30 marzo - KARL RAHNER: il modernismo all'interno della Chiesa.
Gesuita tedesco, teologo cattolico, Karl Rahner fu fra i protagonisti (in negativo) del rinnovamento della Chiesa che portò alla presunta svolta del Concilio Vaticano II.Ecco una recente e importante intervista di padre Cavalcoli sul suo pensiero tratta da "Radici Cristiane", n. 47, Agosto-Settembre 2009
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Il noto teologo padre Cavalcoli op ci chiarisce gli errori fondamentali di uno dei maggiori esponenti di quella teologia eversiva che nel XX secolo ha afflitto la Chiesa al suo interno, e le cui negative influenze sono dinanzi agli occhi di tutti noi cattolici.
Sappiamo come di recente il Papa, parlando dell'interpretazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ha rilevato l'esistenza di un'“ermeneutica della rottura", da lui giudicata fuorviante, e l'ha contrapposta all'ermeneutica giusta che ha chiamato "della continuità".
Il teologo gesuita Karl Rahner (Friburgo in Brisgovia, 5 marzo 1904 – Innsbruck, 30 marzo 1984), secondo quanto sta apparendo con sempre maggiore chiarezza da uno studio critico di molte delle sue opere condotto ormai da decenni, È FORSE L'ESPONENTE MAGGIORE DI TALE ERMENEUTICA DELLA ROTTURA, che da quarantanni ha attirato e continua ad attrarre schiere di teologi e pastori in tutto il mondo.
L'ermeneutica della rottura è una caratteristica di gran parte della teologia di Rahner, una teologia che enfatizza il nuovo, il moderno assolutizzato, fine a se stesso e senza discernimento, in modo tale da portarlo a una rottura con quel passato nel quale si trovano quelle radici cristiane, dalle quali soltanto può sorgere una sana modernità, che non può essere sana se non in continuità con quelle radici, che contengono valori divini, perenni e immortali.
La modernità secondo Rahner
Rahner ha avuto la "buona idea" di cercare di ammodernare il cristianesimo, di CREARE UN DIALOGO DEL CRISTIANESIMO CON LA MODERNITÀ. Ma ha sbagliato nel concepire il moderno. È rimasto vittima del mito idealista tedesco della "filosofia moderna". Non è sbagliato di per sé aspirare a una filosofia moderna, apprezzare una filosofia moderna, perché si suppone che sia meglio informata, più sapiente, più solida e più intelligente dell'antica. Esiste un tomismo moderno certo migliore di quello del Sei o Settecento.
L'errore di Rahner è stato quello di optare per una filosofia "moderna", la quale è stata sì moderna nel senso temporale, ma non nel senso qualitativo.
Che cosa conta che una filosofia sia temporalmente moderna se poi di fatto ricade in antichi errori pagani, che già erano stati corretti dalla filosofia cristiana medievale, autrice delle radici cristiane dell'Europa?
Che "moderno" è quel moderno che distrugge un passato, quale quello delle radici cristiane dell'Europa, legato all'immutabilità della parola di Dio, quella parola della quale Cristo ha detto: «Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno?».
Rahner ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passato di una tradizione cristiana sacra e perenne, quella che appunto si chiama sacra Tradizione, sorgente della divina rivelazione insieme con la Sacra Scrittura, come da sempre insegna la Chiesa Cattolica. Questa rottura è nata dal fatto che Rahner non si è accorto della perenne validità di tale Tradizione, come condizione di vero progresso.
Da che cosa sorge, da quali radici sorge la modernità rahneriana?
Da un idealismo come quello che - per sua espressa dichiarazione - trae origine da Cartesio, passa per Kant. Fichte. Schelling ed Hegel e giunge ad Heidegger. Ma la tanto declamata novità cartesiana, come dimostrano gli storici del pensiero, in realtà riprende le fila dell'antico pensiero greco presocratico dei parmenidei, degli eraclitei, dei sofisti e degli scettici. Anche la continuità non è un valore, se è la continuità di un vizio perenne della ragione, come quello che si trascina da Protagora ad Heidegger.
Continuità ed evoluzione
Rahner non ha capito qual è la legge dell'evoluzione dogmatica. LA VERA EVOLUZIONE NON È ROTTURA, MA ESPLICITAZIONE NELLA CONTINUITÀ.
