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Un esperimento intellettuale 2 - Telegrafia su ciò che intendo per “pensiero (detto ‘di natura’)”

Fonte:
CulturaCattolica.it
Seconda parte della Prefazione di Giacomo B. Contri al libro di Fausto Capucciati, "Tutto il pensiero al singolo".

L’esperimento non poteva non imbattersi in due fatti propri del pensiero che ho chiamato “pensiero di natura”, o anche pensiero san(t)o. Coniugo salute (psichica anzitutto) e salvezza in un’unica salus. La scissione della salus è il massimo degli errori.
All’esposizione dei due fatti faccio precedere una telegrafia.
Per denominare un tale pensiero ho ritoccato l’ortografia consueta chiamandolo rett-itudine come diritt-itudine, Recht- o Gerecht-igkeit o Recht-schaffenheit, in francese rect-itude o con un neologismo droit-itude, in inglese rect-itude o il neologismo right-itude, come nomi di una forma generale (generica non specifica) del pensiero come tale senza importi morali, giuridici o epistemici dal di fuori o di sopra di esso (non mi dilungo qui su un’altra forma generale del pensiero, quella che è ostile alla prima).
Il pensiero così retto (non geometricamente: non è spinoziano) lo è senza le distinzioni diritto-giustizia e conoscenza-morale.
E ancora, ho definito un tale pensiero orto-dossia del soggetto, anteriore alle ortodossie.
Infine, un tale pensiero è Ordinamento formale dell’esperienza, imputante e sanzionante, dunque non interiorità rispetto a esteriorità. A differenza da Cartesio, anche la res cogitans è extensa.
Un tale pensiero è la san(t)a sede di un Ordinamento giuridico distinto dagli Ordinamenti consueti a partire da quello statuale.
Un tale pensiero non lo incontriamo mai (chi conosce eccezioni?), se non in tracce o frammenti ad esso afferenti. Ma nulla obietta a che, anche con l’ausilio di questi frammenti, il suo disegno (come un DDL) possa venire scritto. L’obiezione possibile a un tale disegno (tanto più concepibile in un’epoca di algoritmi illimitati: ma non è algoritmico, ossia non è un principio di calcolo), è che esso sia un delirio: sono in desiderante attesa di una tale obiezione, come occasione per distinguere il pensiero paranoico, ubiquitario, da quello che non lo è.
Questo pensiero è legge di moto di corpi a meta o soddisfazione: in questa parola si condensano conclusione logica e esito reale.
Di un tale moto di corpi nella partnership, intellettuale e reale, ho additato il modello nella parabola dei talenti, o delle mine, con il suo esito di tesoro e governo.
C’è anche partnership intellettuale, senza limiti a ciò che è “intellettuale”.
Questo pensiero ha sovranità nella definizione antica di questa: superiorem non recognoscens. Ecco ciò in cui trovo sensata la definizione biblica dell’uomo come “a immagine somiglianza di Dio”.
La storia della Filosofia ha poco coltivato il pensiero come rett-itudine (confinando la rettitudine in una pedante partizione morale), insomma è stata poco amica del pensiero.
Termino la telegrafia. Un tale pensiero riordina il pensiero di Freud come amico del pensiero, che risulta così subordinato al pensiero di cui è amico. “Freudiano” diventa una qualificazione secondaria cioè derivata, il che mi rende ancora più nitidamente freudiano.
(continua)

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