni


Il documento della Commissione Teologica Internazionale non è propriamente un atto del Magistero Ecclesiale, anche se esprime autorevolmente la dottrina comune della Chiesa.
Per una corretta comprensione teologica e l'attuazione pastorale di una autentica richiesta di perdono, gioverà rimeditare soprattutto l'omelia dello stesso Papa nella Messa del 12 marzo.

* L'implorazione della misericordia di Dio e del perdono dei fratelli uomini non avrebbe senso e giustificazione, se fosse intesa come l'anticipo e il sostituirsi al giudizio di Dio, che solo conosce le responsabilità soggettive, personali anche dei figli peccatori della Chiesa santa, nel passato e nel presente.
La Chiesa si volge umilmente verso la sua storia, perché le conseguenze delle colpe passate fanno ancora oggettivamente ombra al suo volto santo e perciò compromettono la sua testimonianza evangelizzatrice; e perché i suoi figli imparino a non ricadere nei medesimi errori. Mentre la società civile ha iniziato il terzo millennio per lo più stordendosi nel divertimento, la Chiesa – solidale con la storia, senza esserne vassalla – se ne è caricata la responsabilità oggettiva con la "purificazione della memoria".
L'accanimento dei non credenti nel mettere sotto accusa le prevaricazioni degli uomini di Chiesa lungo la sua storia (e l'autoflagellazione pubblica, cara a molti credenti) non avrebbe in sé alcun senso: così come sarebbe privo di senso chiamare adesso al tribunale della storia i responsabili dei crimini commessi nella passata storia profana: estinti gli imputati, risulterebbero tutti latitanti e il procedimento verrebbe archiviato.
Chi non vi rinuncia, si renda conto che implicitamente sta riconoscendo alla Chiesa di essere l'unico organismo sociale che resta presente ed attivo in tutte le epoche con la sua inalterata identità di Sposa e Corpo di Cristo.

* Si noti che, nella liturgia penitenziale del 12 marzo, non si fa esplicito cenno a certi conclamati singoli errori storici degli uomini di Chiesa: crociate, inquisizione, ecc. Infatti non è stato quello il luogo e il modo di attuare la loro pur necessaria revisione storica.
La Chiesa non ha nulla da temere da una seria indagine storica su questi episodi. Per quanto la riguarda ha già contribuito a farla, aprendo i suoi archivi e promovendo simposi di revisione (ad esempio, a proposito di antigiudaismo, Galileo, Inquisizione, Jan Hus, Giordano Bruno).
Svolgendo questo lavoro, bisognerà appurare la reale responsabilità degli erranti: spogliando i fatti dalle distorsioni ed esagerazioni, cui sono stati generalmente sottoposti dall'interpretazione di storiografi guidati più dall'ideologia propria che non dall'amore alla verità; evitare facili anacronismi, che non tengono conto della diversità di tempi storici e dei relativi influssi sociologici e culturali (il paragone da farsi non è con le idee e la sensibilità di oggi, ma con mentalità e comportamenti degli uomini ed istituzioni di quel tempo); tener conto del grado di comprensione che la coscienza ecclesiale di quei tempi aveva dei princìpi evangelici violati, nonché dei diversi livelli di responsabilità ecclesiale nei quali si trovavano i colpevoli. [Tra gli strumenti più recenti: L. Negri, Controstoria. Una rilettura di mille anni di vita della Chiesa. Ed. s. Paolo 2000, pp 140].

* Con il gesto giubilare, i cattolici chiedono perdono, a Dio ed ai fratelli, da quelle colpe che si propongono di non più ripetere. Si attendono che facciano altrettanto gli altri fratelli uomini, "laici"e cristiani, nella misura in cui anche la loro storia non è del tutto esente da prevaricazioni e disonestà, pure nei confronti dei fedeli cattolici. Ciascuno batta il "mea culpa" sul proprio petto.
Il corretto dialogo ecumenico e l'effettiva Nuova Evangelizzazione non possono che essere favoriti dalla comune accoglienza della perenne misericordia di Dio in Cristo e della consapevolezza in ognuno di non essere mai all'altezza delle esigenze del Vangelo.
È desiderabile che la Chiesa dopo questi gesti, risulti più libera, più credibile e forte. Anche se non è del tutto pastoralmente irrilevante che questi ripetuti gesti penitenziali possano risultare controproducenti in tanta parte del popolo fedele, i "deboli nella fede" (Rom 4, 1), specialmente là dove la presenza cristiana è largamente minoritaria.
Resta sempre vero che – le "Confessioni" di s. Agostino ne sono un esempio –, per un cristiano malato, confessare le proprie colpe è un modo per lodare Dio, medico misericordioso.
Se ben compresi e vissuti, questi gesti hanno il merito di richiamare al singolare paradosso del mistero ecclesiale:
"Il Papa in ginocchio non mi suggerisce un'immagine di debolezza… Questa richiesta di perdono mi pare la cosa più sfavillante e più documentativa della novità del cristianesimo… Credo invece che – provocato dalla festa per i duemila anni dell'Incarnazione – Giovanni Paolo II abbia voluto dimostrare la verità di Cristo e della Chiesa.
Questa verità è portata da uomini in carne ed ossa, perché questo è il metodo che Dio ha scelto per farsi conoscere nella storia. Infatti, il Mistero – altrimenti ignoto – si comunica utilizzando il fattore umano: Dio è venuto al mondo, …nascendo nella carne come ciascuno di noi. Per cui nessuna sproporzione, inadeguatezza, errore degli uomini… è obiezione al tramandarsi e al tradursi del cristianesimo nella storia…Nessuna miseria potrà eliminare la paradossalità dello strumento, cioè il fattore umano scelto da Dio per farsi conoscere" (L. Giussani, "Quella grande forza del Papa in ginocchio").