20 Novembre - BENEDETTO CROCE e l'egemonia laico-marxista sulla società italiana.
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Riprendendo le parole di Diego Fusaro possiamo dire che per Croce il pensiero logico è rapporto di soggetto (ossia di un fatto, quale che esso sia) e di predicato, è determinazione della particolarità del fatto (che si è intuito) nell'universalità del concetto (di cui lo si predica): è, in fin dei conti, giudizio su singole realtà di fatto. E, giacchè il giudizio sulle singole realtà di fatto è giudizio sui fatti nel loro farsi (per la ragione che fatti che non si facciano, che non diventano, o fatti per così dire immobili non si ritrovano né si concepiscono nel mondo della realtà), evidente è che tale giudizio è e non può essere che un giudizio storico.
Ne consegue che il pensiero logico è, in quanto tale, un pensare storico: proprio in ciò risiede la tesi portante della "Logica" e, anzi, di tutta l'opera crociana.
E' la tesi per la quale la filosofia, scienza dei concetti, si identifica con la storia, scienza dei giudizi: ecco perché Croce può asserire che "i veri filosofi, se ne avvedessero o no, non hanno mai fatto altro che rinvigorire e raffinare i concetti per far sì che meglio si intendano i fatti, cioè la realtà, cioè la storia"; è dunque necessario, per usare le stesse parole impiegate da Croce, rendere "filosofica la storia, ma nell'atto stesso storica la filosofia, e indirizzandola a non altro che a risolvere i problemi che il corso delle cose propone sempre nuovi".
Croce, nipote di Spaventa, si è formato alla scuola del De Sanctis (risalendo, attraverso il De Sanctis, a Vico) e del Labriola (risalendo, attraverso il Labriola, a Herbart e a Marx), cosicché alla diretta conoscenza del pensiero hegeliano egli è giunto (per influenza del suo stesso amico Gentile) solo in una fase giù matura (nel 1905) del suo sviluppo intellettuale.
Sia Croce sia Gentile hanno accolto del pensiero di Hegel il principio animatore: l'idea cioè dello Spirito, immanente alla storia e coincidente con essa, come attività dialettica che si svolge nel ritmo di sempre rinascenti opposizioni.
E' il principio per il quale la realtà è attività pensante, è Soggetto che si oggettiva e si naturalizza per tornare in se stesso fatto più altamente personale e più consapevole.
Diversamente da Hegel, tuttavia, essi prescindono del tutto, nella loro speculazione, dai problemi della natura, ritenendo pertinenti alla vita dello spirito solo i problemi propriamente umani.
Ne consegue che non si è avuta in Italia la polemica, che invece divampò e fu assai vivace nel mondo culturale tedesco, tra scienziati assertori del metodo sperimentale e hegeliani propugnatori d'una razionalistica e aprioristica interpretazione della natura.
In Italia, al contrario, l'indifferenza di Croce e di Gentile per i problemi della scienza ha solo concorso (in virtù del peso culturale dei due personaggi) ad approfondire il solco tra ricerca scientifica e investigazione filosofica, a rendere estranea quella a questa e, di conseguenza, questa a quella.
Ne deriva dunque anche la crescente influenza ch'essi hanno esercitato nel campo letterario e nella vita politica del Paese: nel campo letterario hanno notevolmente innovato gli studi di estetica e di ricerca storica, giungendo per tale via a diffondere largamente tra le giovani generazioni del loro tempo il gusto e il modo della visione e della valutazione idealistica dei relativi problemi.
Nella vita politica hanno esercitato un'influenza ancor maggiore e, soprattutto, ancor più differenziata: Croce s'è fatto espressione ideologica delle istanze liberali, Gentile è divenuto il filosofo e, al tempo stesso, il padre ideologico del fascismo.
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E bisogna riconoscere che Croce fu l'unico oppositore del regime a non essere brutalmente massacrato (come invece accadde a Gobetti) o indegnamente incarcerato (come accadde a Gramsci): gli fu anzi sempre riconosciuta la sua carica di senatore, forse anche in virtù del fatto che la sua era un'opposizione meramente teorica e che si appellava ad un liberalismo ormai incompatibile con la nuova temperie culturale e con la situazione in cui l'Italia versava; tanto più che il fascismo ci teneva a dimostrarsi un regime "aperto", pronto a dar voce agli oppositori.
