Chiesa del Primato di Pietro e Tabgha
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Salim Khoury, la nostra guida (il suo nome in arabo significa “sano e salvo” ma anche “irreprensibile”, ed infatti sa sempre tutto su ogni particolare) ci spiega che le costruzioni di chiese cristiane in Terrasanta sono riconducibili sostanzialmente a tre periodi: quello bizantino dei primi secoli, quello crociato dopo l’anno Mille, e quello dopo lo “Status Quo” del 1852. Lo “Status Quo” ritorna con frequenza nelle descrizioni di luoghi e situazioni, tanto che noi pellegrini dopo un po’ utilizziamo questa espressione come un tormentone su cui scherzare (ad esempio per recuperare il proprio posto sul pullman), assieme all’altro più frequente: “C’è Massimo?” (se c’è Massimo, il simpatico marito di Santa, ci siamo tutti) per autorizzare l’autista Karim a partire. Lo “Status Quo” indica la situazione in cui si trovano le comunità cristiane della Terrasanta in relazione alla proprietà ed ai diritti acquisiti sui principali Luoghi santi (Betlemme, il Santo Sepolcro, la Tomba della Madonna). In seguito a controversie secolari tra ortodossi e cattolici per le questioni dei Luoghi santi, nel 1852 un “firmano” (decreto) della “Sublime Porta” (il sultano turco) congela i diritti acquisiti dalle varie comunità religiose, favorendo molto i Greci rispetto ai Latini (le potenze europee che sostenevano gli uni e gli altri erano rispettivamente la Russia e la Francia). Questo è il motivo delle periodiche dispute che tanto ci impressionano in TV, soprattutto quando riguardano il Santo Sepolcro. Ma dal 1852 niente è stato modificato; salvo la possibilità di ricostruire chiese sui Luoghi storici della fede cristiana; così si spiega l’attività frenetica dell’architetto Antonio Barluzzi.
Recitiamo le Lodi sotto una cappella a portico aperto che reca un grande mosaico di Giovanni Paolo II, dedicatogli dal popolo polacco. Siamo infatti nel luogo che ricorda il “Sì” di Pietro (uno dei brani evangelici più cari alla nostra storia) e l’apparizione di Gesù risorto ai discepoli con la tenera preparazione del pesce arrostito. Un grande pietrone denominato “Mensa Christi” fa memoria di questa tenerezza del Signore. Sopra di esso, una chiesetta di pietre nere, sulla riva del Lago di Tiberiade. Mentre scendiamo sulla spiaggia, Salim ci spiega che le acque (prelevate dagli Israeliani per usi agricoli e dipendenti dalle piogge non sempre frequenti) sono più basse di 3-4 metri rispetto a qualche anno fa, quando giungevano praticamente alla scalinata della Chiesa. Ora bisogna percorrere un tratto di ciottoloni e pietre prima di poter giungere alla riva. L’acqua è quella del fiume Giordano, che è l’immissario e l’emissario del Lago di Tiberiade; quindi è l’acqua del battesimo di Gesù, tanto che numerose parrocchie sono solite immetterne un po’ nei fonti battesimali. Il sole splende, la giornata è magnifica. Sulla riva del lago, guidati da don Franco, rinnoviamo solennemente le promesse battesimali, per poi mettere la mano nell’acqua; ad ogni buon conto Alberto ci asperge abbondantemente, e non per scherzo! Sentiamo quelle gocce che ci bagnano come il segno gioioso del nostro Battesimo. A poche centinaia di metri altri splendidi mosaici del V secolo ci attendono: siamo arrivati a Tabgha (dal greco Heptàpegon: sette sorgenti) dove si ricorda la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Dentro la chiesa, una pietra nera di cui già parla la pellegrina Egeria, su cui sarebbero stati deposti i canestri con gli avanzi del miracolo. Pavoni simbolo dell’immortalità, uccelli e serpenti, le macine dell’olio, il Nilometro (strano mosaico che raffigura uno strumento per misurare il livello del fiume): si vorrebbe poter contemplare ogni particolare... ma Salim ci sorprende: di fronte al famosissimo mosaico dei pani e dei pesci ci pone un “quiz teologico”: due pesci va bene, ma perché i pani sono solo quattro? Perché il quinto pane è Cristo! Il pane di vita.
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