Un esperimento intellettuale 2 - Telegrafia su ciò che intendo per “pensiero (detto ‘di natura’)”
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L’esperimento non poteva non imbattersi in due fatti propri del pensiero che ho chiamato “pensiero di natura”, o anche pensiero san(t)o. Coniugo salute (psichica anzitutto) e salvezza in un’unica salus. La scissione della salus è il massimo degli errori.
All’esposizione dei due fatti faccio precedere una telegrafia.
Per denominare un tale pensiero ho ritoccato l’ortografia consueta chiamandolo rett-itudine come diritt-itudine, Recht- o Gerecht-igkeit o Recht-schaffenheit, in francese rect-itude o con un neologismo droit-itude, in inglese rect-itude o il neologismo right-itude, come nomi di una forma generale (generica non specifica) del pensiero come tale senza importi morali, giuridici o epistemici dal di fuori o di sopra di esso (non mi dilungo qui su un’altra forma generale del pensiero, quella che è ostile alla prima).
Il pensiero così retto (non geometricamente: non è spinoziano) lo è senza le distinzioni diritto-giustizia e conoscenza-morale.
E ancora, ho definito un tale pensiero orto-dossia del soggetto, anteriore alle ortodossie.
Infine, un tale pensiero è Ordinamento formale dell’esperienza, imputante e sanzionante, dunque non interiorità rispetto a esteriorità. A differenza da Cartesio, anche la res cogitans è extensa.
Un tale pensiero è la san(t)a sede di un Ordinamento giuridico distinto dagli Ordinamenti consueti a partire da quello statuale.
Un tale pensiero non lo incontriamo mai (chi conosce eccezioni?), se non in tracce o frammenti ad esso afferenti. Ma nulla obietta a che, anche con l’ausilio di questi frammenti, il suo disegno (come un DDL) possa venire scritto. L’obiezione possibile a un tale disegno (tanto più concepibile in un’epoca di algoritmi illimitati: ma non è algoritmico, ossia non è un principio di calcolo), è che esso sia un delirio: sono in desiderante attesa di una tale obiezione, come occasione per distinguere il pensiero paranoico, ubiquitario, da quello che non lo è.
Questo pensiero è legge di moto di corpi a meta o soddisfazione: in questa parola si condensano conclusione logica e esito reale.
Di un tale moto di corpi nella partnership, intellettuale e reale, ho additato il modello nella parabola dei talenti, o delle mine, con il suo esito di tesoro e governo.
C’è anche partnership intellettuale, senza limiti a ciò che è “intellettuale”.
Questo pensiero ha sovranità nella definizione antica di questa: superiorem non recognoscens. Ecco ciò in cui trovo sensata la definizione biblica dell’uomo come “a immagine somiglianza di Dio”.
La storia della Filosofia ha poco coltivato il pensiero come rett-itudine (confinando la rettitudine in una pedante partizione morale), insomma è stata poco amica del pensiero.
Termino la telegrafia. Un tale pensiero riordina il pensiero di Freud come amico del pensiero, che risulta così subordinato al pensiero di cui è amico. “Freudiano” diventa una qualificazione secondaria cioè derivata, il che mi rende ancora più nitidamente freudiano.
(continua)