Non suppone l'equivocità, ma la continuità analogica. Il dogma di Calcedonia contiene la stessa verità della cristologia del Vaticano II, solo che nel corso di quattordici secoli la Chiesa ha conosciuto meglio (e come diversamente sarebbe dovuto accadere?) quel medesimo mistero di Cristo che già è immutabilmente e definitivamente enunciato dal dogma calcedonese.
Rahner ha inteso gli insegnamenti del Concilio come rottura con la Tradizione. Egli distrugge la Tradizione e quindi non opera in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X.
Per Rahner la verità cristiana comincia col Vaticano II da lui interpretato peraltro in modo modernistico. Prima c'è la barbarie, il vuoto, il nulla. Nessuna radice. Nessuna sorgente, nessuna base o nessun principio. Ma tutto comincia con Cartesio per finire con Heidegger. L'idealismo tedesco poi si sposa in Rahner con l'influsso luterano.
Tuttavia uno potrebbe obbiettare: ma in fin dei conti, anche Rahner ha rispetto per il passato e per la Tradizione, giacché anch'egli, almeno a quanto pare, basa la tua teologia sulla Sacra Scrittura e sulla storia del Cristianesimo e della teologia cattolica.
Sì, ma con quale impostazione? Non con l'impostazione di chi accoglie docilmente e fiduciosamente tutti i pronunciamenti dottrinali o dogmatici del Magistero della Chiesa e dei concili ecumenici, quali pepite d'oro che appaiono via via nel fiume della storia, ma con l'atteggiamento tipicamente luterano del "libero esame" (con la scusa dell' "esegesi storico-critica''), che di volta in volta, con diversi pretesti, si permette di stabilire in questo preziosissimo e ricchissimo patrimonio della Tradizione, quello che gli garba o non gli garba alla luce di quella che egli chiama "filosofia moderna".
QUAL È IL RISULTATO? UN PURO E SEMPLICE GNOSTICISMO (COME RIVELANO CHIARAMENTE GLI STUDI DI DON ENNIO INNOCENTI), COME È STATO QUELLO DELL'IDEALISMO TEDESCO FINO AD HEIDEGGER. DOVE VA FINIRE LA FEDE? NON È PIÙ VIRTÙ TEOLOGALE SOPRANNATURALE CON LA QUALE SI ACCOGLIE PER VERO QUANTO DIO HA RIVELATO E LA CHIESA CI PROPONE A CREDERE, MA LA FAMOSA «ESPERIENZA TRASCENDENTALE APRIORISTICA ED ATEMATICA», ISPIRATA ALL'ERMETISMO, ALLA TEOSOFIA, A SCHLEIERMACHER E AD HEIDEGGER. Insomma, un rinnovato gnosticismo, col quale Rahner crede di conoscere Dio e Cristo meglio di quanto gli insegna la Chiesa Cattolica.
Rahner non è capace di unire l'immutabile col mutevole sul piano dei concetti. Immutabile e universale è soltanto l’ “esperienza trascendentale", ma essa è ineffabile ("Mistero assoluto") e non concettualizzabile; viceversa il concetto (il "categoriale"), anche quello dogmatico, è privo di universalità e immutabilità. Ne viene la conseguenza incresciosa che la verità teologica esiste, ma è inesprimibile; mentre ciò che può essere espresso appartiene solo al campo del particolare, del mutevole e dell'incerto.
Divinizzazione dell’uomo
L'etica rahneriana. come sempre avviene, è conseguenza logica dei suoi princìpi metafisici, gnoseologici e antropologici. La base fondamentale di tutto, come fu acutamente denunciato a suo tempo da Cornelio Fabro, è l'identificazione dell'essere col pensiero, identificazione che per la verità, è propria solo dell'essenza divina, ma che invece Rahner pone come principio di tutto il reale. Da qui il panteismo in metafisica e l'idealismo in gnoseologia.
Da qui viene anche l'identificazione dell'essere con l'agire e col divenire e la tendenza monistica che non distingue più adeguatamente il vero dal falso, il bene dal male, l'eterno dal temporale, il finito dall'infinito, Dio dal mondo. Ciò non gli impedisce peraltro di cadere in dualismi irresolubili, che qui non è il caso di esaminare. Per distinguere egli separa, e per unire, confonde.
