Perché amo il jazz
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Visitando i paesaggi sonori del jazz, quasi infiniti, ci si accorge subito che questa forma creativa ed espressiva musicale relativamente giovane (meno di duecento anni) è stata ed è in continua "contaminazione". Ogni forma creativo/espressiva si contamina o meglio "incontra"; sappiamo però che le matrici originali del jazz sono chiare, storiche, riconosciute: nel “The chronicle of jazz” di Mervyn Cooke, una sorta di "Sacra Bibbia" per noi jazzofili, si descrivono questi inizi con lo Spiritual (canti neri religiosi), il Gospel (da God spell, musica sacra vera e propria), il Blues, vera e propria spina dorsale del jazz, il Folklore primitivo afro/percussionale. Perchè ricordare questi "particolari"? Perchè sono gli ingredienti di questa esperienza musicale, cui si devono aggiungere improvvisazione, sempre espressione del gruppo ed una inseparabile solidarietà tra chi suona e chi ascolta (vedi splendide foto e commoventi racconti nelle biografie storiche). Non si può negare che tutto ciò sia più evidente nei primi 40/45 anni di storia; ma sono ancora profonde queste "radici" nei decenni successivi fino ai nostri giorni, specie quando il musicista ha "una storia da raccontare"; ricordate il film “La leggenda del pianista sull' oceano” di Tornatore? Mi spiego meglio: a me piace il jazz perchè spesso è legato alla cronaca, alla storia del costume, in una parola alla Realtà. Non penso che questo sia filosofeggiare: una musica ci prende quando in qualche misura ci riguarda, ci stupisce, ci commuove. Tuttavia molto jazz è intrattenimento; ma anche la maggior parte della "musica moderna" intrattiene, e a questo non si sottrae neppure la "classica", se pensate alle corti rinascimentali (ed io ho pure sentito intrattenimento nelle nostre Chiese). Spesso in questa musica emerge quasi il carattere dell'autore, lo spirito del suo tempo, insomma quasi il contesto storico. Questo vale, come dicevo, molto di più per le prime quattro decadi, ma anche ad esempio per il jazz degli anni ’60 del XX secolo con i suoi fermenti sociali. Sto cercando di coinvolgervi un po', anche se sappiamo tutti che la musica si deve SENTIRE, INCONTRARE più che raccontare; ma intendo farvi esercitare il diritto di curiosità mettendo lì qualche ragione di questa passione dall'alto indice di contagiosità. Vorrei per questa volta risparmiarvi una vera e propria Play List, ma state sicuri che ci arriveremo e sarà "valanga"! Come faccio a lasciarvi così? Ecco subito un bel libro pieno di incontri, personaggi, storie di un grande cronista del jazz, anzi di uno dei più grandi scrittori di jazz in senso assoluto: Arrigo Polillo, che scrive "Stasera jazz", sottotitolo: "La mia avventura tra i grandi del jazz" (Polillo editore, novembre 2007, € 20).