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25 marzo - NOVALIS, pseudonimo di Georg Freiherr VON HARDENBERG: il pensiero cristiano romantico contro il meccanicismo.

NOVALIS (Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772 – Weißenfels, 25 marzo 1801) fu poeta, teologo, filosofo e scrittore tedesco, figura di spicco del Romanticismo europeo, e grande critico DELLA VISIONE MECCANICISTICA DELLA NATURA, che sta alla base di buona parte del pensiero scientifico e tecnologico e del pensiero diffuso dominante.

Il pensiero di Novalis è noto col nome di “idealismo magico”, ad indicare quella dottrina formulata da lui in una nutrita serie di frammenti – raccolti sotto il titolo "Polline" – e nel romanzo incompiuto "I discepoli di Sais" (1798) e anche come “neoplatonismo cristiano”, dopo il suo incontro col pensiero di Plotino, di Spinoza e della tradizione mistica tedesca. Le opere che accreditano questa seconda definizione sono: una nuova serie di frammenti, il romanzo "Enrico di Ofterdingen", gli "Inni alla notte" e il saggio "Cristianità o Europa."


L’idealismo magico è marcatamente influenzato dal pensiero di Fichte (è da lui che Novalis desume la componente di idealismo cui allude l’etichetta “idealismo magico”).
E, nella fattispecie, il punto di partenza che Novalis mutua da Fichte è l’idea che il mondo sia il prodotto inconsapevole della struttura trascendentale di tutti i soggetti umani.

In particolare, a colpirlo è la nozione di “immaginazione produttiva”: operando inconsciamente in ogni soggetto, essa si prolunga – nota Novalis – nell’immaginazione produttiva dell’artista.
Quel che Novalis e i Romantici fanno è l'accentuazione dell’Assoluto nel finito: e, del resto, non era forse Fichte stesso ad insegnare che l’Assoluto vive soltanto nel finito, come sua condizione?

Si tratta di render consapevole l’inconsapevole, volontario l’involontario, ossia di muoversi nella direzione di un impadronimento cosciente dell’attività assoluta inconsciamente operante nella coscienza di ogni singolo individuo.

Fichte notava che il non-Io (cioè il mondo esterno) è, in ultima analisi, l’Io stesso: sulla sua scia, Novalis, alla domanda “che cos’è la natura?”, risponde che essa è “un indice sistematico, enciclopedico dello spirito, un piano dello spirito”.

Con ciò, egli intende dire che essa è inconsapevole limitazione dell’Io stesso. In questo senso, per Novalis la natura è spirito solidificato, attività pratica rappresa, “il passato dell’Io”, ovvero ciò che l’Io cessa sempre e di nuovo di essere in virtù del suo essere attività pratica.

Dall’identità di natura e spirito, segue che conoscere il mondo equivale a conoscere se stessi, cosicché “capiremo il mondo quando capiremo noi stessi”: e la comprensione del mondo non può che avvenire congetturalmente, attraverso la conoscenza di ciò che inconsapevolmente siamo (dal canto suo, la scienza conosce solo la superficie fenomenica del mondo, mai l’in sé della natura).

Un tal punto di vista mette in luce come, per conoscere l’universo, si debba viaggiare non nell’universo stesso, ma in se stessi: “verso l’interno si volge la via misteriosa” e, a tal proposito, l’immagine che meglio esprime questa concezione è quella del minatore che si cala nelle profondità dell’Io (la psicanalisi di Freud affonda qui le proprie radici). “L’universo non è forse in noi?” si domanda Novalis: il mondo esterno – come abbiamo detto – non è che "io pietrificato", inerzia, libertà passata, “è la somma delle cose passate e staccate da noi”:

IL CRITERIO DI CONOSCENZA DIVENTA ALLORA QUELLO DELL’ANALOGIA, CHE SCHIUDE LA NATURA METAFISICA DEL MONDO. Grazie ad essa, applicando al mondo la conoscenza che abbiamo di noi stessi, possiamo estendere sempre più il nostro sapere. Proprio in questa prospettiva, allo stile congetturale di Novalis si affiancano le divagazioni poetico/fantastiche nelle quali egli considerava la natura in analogia con l’uomo, con la conseguenza che essa va incontro ad una progressiva antropomorfizzazione, diventando una persona cara in quanto nota (giacchè la natura siamo noi stessi o, meglio, eravamo noi stessi).