Da questi principi fondamentali discende la sua concezione del rapporto dell'uomo con Dio: la ragione umana non dimostra l'esistenza di Dio partendo dagli effetti creati, come insegna san Paolo (Rm. 1,20) e il libro biblico della Sapienza (Sap. 13,5), MA POSSIEDE ORIGINARIAMENTE ED ATEMATICAMENTE UN'«ESPERIENZA PRECONCETTUALE DELL'ESSERE» (“VORGRIFF”). NELLA QUALE LEGGE IMMEDIATAMENTE LA PROPRIA AUTOCOSCIENZA E L'ESISTENZA DI DIO. COME NELLA CONOSCENZA DIVINA, NON SI PASSA DALLE COSE A DIO, MA DA DIO ALLE COSE. RAHNER CONFONDE IL SAPERE UMANO COL SAPERE DIVINO.
L'uomo dunque è già di per sé originariamente, benché "atematicamente", potenzialmente Dio; Dio non è che la piena attuazione dell'uomo (Dio è l'«orizzonte trascendentale dell’autotrascendenza umana»). DUNQUE NESSUNA REALE DISTINZIONE TRA NATURA UMANA E GRAZIA. L'UOMO È PER ESSENZA IN GRAZIA; LA NATURA UMANA È DEFINITA DALLA GRAZIA, SENZA LA GRAZIA È NULLA, È PURA "ASTRAZIONE", PURA "POSSIBILITÀ" (POLEMICA CONTRO LA "NATURA PURA").
La quale grazia poi non è un dono di Dio, o un accidente (qualità) dell'anima, ma è Dio stesso, che così diventa il costitutivo sostanziale dell'uomo ("causa formale" dell'uomo), confondendo così Dio con l'anima umana. La grazia dunque è inammissibile, così come l'uomo non può perdere la sua essenza. Da qui l'estrema difficoltà con la quale Rahner cerca di spiegare l'esistenza del peccato.
La distruzione del cristianesimo
Da qui la tesi secondo la quale tutti per essenza tendono a Dio, tutti sono sempre in grazia, tutti si salvano ("buonismo"), il peccato diventa impossibile oppure è un costituivo irrilevante della natura perché sempre perdonato da Dio (Lutero), da qui la negazione della redenzione di Cristo come sacrificio espiativo e riparatore del peccato (e quindi la crisi del sacerdozio, della Messa e della Liturgia).
Da qui la negazione di una natura umana oggettiva. universale e immutabile (difetto dell'esistenzialismo), dell'immortalità dell'anima (col rischio del materialismo), della legge naturale (con conseguente relativismo morale), dell'oggettività della conoscenza concettuale-razionale (con la conseguenza del relativismo dogmatico) e del libero arbitrio (con la conseguenza di un'etica spontaneistica, antiascetica e schiava delle passioni), la negazione della Parusia futura di Cristo (Parusia adesso), dei privilegi mariani (niente verginità), dell'esistenza degli angeli (sono solo "possibili"), di dannati nell'inferno (non c'è nessuno) e la tesi secondo la quale anche l'ateo è credente ("cristianesimo anonimo").
La cristologia è concepita hegelianamente in modo evolutivo-dialettico come passaggio dall'umano al divino e viceversa (riappare l'eresia di Eutiche), sicché Rahner giunge alla conclusione che antropologia, teologia e cristologia sono la stessa cosa (effetto del panteismo). Le tre Persone divine non sono tre relazioni sussistenti ovvero tre sussistenze, ma tre "modi di sussistenza" di un'unica persona-natura-sussistente (modalismo), mentre l'essenza della Trinità si risolve nel suo manifestarsi al mondo («la Trinità immanente è la Trinità economica»). Allora Dio è obbligato a creare? È obbligato a incarnarsi? A manifestarsi all'uomo? Qui si vede l'influsso della fenomenologia di Husserl e viene anche in mente Hegel: «Senza il mondo Dio non è Dio».
