Bali Hotel: risonanze di Nazareth
- Autore:
- Fonte:

Al rientro in albergo, una prima sorpresa ci attende: ci sono delle candeline accese nei pressi della piccola sinagoga al piano terra. Già tre stelle si sono illuminate nel cielo, e questo significa che siamo entrati nello “Shabbat”, il sabato ebraico. Gli Ebrei infatti misurano le giornate da sera a sera, ed hanno molte altre differenze nel computo del tempo, degli anni e dei mesi (per esempio, adesso – gennaio 2009 – per loro siamo nel 5769 dalla Creazione del mondo). Il Sabato è giorno di riposo assoluto, di vita in famiglia e di meditazione della Torah (la Legge), a ricordo del settimo giorno della Creazione, quando Dio cessò di lavorare. Un bel richiamo per le nostre società occidentali, in cui il giorno domenicale tende ad essere caratterizzato dalle aperture dei Centri commerciali, e quindi dalla nuova liturgia dello shopping unito al fast food e al Cinema multisale annesso. La meticolosità delle prescrizioni tuttavia ci fa sentire con un respiro a pieni polmoni la frase di Cristo: “Il Sabato è per l’uomo, e non l’uomo per il Sabato”.
Nella sala ristorante troviamo i vari cibi a buffet riscaldati mediante dei dispositivi automatici: di Sabato infatti non è consentito neppure preparare e riscaldare le vivande. Ma non ci lamentiamo perché la tavola offre varie e gustose pietanze. Dopo cena, ci incontriamo tutti assieme nel salone accanto alla reception, per mettere in comune le nostre impressioni dopo la prima giornata del pellegrinaggio. L’impronta di ciò che abbiamo vissuto è vivida e marcata; Riccardo con semplicità dichiara di essere stato colpito dalla realtà di parole a lungo sentite nella liturgia, ma non mai verificate dal vivo: come le giare del vino miracoloso o i granellini di senape della richiesta di Cristo. Cristo parla della realtà, la fede ha a che fare con la vita.
Rosa ha vissuto l’impatto con Nazareth con grande commozione: “La prima notazione di Nazareth è quella di trovarsi di fronte a un luogo oggettivo, storico: in quella grotta si è svolto l’avvenimento dell’Annunciazione. Ho intuito che la Madonna è una compagnia permanente della mia vita (“adesso e nell’ora della nostra morte”), e Le ho chiesto di generare Cristo in me, come ciò che ha valore supremo. Le ho chiesto anche di aiutarmi ad essere come Lei generatrice di Cristo per le persone che mi sono state affidate, soprattutto i ragazzi delle scuole. Diceva Andrea Mandelli, un ragazzo morto giovanissimo: ‘La verginità e la morte sono i segni supremi dell’appartenenza a Dio’. E nella grotta dell’Annunciazione ho cominciato a percepire il senso di quella frase”.
Luigi racconta il suo incontro con un frate francescano nella Basilica di Nazareth; può essere l’unica volta che facciamo questa esperienza, e dobbiamo chiedere a Dio il miracolo di un cambiamento. Anche Santa sottolinea il desiderio di capire, di stare di fronte a ciò che incontriamo non con una commozione sentimentale, ma col giudizio che la vita è l’avverarsi di un disegno buono; non possiamo più prescindere dal rapporto con Cristo.
Altri, raccontando dell’incontro col francescano a Cana di Galilea, riprendono il tema delle “pietre vive”, cioè dei testimoni della fede in questa terra: “Le pietre parlano, ma le pietre vive parlano di più”. Don Franco sviluppa questo punto: “Andiamo a vedere una storia che continua, non i reperti dei dinosauri. Se ci mettiamo al Suo servizio, Cristo stesso, che si è fatto incontrabile e non è un’idea, opererà ogni giorno miracoli. L’unica obiezione è chiudere gli occhi davanti all’imponenza di ciò che abbiamo visto”.