Gli eroici Cristiani di Terrasanta
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Attraversiamo la Samaria e siamo ormai nel Deserto di Giuda; la strada corre tra grandi rocce scabre, ghiaioni assolati, piccoli accampamenti di nomadi e rare oasi verdeggianti. L’impressione che fa il paesaggio desertico è immensa: tornano alla mente gli episodi evangelici delle tentazioni, o la parabola del Buon Samaritano che incontrò il suo prossimo proprio qui, scendendo da Gerusalemme a Gerico. E la città più antica del mondo si intravede laggiù, nel cuore di una grande oasi creata dalla sorgente detta di Eliseo. Anche noi ci rinfreschiamo con le bottigliette di acqua minerale che fortunatamente Karim ha portato in abbondante scorta.
Nel frattempo Salim sta rispondendo alle nostre domande sulla situazione israelo-palestinese. La prima riguarda la condizione dei Cristiani in Terrasanta. “I Cristiani già sotto i Turchi vivevano con grande difficoltà, non erano né ben visti né ben accettati. Il loro numero è andato progressivamente diminuendo, tanto che oggi essi sono poco più di 150.000 su circa 7-8 milioni di abitanti dell’intera area: in Israele i Cristiani (quasi tutti di origine araba) sono abbastanza ben inseriti , possono lavorare e hanno libertà di spostamento; la loro presenza è considerevole soprattutto in Galilea e a Betlemme. Il problema nasce nei territori; durante l’Intifada (1986-91) molti sono emigrati all’estero, soprattutto in America: la gara di solidarietà per accogliere e aiutare i Cristiani all’estero li ha di fatto sradicati dalla Terrasanta. Dal 2004 vi è stata una maggior attenzione a mantenere una presenza cristiana nella Terra di Cristo; le offerte raccolte in tutte le chiese del mondo il Venerdì Santo sono destinate alla Terrasanta e la Custodia Francescana, sostenendo l’artigianato e il turismo, lavora in questa direzione. Il turismo è la risorsa più importante sia per Israele che per i Palestinesi: il 2008 è stato un anno molto positivo con un milione di pellegrini solo a Betlemme. Il “muro” però spesso crea ostacoli, perché il turismo è danneggiato dalla necessità di continui controlli ai “check point”. Ad esempio gli alberghi a Betlemme faticano a lavorare proprio per questo motivo”. La risposta di Salim concorda con quello che dice il Patriarca latino di Gerusalemme Mons. Fouad Twal: “Cosa si può fare per i cristiani in Terra Santa? Ve lo riassumo nella dottrina delle quattro P. La prima è “Prayer”: pregare per i cristiani di qui e per le loro necessità. La seconda è “Pilgrimage”: recarsi in pellegrinaggio nei Luoghi Santi è il modo principale per sostenere l’economia in settori come il turismo, i trasporti, l’artigianato, perché quando non ci sono pellegrini in molte famiglie non entra neanche un soldo. La terza è “Projects”: appoggiare sistematicamente opere di aiuto caritativo, educativo, assistenziale. E la quarta è “Pressing”: influire nella misura delle proprie possibilità sull’opinione pubblica, compresi gli ambiti più vicini come parrocchia, stampa locale, centri culturali. Tutti potete contribuire a queste quattro P. Non ditemi che non potete, almeno, farne una: pregare per noi” (cit. in M. Camisasca - P. Cremonesi, Viaggio in Terra Santa, Marietti 1820, 2008). Un’altra domanda: “Quali sono le prospettive di pace?” Naturalmente la risposta è difficilissima, ma Salim ci prova: “La situazione è veramente molto complessa, gli elementi in gioco sono numerosi. La guerra naturalmente non è una soluzione e non si può vivere sempre in guerra. Ogni tanto si trova una pista, una strada verso la pace, ma poi bastano pochi estremisti da entrambe le parti per distruggere in breve tempo il lavoro di anni. Le spine nel fianco sono i profughi, gli insediamenti illegali di coloni nei territori palestinesi, e il problema dell’acqua. Le due grandi risorse sono i popoli, che desiderano vivere in pace riconoscendo che l’altro esiste; e l’educazione, che deve ricostruire e sanare ferite molto profonde: per questo ci vorrà molto tempo”.
Il paesaggio sta cambiando, le zone verdeggianti si moltiplicano: siamo ormai alle porte di Gerusalemme!