In particolare, in morale, la persona appare come soggetto meramente spirituale (cfr. la res cogitans di Cartesio), che liberamente (come in Fichte, Gentile e Sartre) pone o progetta la propria essenza e quindi la legge morale, la quale quindi non è posta da Dio nella natura umana, ma il soggetto liberamente la pone da sé onde porre la propria essenza e la propria natura. Salvo poi a porre la persona come emergente dalla materia, per il fatto che viene negata la distinzione fra anima e corpo.
La persona non appare come «individua substantia rationalis naturae», ma alla maniera idealistica, come autocoscienza e libertà, come una specie di relazione sussistente in atto, sicché c'è poi da chiedersi come potranno essere persone quei soggetti i quali per vari motivi non possono o non vogliano relazionarsi a Dio ed agli altri.
Figlio dell'orgoglio moderno
I princìpi di fondo possono riassumersi in una divinizzazione gnostica dell'uomo e in una secolarizzazione del soprannaturale, si fanno sentire in vari modi: nel suo stesso metodo di pensare e di argomentare, dettato spesso da presunzione nei confronti delle massime autorità nel campo della filosofia come della religione, nell'aver sempre ignorato le osservazioni e le critiche che gli sono state fatte per decenni da eccellenti studiosi e teologi, nel sollecitare o suggerire una condotta morale improntata a un esagerato amore per la libertà personale, nel disprezzo dei valori oggettivi, eterni e universali, insomma un'esaltazione dell'io che ben poco ha a che vedere con un sano amore di sé riconosciuto dal cristianesimo, ma assomiglia molto di più al soggettivismo e alla presunzione tipici della religiosità luterana e al limite alla spropositata esaltazione dell'io propria dell’etica fichtiana.
Appare l'ombra sinistra di Nietzsche. Siamo ancora nel Cristianesimo? È questa l'interpretazione del Concilio?
Karl Rahner: La teologia della disincarnazione
Relativismo, modernismo e pensiero debole. Padre Cavalcoli accusa il grande architetto del Concilio di «tradimento». E confuta punto per punto le sue «eresie» di Antonio Gaspari
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Non c’è ambiente più ospitale per gli sgambettatori dell’ortodossia cattolica dell’immediata eredità del Concilio Vaticano II, quel periodo fluido in cui all’improvviso si sono aperti crepacci teologici in cui anche oggi si rischia disgraziatamente di incorrere o nei quali ci si può deliberatamente tuffare. Di tutti gli autori che hanno imbracciato le armi del pensiero per proporre una teologia nuova da edificare in modo rigoroso sulle macerie di quella antica, il teologo Karl Rahner è allo stesso tempo il più influente e il più discusso.
Nel gesuita tedesco c’è una naturale disposizione allo sconfinamento: oltre alle tentazioni di modernismo e panteismo, il focus polemico nei confronti di Rahner sta in quella “svolta antropologica” a cui Cornelio Fabro ha dedicato un volume nel 1974. Un testo caustico, teologicamente parlando. Oggi l’eredità friabile – e largamente irrisolta – di Rahner viene messa sotto accusa dal teologo Giovanni Cavalcoli, docente di Teologia dogmatica e Morale presso lo Studio teologico accademico bolognese, nel libro "Karl Rahner. Il Concilio tradito", in cui il domenicano solleva i tappeti del pensiero rahneriano per vedere quanta polvere c’è sotto.
Il testo è costato all’autore non soltanto anni di lavoro per raggiungere un perfetto rigore argomentativo ma anche un confronto permanente con i suoi superiori sull’opportunità di pubblicare un testo che mette in discussione radicalmente una certa interpretazione del Concilio, quel consesso di cui Rahner era perito e da cui successivamente ha tratto interpretazioni di alcuni insegnamenti della Chiesa che Cavalcoli non teme di giudicare «eretici».
Siamo molto oltre il Rahner modernista e progressista criticato già da molte scuole teologiche. E quel che è peggio, dice Cavalcoli, è che Rahner, “il grande architetto della teologia del XX secolo”, non si è accontentato di proporre una visione alternativa al magistero della Chiesa, ma si è fatto, alla maniera protestante, «maestro e correttore di presunti errori», imponendosi anche all’interno della gerarchia stessa come teologo di riferimento di una presunta ortodossia.