Liberale conservatore, Croce vide dapprima nel fascismo un'utile e, come s'illudeva, temporanea forza di contenimento del movimento socialista, il quale, dopo il celebre "biennio rosso" (1918-1920), pareva avanzasse quasi a travolgere anche in Italia come in Russia le dighe della struttura borghese della società.
Ma, trasformatosi il nuovo regime in dittatura permanente col colpo di stato del 3 gennaio 1925, le istanze liberali prevalsero sempre più nel suo animo e lo indussero, senza comunque smettere l'aspra polemica contro il socialismo (per il quale da giovane aveva pure simpatizzato), ad avversare senza più esitazioni il totalitarismo fascista: si accorse che il fascismo, seppur idoneo per tenere a bada gli appetiti socialisti e per conservare la società così com'era, non era uno strumento di cui ci si poteva servire solo quando faceva comodo per poi rimetterlo nel cassetto; viceversa, il fascismo era una malattia passeggera dello Stato, quasi una sorta di deviazione nel corso assolutamente razionale della storia: si trattava dunque, una volta terminata la parentesi fascista, di ritornare allo Stato liberale vigente prima dell'avvento della "malattia" fascista.
Il liberalismo di cui Croce si fece vessillifero fu, tuttavia, sempre di stampo conservatore, senza troppe aperture sul versante socialista: quando gli parlarono della possibilità di creare un liberal-socialismo, che coniugasse le istanze proprie del socialismo con quelle proprie della tradizione liberale (nella convinzione che la vera libertà è possibile solo in condizioni di uguaglianza sociale), Croce bollò questa iniziativa come "ircocervo", ovvero come fantasticheria inattuabile.
Croce, poi, rispose al manifesto con cui Gentile aveva raccolto l'adesione al fascismo da parte di alcuni intellettuali fascisti (tra cui Pirandello) con un manifesto di vibrante protesta firmato da un mare magnum di intellettuali antifascisti (tra cui ricordiamo Antonio Banfi).
In questa seconda fase della sua vita Croce venne pertanto gradatamente accentuando il suo interesse speculativo per il problema politico (che aveva fin da allora considerato con un certo distacco), per il problema di un più intimo nesso tra il pensiero e l'azione, per il problema della libertà (centrale in Hegel).
Frutto di tali sue nuove meditazioni è la pubblicazione in questo periodo di una serie di scritti, di cui meritano di essere menzionati, per la grande risonanza che ebbero e per la larga efficacia educativa che esercitarono sui giovani di allora, la "Storia d'Italia dal 1871 al 1915" (1928), la "Storia d'Europa nel secolo XIX" (1932), "La storia come pensiero e come azione" (1938).
Sono gli scritti nei quali la nozione di libertà è, secondo la stessa espressione crociana, innalzata a "religione della libertà" e identificata con lo Spirito nel suo dispiegarsi.
La definizione molto vaga (e pressochè mistica) del problema della libertà doveva rivelarsi nondimeno, per l'istanza morale da cui procedeva, strumento efficace di educazione antifascista, finchè il fascismo imperò nel Paese; e anche, caduto il fascismo, continuò a ispirare in qualche modo le nuove generazioni nella loro azione per la ricostruzione del Paese, ma impregnandosi via via di nuove e più concrete istanze, in virtù delle quali non pochi degli antichi discepoli di Croce finirono col prendere, un poco alla volta, altre vie.
Croce sopravvisse all'avversato regime: con la caduta di esso, però, riprese con rinnovato vigore, nella mutata condizione culturale determinatasi nel Paese, la polemica contro il marxismo. Si spense nel 1952, circondato dalla generale stima per quel che il suo nome aveva significato, per circa cinquant'anni, nella vita culturale della penisola. Egli fu una delle menti più poliedriche e versatili che il Novecento ricordi.
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