30 luglio - MICHELANGELO ANTONIONI e INGMAR BERGMAN: il rifiuto della realtà come tratto comune della loro arte.
"Indagatori dell'animo umano, FORMIDABILI CANTORI DELLA DONNA MODERNA, artisti appartati che seppero imprimere una trasformazione profonda all'idea di racconto, ai confini della visibilità pura, Michelangelo Antonioni (Ferrara, 29 settembre 1912 – Roma, 30 luglio 2007) e Ingmar Bergman (Uppsala, 14 luglio 1918 – Fårö, 30 luglio 2007) stanno oggi a buon diritto ai primi due posti di un ideale alfabeto del cinema mondiale." Tratto da: Giorgio Gosetti, 10 anni senza Bergman e Antonioni, così lontani così vicini. Incomunicabilità e inconscio, stessa ricerca e risposte diverse, in Ansa,it, 30 luglio 2017Vedi qui.
Forse un aspetto fondamentale comune delle loro opere, oltre alla riconsiderazione e rivalutazione del ruolo femminile, importante ai fini di una loro valutazione all'interno del formarsi negli anni sessanta del pensiero diffuso dominante nella sua forma attuale, può essere quel RIFIUTO DELLA REALTÀ che il secondo dichiarò essere caratteristica fondamentale della sua cinematografia.
«In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti nella penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala, e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità a secondi, e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà »(Ingmar Bergman, La lanterna magica, autobiografia, 1987)
«Quando tu [Antonioni] dichiari in un'intervista con Godard: "Provo il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano affatto realistici", tu testimoni una corretta percezione del senso: non lo imponi, ma non lo abolisci. Tale dialettica conferisce ai tuoi film una grande sottigliezza: la tua arte consiste nel lasciare la strada del senso sempre aperta, e come indecisa, per scrupolo. È proprio in questo che tu assolvi il compito dell'artista di cui il nostro tempo ha bisogno: né dogmatico, né insignificante.»
(Roland Barthes, dalla sua orazione ufficiale in occasione della consegna dell'"Archiginnasio d'oro", premio della città di Bologna, a Michelangelo Antonioni, febbraio 1980).