L’argomentare di Cavalcoli è una lama affilata, un incedere scientifico che sembra tratto direttamente da una "quaestio disputata" medievale: ogni affermazione viene analizzata e messa a confronto con una sentenza del magistero ufficiale per tirarne fuori contraddizioni e aporie, fino al precipitare della verità.
Nel libro accomuna le tesi di Rahner a una corrente di pensiero che ha prodotto «disaffezione per la verità, saccenteria, superbia, sete di potere ed empietà, ribellione al Magistero e al Papa, cedimento agli errori della modernità, assenza di confutazione degli errori, profanazione della liturgia». Accuse gravissime che Cavalcoli ripercorre in sintesi parlando con Tempi: «Karl Rahner, ad esempio, estende l’identità dell’essere col pensiero a tutto il reale, mentre quest’identità appartiene solo a Dio; oppure c’è l’idea che Dio muti con la conseguente negazione delle due nature di Cristo e quindi la negazione del dogma dell’incarnazione». Una tradizionale critica a Rahner ripresa da Cavalcoli è quella di relativismo, dalla quale sono discese pressoché tutte le etichette di pensatore debole applicate al gesuita tedesco. Cavalcoli spiega che Rahner è arrivato a posizioni relativiste attraverso «la negazione dell’universalità e immutabilità del concetto», idea che abbonda nel rahneriano "Corso fondamentale sulla fede" ed è ben sintetizzata in una citazione che Cavalcoli estrapola dal suo libro:
«Sempre e dappertutto l’uomo, nelle decisioni assolute e irrivedibili della sua vita, si basa su realtà storiche sulla cui esistenza e natura egli non possiede teoreticamente alcuna assoluta sicurezza». E se il percorso della conoscenza è immerso nella nebbia dei condizionamenti storici, Cavalcoli sottolinea come a maggior ragione Rahner non possa ammettere concetti dogmatici che non siano macchiati dalla relatività:
«Il credere di poter afferrare i piani superiori del reale con la sua “esperienza trascendentale”, nella quale, per la sua assoluta, proclamata indeterminatezza, ci può essere tutto e il contrario di tutto, è una pura e semplice illusione», conclude Cavalcoli.
Una exit strategy esiste.
Secondo la ricostruzione di Cavalcoli, «il rahnerismo, con il pretesto dell’apertura al mondo moderno, del dialogo, del pluralismo, della democrazia, della libertà religiosa e di ricerca, dell’ecumenismo, dell’ispirazione dello Spirito Santo, ha eliminato nel Corpo di Cristo le difese immunitarie, rendendo insipida o discutibile la Parola di Dio, e ha tolto il muro di cinta della vigna del Signore».
Uno scenario teologicamente corretto che Rahner ha disegnato con pazienza, nei lunghi anni dopo il Concilio che lo hanno consacrato come un gigante della teologia. Rimane la domanda: come e in quali spazi ha potuto liberamente creare un impianto filosofico alternativo?
«Rahner lo ha fatto – spiega Cavalcoli – perché ha frainteso il vero spirito del Concilio, quasi che esso fosse un ritorno di modernismo e rinunciasse alla tradizionale condanna degli errori. Inoltre, ha affrontato la trattazione di tutti quei temi senza quel discernimento e quello spirito critico che gli sarebbero stati forniti da una sana preparazione filosofica e teologica fondata sulla fedeltà al magistero della Chiesa e in special modo su san Tommaso d’Aquino, raccomandato da secoli come guida negli studi filosofici e teologici».
E nel proporre un’exit strategy dalle derive rahneriane sul Concilio, il domenicano dice che «occorre correggere gli errori di Rahner alla luce della dottrina della Chiesa e della sana filosofia», uno sforzo che implica «un intervento prudente, mirato, sistematico e organizzato dell’episcopato sotto la guida della Santa Sede».
L’opera di “riconquista” del Concilio, conclude padre Cavalcoli, «richiederà molto tempo, ma con l’aiuto dello Spirito Santo, giungerà certamente a buon fine. Allora il Concilio sarà compiuto».
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Sulla sua teologia vedi anche Roberto De Mattei.
Bibliografia su Rahner
Vedi anche la storica presentazione di Stefano Fontana.