Allora familiarizzare con la natura significa familiarizzare con noi stessi, il che spiega perché i poeti abbiano l’innata tendenza a personificare le cose e a parlarne come se esse fossero persone viventi: “NOI DOBBIAMO CONSIDERARE NATURA E MONDO ESTERNO COME UN ESSERE UMANO CHE POSSIAMO E DOBBIAMO COMPRENDERE COME COMPRENDIAMO LE PERSONE CARE”.

Si affaccia qui una relazione dell’uomo con la natura che è di tutt’altro genere rispetto a quella di mero sfruttamento fatta valere dalla borghesia illuministica dell’età della “rivoluzione industriale”.

Resta però da chiarire perché l’idealismo di Novalis venga definito “magico”: esso è così detto perché evidenzia il carattere prodigioso della creazione della natura da parte dell’Io; esso la crea senza saperlo e ne resta incantato, – qui sta l’elemento magico - credendo che essa sussista indipendentemente. Il mondo è una creazione dell’Io, ma gli appare come “altro”: a tal punto l’incantesimo è stato forte: l’idealismo di Fichte è una rivoluzione sconvolgente, perché – nell’ottica novalisiana – il mondo è al contempo soggettivo (perché prodotto dall’Io) e oggettivo (perché non riconosciuto dall’Io come sua produzione).

...Il tema della ricreazione del mondo va poi nella direzione di una sua moralizzazione: in effetti, se esso è una mia rappresentazione, allora dipende da me come me lo rappresento; in tale ottica, non stupisce che lo stesso luogo possa apparirci diverso a seconda degli stati d’animo che abbiamo quando lo osserviamo (se siamo depressi, ci apparirà uggioso; ma se siamo euforici, ecco allora che ci sembrerà allegro). CIÒ VUOL DIRE CHE “NOI ABBIAMO CREATO LA NATURA COME MATERIALE DEL NOSTRO DOVERE MORALE, POSSIAMO RICREARLA ASSOCIANDOLA ALLA NOSTRA STESSA MORALITÀ”.

Com’è noto, in Fichte la natura è fatta per essere vinta dallo spirito e dissolta nella pura identità della ragion pura pratica con se stessa: ora, Novalis apporta una variante introducendo la legge morale nella natura stessa. Ciò significa che cade l’antagonismo tra inclinazioni sensibili e imperativo categorico, nel senso che l’istanza razionale è estesa alle stesse inclinazioni sensibili. Quella che abbiamo di fronte è dunque una natura sognata dal poeta, moralizzata e pertanto tale da essere dominata non dalla legge del più forte, bensì da una convivenza armoniosa tra gli uomini, nella quale il rispetto dell’uomo come fine è esteso a tutte le creature viventi in natura (troviamo qui i prodromi del contemporaneo ecologismo).

EUROPA O CRISTIANITÀ (antologia).
Il risultato del modo di pensare moderno venne chiamato filosofia e le venne attribuito tutto quello che si opponeva all'antico e quindi, soprattutto, ogni idea contro la religione. Quello che inizialmente era un odio personale nei confronti della fede cattolica si mutò, poco alla volta, in odio nei confronti della Bibbia, della fede cristiana e, infine, addirittura della religione. Ma non basta: l'odio nei confronti della religione si estese, in modo perfettamente naturale e conseguente, a qualunque cosa fosse l'oggetto dell'entusiasmo, dichiarò eresia la fantasia e il sentimento, la moralità e l'amore per l'arte, il futuro e il passato, collocò con difficoltà l'uomo in cima alla serie degli esseri naturali e mutò l'infinita musica creatrice dell'universo nello stridio monotono di un enorme mulino azionato dalla corrente del caso e in sua balìa, un mulino in sé, senza costruttore e senza mugnaio, un vero e proprio perpetuum mobile, un mulino che macina se stesso. (pp. 98-99)

Il vero osservatore consideri con pacatezza e imparzialità i nuovi tempi che sovvertono lo Stato. Non gli sembra che il sovvertitore somigli a Sisifo? Ecco che ha raggiunto il culmine dell'equilibrio, già il peso possente rotola ancora una volta giù dall'altro lato. Non rimarrà mai lassù in cima se un'attrazione verso il cielo non lo mantiene, oscillante, in quella posizione. (p. 105)

Il velo è per la Vergine ciò che lo spirito è per il corpo, il suo organo essenziale, le cui pieghe sono le lettere del suo dolce annuncio; l'infinito gioco delle pieghe è una musica cifrata, perché il linguaggio per la Vergine è troppo legnoso e sfrontato, le sue labbra si dischiudono solo per il canto. (p. 117)