Tra invasione di Gaza e “pietre vive”
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Le immagini verdastre delle truppe israeliane riprese con gli obiettivi ad infrarossi scorrono continuamente a destra della gentile giornalista del TG che mantiene un “aplomb” professionale, sereno: tutto sotto controllo, del resto lo si sapeva da tempo, ci metteremo poco, la situazione non deve allarmarvi. Questo è ciò che si intuisce perché la lingua ebraica, ricca di aspirazioni e di suoni gutturali, non si lascia decifrare così facilmente; per altro c’è la CNN sul satellite che dice più o meno le stesse cose, con un briciolo di preoccupazione in più. Noi pellegrini pronti a lasciarci convincere dalle rassicurazioni della TV abbiamo però sottotraccia un minimo di brivido. Le due splendide giornate in Galilea ci avevano quasi fatto dimenticare la guerra; ma domani saremo a Gerusalemme! Il cuore del mondo, ma anche la zona di tensioni sotterranee, zona araba zona israeliana check point controlli e magari manifestazioni: Intifada numero tre? Questi sono i nostri pensieri, mentre predisponiamo in un grande cerchio le sedie per la serata di canti e di testimonianze al Bali Hotel di Tiberiade. Assieme a molte preghiere alla Madre di Dio perché continui a proteggerci come ha fatto finora. Gli amici entrano alla spicciolata, tutti aspettano don Franco che è al telefono ed arriva per ultimo. Lo guardiamo di sottecchi, aspettando una sua frase, qualche battuta chiarificatrice, ma per ora non arriva nulla se non una tranquillità contagiosa. Il Coro comincia con la solita maestria: canti polifonici, laude medievali, e poi cantiamo assieme: anzitutto “La strada” di Chieffo: se non è per il pellegrinaggio questa! Don Franco chiarisce che le testimonianze attese (da Nazareth) purtroppo non si potranno ascoltare, ma c’è una lettera di don Vincent Nagle parroco di Nablus, che racconta della propria esperienza con gli arabi cristiani nei Territori. Un altro tassello si aggiunge a quelle famose “pietre vive” che costituiscono per noi l’interesse dominante della Terra di Cristo oggi. Ecco il testo dell’intervento (estratto da “Fraternità e Missione”, dicembre 2008 e reperibile su www.sancarlo.org):
LE PIETRE VIVE
di Vincent Nagle, missionario a Gerusalemme 03/12/2008
“Il giorno di Natale, la Chiesa proclama il Prologo del vangelo di Giovanni. In questa sintesi poetica della persona e della missione di Cristo, leggiamo che in Gesù era «la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta… Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 4-5;9).
Cosa intendiamo quando diciamo la parola «luce»? E' una forza misteriosa che ci permette di vedere. La luce ci mostra le cose. Quando i pellegrini vengono qui in Terra Santa a guardare le pietre che segnano i luoghi della concezione, la nascita, la vita, morte e resurrezione di Cristo, queste pietre mostrano qualcosa a loro. In qualche modo, sono una luce per questi pellegrini.
Molto spesso sento dire che i pellegrini cristiani in Terra Santa vengono a vedere i luoghi santi, ma ignorano la comunità cristiana che ci vive, quelli che Sua Beatitudine Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, chiama le “pietre viventi”. C’è in atto una testimonianza drammatica tra i cristiani che vivono la loro fede nei luoghi della missione terrena di Cristo. Questa testimonianza è una luce che illumina le tenebre. Vorrei parlare di due di questi testimoni.
Il primo è un uomo che si chiama Ibrahim, un greco ortodosso che ha sposato una ragazza cattolica di Gerusalemme e che ora frequenta la Chiesa cattolica. Quando ho incontrato Ibrahim, era un taxista che viveva in un monolocale seminterrato con sua moglie e cinque figli. Come molti della comunità cristiana qui, ha visto il suo status sociale crollare drammaticamente negli ultimi anni, a causa della situazione politica e la conseguente fuga dei cristiani dalla Terra Santa.
Una volta gli ho chiesto perché non accettasse l’invito a emigrare rivoltogli dai suoi parenti che vivono negli Stati Uniti. Mi ha risposto che non emigrerà mai, perché partire sarebbe rinunciare all’unica grande eredità che può dare ai suoi figli: il poter dire «Sono un cristiano nella terra di Cristo». Per lui, testimoniare la fede in Cristo nella città in cui Egli è nato è un privilegio immenso, ed è fiero di educare i suoi figli con questa coscienza. Suo figlio maggiore ha già detto che vuole diventare un sacerdote nel patriarcato latino. Vuole tramandare la luce che gli ha permesso di percepire la sua grande missione, la proclamazione di Cristo presente nella Terra Santa oggi.
L’altro giorno stavo pranzando con la vicepresidente dell’Università di Betlemme. Lei mi parlava di uno dei professori: «Veramente, in lui si vede cosa vuol dire essere cristiano. E’ visibile». Questo uomo è una luce per loro. Qualche anno fa, una sera, era in macchina con sua figlia. Due altre macchine l’hanno affiancato, e una raffica di proiettili ha investito la sua auto. Egli è rimasto gravemente ferito e sua figlia, raggiunta da un colpo alla testa, è morta. Gli assassini l’avevano scambiato per un’altra persona, un terrorista.
I suoi colleghi e amici hanno visto qualcosa di nuovo in lui e nella sua famiglia. Non cercano la vendetta: pregano e lavorano in pace. Per il professore e la sua famiglia, l’evento tragico non è un esempio della vittoria delle tenebre. è una condizione in cui testimoniare la vittoria di Cristo. E così loro diventano una luce.
Qui nella terra del ministero terreno di Cristo, Egli è ancora presente. Ciò che è successo duemila anni fa, continua a succedere, in un modo molto simile ad allora, nascosto dal mondo. Ma come duemila anni fa, c’è una luce nuova. Nel Prologo, Giovanni scrive: «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre» (Gv 1, 14). La luce c’è, e le tenebre non possono spegnerla”.
Ma c’è anche il compleanno di Santa da festeggiare: gli amici pieni di attenzione hanno provveduto a regalarle una splendida “Croce di Gerusalemme” in argento. E’ il simbolo che più frequentemente abbiamo visto su monumenti e chiese, un ricco intreccio di motivi, come ci ha spiegato Salim. Egli la chiama anche “croce cosmica”, interpretandola così: la croce maggiore indica: il Cielo (braccio Nord), la Terra (braccio Sud), il Popolo (braccio Ovest) e il Mondo (braccio Est); le quattro crocette indicano i punti cardinali, e tutt’attorno un cerchio la racchiude indicando il Cosmo. E’ il segno della presenza della “Custodia Francescana di Terra Santa”: “una storia dentro la Storia”, come dice Paolo Cremonesi nel bel libro già citato. La serata si conclude con la notizia che il pellegrinaggio continua secondo il programma stabilito. A Gerusalemme!